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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AI PARTECIPANTI
AL CONGRESSO INTERNAZIONALE SU SANT’AGOSTINO

Castel Gandolfo - Mercoledì, 17 settembre 1986

 

Illustri professori

1. Un saluto cordiale a voi tutti che siete convenuti da varie parti del mondo per questo Congresso Internazionale, al fine di approfondire e illustrare l’esperienza, il pensiero, l’eredità di sant’Agostino nel XVI centenario della sua conversione. Sono molto lieto di essere potuto venire in mezzo a voi. Desidero esprimere le mie congratulazioni innanzitutto all’Ordine di sant’Agostino per aver chiamato a raccolta tanti studiosi in questa straordinaria circostanza, e poi a tutti voi che vi siete qui raccolti per portare il contributo della vostra dottrina e per attingere nuovi stimoli al vostro impegno di ricerca e di divulgazione.

Ho sentito con piacere dal padre Trapé che sono qui rappresentate oltre cento università; saluto cordialmente i singoli professori e, mediante le loro persone, saluto le istituzioni universitarie a cui appartengono, alle quali vanno il mio pensiero affettuoso e l’espressione della mia stima. Mi compiaccio per il vasto e articolato programma che state svolgendo. Era opportuno associare al tema della conversione l’esame degli aspetti filologici, storici, filosofici, teologici e spirituali dell’immensa produzione letteraria di questo infaticabile e sommo dottore, e trattare poi dell’influenza da lui esercitata lungo i secoli nella Chiesa e nella civiltà occidentale.

Soffermandovi sul passato, voi avete prospettato il futuro: dalla storia alla profezia il passo è breve. La Chiesa è ormai alla soglia del terzo millennio della sua storia. Per muoversi con sicurezza verso il futuro, deve tener fisso lo sguardo al passato, all’esempio e all’insegnamento dei suoi padri e dei suoi dottori. Tra essi, in posizione eminente, deve annoverarsi sant’Agostino. Questo eccelso dottore in tutto il secondo millennio e in gran parte del primo: dobbiamo auspicare che lo accompagni anche nel terzo. Tale è uno degli intenti della mia recente lettera apostolica “Augustinum Hipponensem”, nella quale, rievocando la figura e il pensiero del vescovo d’Ippona, ho esortato a studiarne le opere, nelle quali, come scrive il primo biografo, l’amico Possidio “semper vivere a fidelibus invenitur” (Possidio, Vita di sant’Agostino, 31, 8).

Il programma nel vostro Congresso suggerisce alcune riflessioni che proiettano il pensiero di Agostino nel futuro, affinché egli resti per noi, come è stato nel passato, un grande maestro e, diciamo pure, il padre comune nella nostra civiltà cristiana.

2. Sant’Agostino fu e restò sempre il grande convertito. Grande per i mirabili effetti che la conversione operò nella sua vita, per l’atteggiamento costante di umile adesione a Dio, per la fiducia illimitata nella grazia divina. Il suo animo di convertito si esprimeva in quella celebre preghiera tante volte da lui ripetuta: “Da quod iubes et iube quod vis” (Confessiones, X, 29, 40).

La conversione, secondo il vescovo d’Ippona, raggiunge le profondità stesse del nostro essere. “Se l’uomo vuol essere qualcosa (ut homo sit aliquid) - scrive il nostro dottore - deve convertirsi a Colui dal quale è stato creato . . . così custodirà davvero la somiglianza e l’immagine secondo la quale è stato creato” (Enarr. in Ps, 7). Egli osserva poi che questo cammino di conversione, che importa l’azione di Dio nell’uomo e la permanenza costante dell’uomo in Dio, dev’essere senza soluzione di continuità. “Dobbiamo esser sempre fatti da lui, sempre perfezionati, aderire a lui e restare in quella conversione che a lui ci conduce . . . Infatti siamo sua creazione non solo in quanto uomini, ma anche in quanto uomini buoni”.

La necessità di questa conversione continua deriva non solo dalla nostra condizione di creature, ma anche dalla natura nella nostra perfezione qui in terra, che è sempre limitata e mutabile, mai piena. Per questo, guidato dalla fede e dall’esperienza, Agostino si oppone decisamente alla tesi pelagiana della perfezione assoluta, cui sostituisce quella della perfezione sempre perfettibile, sempre bisognosa di ripetere il “dimitte nobis debita nostra”. Anzi scrive risolutamente che il modo perfetto di tendere alla perfezione consiste nel sapere di essere imperfetti.

Quest’idea della conversione continua come ritorno dell’uomo in se stesso e a Dio, per cui noi siamo strappati dalla fugacità del tempo e dalla mutabilità incessante delle cose, per essere inseriti nella stabilità dell’essere (“ut et tu sis”), esclama energicamente il nostro dottore, “transcende tempus”, costituisce il messaggio prezioso che Agostino, studioso del tempo quanto avido d’eternità, trasmette agli uomini di tutti i tempi, a noi in particolare e agli uomini del terzo millennio cristiano.

3. Consentitemi di raccogliere un altro frutto della conversione di Agostino: il suo servizio indefesso, umile e totale alla verità, che egli amò appassionatamente: la considerò la luce della mente, il bene supremo dell’uomo, la fonte della libertà. Non c’è bisogno di citare molti testi agostiniani. Scrive: “La nostra mente, che è l’occhio dell’anima, se non viene irradiata dalla luce della verità e non viene mirabilmente rischiarata da Colui che illumina senza dover essere illuminato, non potrà pervenire né alla sapienza né alla giustizia”. Ora la sapienza non è che la verità “nella quale si percepisce e si possiede il sommo bene” (De libero arbitrio, II, 9, 26). Nella percezione e nel possesso di questa verità consiste la nostra libertà, poiché “l’uomo non può godere di nessuna cosa con libertà se non ne gode con sicurezza . . .”. Il regno di Dio è quello, per definizione, nel quale trionfa la verità: “in quo victoria veritas” o, per usare un’altra celebre espressione agostiniana: “di cui regina è la verità, legge la carità, misura l’eternità” (Ep. 138, 3, 17).

Ma in Agostino l’amore diventa servizio, che implica un’indagine continua, una scrutazione profonda, una contemplazione assidua. Dalla conversione in poi non attese che a questo: approfondire, diffondere, difendere la verità. Chi volesse, potrebbe dividere le sue innumerevoli opere in tre gruppi secondo che domini in esse l’uno o l’altro di questi intenti. Molte infatti sono destinate a rispondere ai quesiti che la sua alta mente si poneva o gli venivano proposti da altri, e quindi destinate ad approfondire la verità. Tra queste deve ricordarsi in primo luogo la grande opera su “La Trinità”, profonda per la speculazione filosofica, teologica e mistica. Altre sono destinate a comunicare la verità ai fedeli o ai catecumeni, come i discorsi, che sono moltissimi. Infine vi sono le molte opere polemiche che Agostino scrisse per smascherare gli errori serpeggianti tra i fedeli e per riaffermare la verità cattolica. Egli fu un polemista forte, indefesso, abilissimo, ma nel cuore portò sempre l’amore, un grande amore per gli erranti. “Non vincit - diceva - nisi veritas”. Non dunque l’uomo su l’uomo, ma la verità sull’errore; aggiungeva però subito: “victoria veritatis est caritas” (Serm. 358, 11).

Dei donatisti, che gli furono avversari feroci fino a tendergli insidie per ucciderlo, diceva ai fedeli cattolici: “Diligamus illos et nolentes”. Perciò egli voleva che per le questioni riguardanti la fede si restasse uniti nella Chiesa e in essa si discutesse pure sulle verità non ancora manifeste; si discutesse senza fumo d’orgoglio, senza testardaggine d’arroganza, senza spirito di contraddizione o d’invidia, ma - continua - “cum sancta humilitate, cum pace catholica, cum caritate christiana” (De bapt, 2, 3, 4).

4. In questa linea di umile e coraggioso servizio alla verità, il vescovo d’Ippona servì l’uomo, servì la sua sublime grandezza, la sua natura autentica, i suoi destini eterni. Egli si trovò a vivere in un tempo nel quale il concetto dell’uomo veniva gravemente deformato da molti pensatori, compresi quei neoplatonici che rappresentavano la filosofia dominante del tempo. Da alcuni di costoro, penso ai manichei, Agostino si era lasciato influenzare. Liberatosene modellò il concetto dell’uomo che sta alla base della nuova cultura, quella cristiana, che egli contribuì in modo impareggiabile a illustrare e perfezionare.

Dell’uomo difese la sostanziale bontà contro i manichei; l’unità profonda tra l’anima e il corpo, contro i platonici; l’interiorità come suo punto focale, poiché nell’intimo dell’uomo dimora la verità e si accoglie impressa nella natura immortale dello spirito, l’immagine di Dio; l’originalità nei riguardi dell’universo materiale, nel quale nulla è più alto dell’uomo, nulla è più vicino a Dio; la libertà, che lo rende degno di merito e di demerito; la beatitudine che non può essere vera se non è eterna; il bisogno costituzionale di giungere a Dio che solo costituisce il nostro riposo.

Ma pur intento a scrutare la grandezza dell’uomo, Agostino non ne dimenticò la condizione terrena, le miserie, i mali, specialmente la mortalità, la debolezza morale, la lotta tra la carne e lo spirito. A causa di questa condizione l’uomo diventa un grande problema, un problema inestricabile alla ragione, un enigma. Il vescovo d’Ippona lo studiò a fondo e ne trovò la soluzione in un solo nome: Cristo. La conclusione della sua antropologia, così vasta e profonda, può essere la seguente: come non s’intende la natura dell’uomo senza il riferimento a Dio, che ne è la spiegazione, così non s’intende la sua condizione di fatto in questa terra senza il ricorso a Cristo, che ne è la liberazione e la salvezza.

5. Consentitemi un altro breve pensiero. Agostino ebbe profondo il senso della storia. Ne è monumento l’opera immortale della “Città di Dio”. In questo capolavoro infatti la dottrina viene esposta nell’arco della storia che va dalla creazione fino ai suoi termini escatologici. La dottrina agostiniana, che s’incarna, per così dire, nel dinamismo storico dell’umanità in cammino verso la salvezza, è qui dominata da tre grandi idee: la Provvidenza, la giustizia, la pace.

La Provvidenza guida la storia non solo degli individui, ma anche delle società e degli imperi; la giustizia, impressa come ideale da Dio nel cuore dell’uomo, deve stare a fondamento d’ogni regno umano - sono sue queste forti espressioni: “remota iustitia, quid sunt regna, nisi mala latrocinia?” (De civitate Dei, 4, 4) - e sta alla base di ogni vera legge - sono sue parimenti queste altre non meno forti parole: “mihi lex esse non videtur quae iusta non fuerit” (De lib. arb 1, 5, 11) -. Con la giustizia sorge la pace: pace terrena che lo Stato deve promuovere e difendere, possibilmente, attraverso la pace, non attraverso la guerra: “pacem pace non bello”; e la pace celeste, che è propria della “Città di Dio” (De civitate Dei, 19, 13); cioè “la concordissima e ordinatissima società di coloro che godono di Dio e l’un dell’altro in Dio”.

6. Vorrei concludere ricordando le parole del mio venerato predecessore Paolo VI, che fu un grande ammiratore del vescovo d’Ippona: “Agostino, diceva, è un maestro impareggiabile di vita spirituale” (Udienza del 14 dicembre 1966). Aveva ragione. In realtà egli fu anche un grande mistico e maestro di spiritualità. Per convincersene basta leggere alcune pagine delle “Confessioni”, quelle soprattutto che parlano delle ascensioni spirituali e della contemplazione (VII, 17,23; IX, 10,23-25; X, 40, 65).

Egli fondò queste ascensioni sulla “delectatio veritatis”, felice espressione che indica insieme le due grandi forze dello spirito: verità e amore; due forze che sono radicate profondamente nell’animo umano e che lo Spirito Santo suscita in noi diffondendo nei cuori l’amore (Rm 5, 5). Di questo amore che lo Spirito Santo diffonde nei cuori Agostino mette in rilievo il dinamismo inesauribile, la radicalità intransigente, il disinteresse totale, l’ardore progressivo, il fondamento nell’umiltà, l’alimento nella grazia. Sull’azione dello Spirito Santo nella Chiesa mi sono intrattenuto a lungo nella mia recente enciclica Dominum et Vivificantem.

Seguire il Maestro ipponense nelle vie dello spirito giova a tutti. Lo raccomando in particolare alle Famiglie che a lui s’ispirano, cioè agli Agostiniani e alle Agostiniane, specialmente alle Comunità dedicate alla contemplazione: ne trarranno incalcolabili vantaggi per sé e per la Chiesa!

Ecco alcuni pensieri raccolti dall’immenso panorama dell’insegnamento agostiniano: essi vogliono manifestare la mia stima per i vostri studi e confermarvi in essi, affinché il magistero agostiniano continui, anche per opera vostra, nel futuro, e in auspicio di ciò su tutti invoco la costante assistenza del Signore, mentre di cuore vi benedico.

 

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