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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI
SAN GIUSEPPE DA COPERTINO

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 22 marzo 1987

 

Saluto cordialmente tutti i parrocchiani di questa comunità di San Giuseppe da Copertino. San Giuseppe da Copertino portava il nome di quel san Giuseppe che era padre, soprattutto protettore di Gesù Cristo. Allora nel nome di questo primo san Giuseppe di cui abbiamo celebrato la festa da poco e nel nome di san Giuseppe da Copertino saluto tutti i parrocchiani.

Il parroco ha detto che è contento della mia presenza, ma io sono contento della vostra presenza. È questa presenza che ci fa Chiesa. Un’istituzione astratta, senza persone, senza la presenza di persone vive non sarebbe Chiesa. La Chiesa, la parrocchia, è sempre costituita dalla presenza di persone vive, soprattutto dalla presenza di Gesù Cristo tra noi. Certamente c’è una presenza magnifica, maestosa di Dio in tutto l’universo. La contempliamo durante l’estate, durante la primavera, durante l’inverno, nelle forze della natura. Ma c’è una presenza specifica, salvifica di Gesù Cristo tra noi e questa sua presenza attira le nostre presenze.

Noi siamo presenti intorno a lui e lui è presente tra noi. Questa è la festa, la realtà che oggi celebriamo, che sono venuto a celebrare con voi, con la vostra comunità. La povera e umile presenza del vostro Vescovo sia soprattutto portatrice della consapevolezza della presenza di Cristo che è con noi, è il nostro Emmanuele, Dio con noi. Questa sua presenza con noi fa la Chiesa, la Chiesa universale. Tra poco dovrò andare in America Latina, ai confini dell’America del Sud: in Argentina e in Cile. Lì ci sono cristiani come noi, grazie a Dio. La presenza di Gesù fa questa Chiesa - molto lontana geograficamente, ma molto vicina spiritualmente - ed anche la nostra presenza qui a Roma, da cui tanti aspettano, guardando forse anche alla vostra parrocchia e domandandosi come questa parrocchia di san Giuseppe da Copertino si comporta, come i suoi fedeli si comportano da cristiani, come si riunisce intorno a Cristo, come fa Cristo presente, come vive la sua presenza.

Allora, carissimi fratelli e sorelle, vi auguro di vivere intensamente questa presenza di Gesù, specialmente nel periodo della Quaresima. È un periodo in cui tutta la Chiesa, anche la sua liturgia, vive la presenza di Gesù con grande intensità perché la presenza quaresimale è la presenza pasquale, quella in cui noi tutti siamo costituiti, liberati dal peccato, redenti nella passione e nella risurrezione di Cristo.

Saluto tutti i presenti, tutti coloro che ho incontrato lungo la strada, tutti coloro presenti qui attorno all’altare preparato per la celebrazione eucaristica. Saluto tutti i parrocchiani senza eccezione, anche coloro che forse non si sentono parrocchiani, che non sentono la presenza di Gesù tra loro. Ma Gesù è presente dappertutto. Non c’è luogo che potrebbe sfuggire alla sua presenza, perché lui è redentore del mondo. Tutti noi siamo presenti, tutta l’umanità, Gesù ha sofferto la croce per tutti noi. Allora vi invito a vivere universalmente questo mistero pasquale, questa Settimana Santa che si avvicina, questa Pasqua che si avvicina, perché Gesù è universale. È in Cile, è in Argentina, dappertutto, dove devo andare e dove non posso andare. È qui e dappertutto. È Emmanuele, Dio con noi. Vi invito a vivere più intensamente la presenza di Dio, di Cristo, Emmanuele, tramite l’umile e povera visita del vostro Vescovo.

Ai bambini che si preparano alla Prima Comunione e alla Cresima

Noi ci avviciniamo a celebrare una festa che corrisponde spiritualmente e misticamente alla primavera: la Pasqua. Il periodo che ci porta alla Pasqua, passo dopo passo, si chiama Quaresima. Oggi è la terza domenica di quaresima e tutti noi la celebriamo in questa parrocchia di San Giuseppe da Copertino.

Dobbiamo prepararci alla festività pasquale. La Pasqua ci parla della rinascita spirituale: Cristo è morto per mostrare a noi tutti, a tutte le generazioni dell’umanità, che la morte non è il destino ultimo dell’uomo. L’uomo è amato da Dio, e lui è il Signore della vita. L’uomo è destinato alla vita. Cristo è risorto dalla morte, dal suo sepolcro. Questo ci dice la Pasqua. La rinascita definitiva, escatologica, verso la quale noi tutti siamo indirizzati, tramite la grazia del Signore, deve compiersi in ciascuno di noi attraverso i passi della Quaresima, della conversione, della vittoria sul peccato; i passi della vittoria spirituale in cui l’uomo passa dalla morte dello spirito, dal peccato, alla vita della grazia. Questo è il vero significato della Quaresima.

Voi tutti fate la catechesi: è una preparazione che si radica nei più antichi periodi della vita della Chiesa. I nostri padri nella fede, quelli della prima comunità cristiana e poi tutti gli altri, facevano la catechesi per prepararsi alla Pasqua, cioè alla rinascita: si preparavano al battesimo. Noi siamo già tutti battezzati, ma dobbiamo prepararci a vivere il nostro battesimo con la consapevolezza cristiana, con la grazia; dobbiamo prepararci a vivere con i sacramenti, con la comunione, naturalmente anche con la confessione, a vivere sempre più pienamente questa vita che ci è stata offerta da Dio in Gesù Cristo.

Vi invito tutti a vivere questa primavera della Chiesa, ad essere voi questa primavera della Chiesa. Spero che voi, che siete la parte più giovane di questa parrocchia, possiate, oggi e in futuro, essere anche la primavera della vostra comunità parrocchiale.

Alle religiose

Grazie a tutte le suore per la loro presenza, per la loro accoglienza. In questo tempo quaresimale voi religiose, noi tutti, dobbiamo vivere più intensamente il mistero dell’obbedienza del Signore. Sappiamo bene che egli si è fatto obbediente fino alla morte. Dobbiamo vivere più intensamente quel mistero che è anche uno dei nostri voti, almeno dei vostri voti: la castità, la povertà, l’obbedienza, i voti con cui voi cercate di imitare Gesù, di portare davanti a tutto il popolo, a tutta la Chiesa la testimonianza di Gesù crocifisso e risorto.

Vi ringrazio per la vostra accoglienza, vi ringrazio per la vostra presenza per la vostra opera in questa parrocchia. Da parte mia salutate anche tutti gli anziani, i malati, tutti coloro a cui si indirizza il vostro ministero ed apostolato che proviene da quella obbedienza religiosa, dall’imitazione di nostro Signore. Quando vi sarà un po’ difficile esercitare questa obbedienza pensate anche al Papa. Pregate per me.

Ai membri del Consiglio Pastorale e dei gruppi di apostolato

In questa parrocchia si nota specialmente la presenza dei carismi francescani: è, infatti, una parrocchia guidata dai figli di san Francesco.

Vi ringrazio tutti per il vostro impegno, per la vostra partecipazione. La vostra vocazione cristiana è tutta iscritta nel mistero della fede; dobbiamo leggere profondamente quel mistero: nel battesimo scopriamo la nostra vocazione cristiana, che è anche vocazione all’apostolato.

Saluto in voi l’apostolato dei laici di questa parrocchia. Apostolato vuol dire missione, vuol dire anche responsabilità, consapevolezza della responsabilità per opera di Cristo, responsabilità di se stessi, del proprio ambiente, della propria famiglia, del lavoro, della professione, ma anche di tutti gli altri, del mondo. I laici hanno una speciale responsabilità per la presenza di Dio nel mondo. Vi auguro di trovare anche la vostra autorealizzazione: perché questo è anche il mistero della natura umana. L’uomo realizza se stesso e realizza la grazia, vivendo la vocazione divina, vivendo il regno di Dio. Vi auguro tutto quello che appartiene alla nostra vocazione cristiana. Auguro ogni bene alle vostre famiglie, ai vostri figli e vi auguro anche di continuare la vostra collaborazione con questa parrocchia.

Ai giovani

Tutte le vostre domande sono sulla pace. Voglio sorprendervi. Cristo ha detto: “Sono venuto sulla terra per portare la guerra”. Perché Cristo certamente non ha portato su questa terra un pacifismo. Ha portato la pace: “Io vi do la pace”, ripetiamo sempre nella celebrazione eucaristica - che è una guerra perché è una pace che si ottiene tramite la guerra con se stessi, con le proprie debolezze, con i propri vizi, con i propri peccati. Ecco questa pace costa: la pace è dono dello Spirito Santo, ma deve essere partecipata da parte nostra con uno sforzo, con l’ascesi, con uno sforzo spirituale.

Vedo in voi soprattutto i giovani che prendono sul serio il Vangelo e vogliono fare proprio lo sforzo necessario contro tutto ciò che non si deve tollerare in noi. La guerra è caratteristica del periodo quaresimale; per arrivare alla pace della Pasqua si deve fare questa guerra e la faremo. È la guerra che crea la pace nei nostri cuori.

Non si può portare la pace agli altri se non c’è pace dentro di noi. Non può il Papa parlare ai politici, per esempio, se non con il programma, con lo spirito della pace che la Chiesa ha. La Chiesa di oggi ha questo programma, questa preoccupazione della pace, perché vede quali sono i mali della guerra, quali sono i pericoli, quali disastri, quali distruzioni può portare la guerra.

Diceva il vostro collega che parlare ai politici è un insuccesso. La Chiesa è consapevole che non è possibile riportare facili successi; ma nonostante tutto deve parlare di pace sempre e ovunque. Alla fine qualche cosa rimane. Per fare la pace si deve anche essere pronti a fare la “guerra” per la pace. Bisogna battersi per la pace con i politici naturalmente, ed anche con tutti gli altri.

La pace era il principale problema delle vostre domande e insieme c’era il riferimento alla figura di san Francesco, quest’uomo che noi celebriamo tanto come simbolo della pace. Siamo andati ad Assisi e tutti erano d’accordo, cristiani e non cristiani, che dovevamo incontrarci in quella città, perché Francesco era uomo di pace, certamente. Ma Francesco ha dovuto lottare, fare una grande guerra con se stesso ed anche con il suo ambiente: non era la sua una strada facile. La pace è un impegno importantissimo, ma anche un impegno difficile ed esigente.

Il secondo problema che il vostro collega ha proposto è quello di imparare a fare una scelta che sia valida per la nostra vita quotidiana. Ripeto gli stessi concetti: dobbiamo saper lottare con noi stessi per fare di noi stessi una personalità matura e disponibile a Cristo. Questo è stato l’impegno di Cristo verso gli apostoli: fare di loro uomini disponibili. Tutti dobbiamo diventare così. Essere cristiani vuol dire essere disponibili alla grazia di Dio, al messaggio evangelico, a questa grande missione che è la missione di Cristo. Tutti siamo il popolo messianico, tutti partecipiamo della missione del Messia. Questo ci insegna il Vaticano II.

Fra una settimana circa andrò in America Latina per una visita pastorale in Cile ed Argentina; per ringraziare questi due popoli per la pace: perché si è potuta evitare la guerra, che minacciava già alla fine dell’anno 1979, con una mediazione intrapresa della Santa Sede. Vado là per ringraziare questi due popoli, anche i loro governanti, per la pace che si è potuta mantenere, che si è potuta salvare.

C’è ancora un compito speciale: devo celebrare a Buenos Aires, Domenica delle Palme, la Giornata della Gioventù, che di solito si celebra a Roma. Si prevede la presenza di molti giovani specialmente da tutta l’America Latina. Alcuni dicono un milione. So che c’è anche una delegazione di giovani della diocesi di Roma, ma io chiedo la partecipazione della vostra preghiera. Bisogna unirsi. Penso che la parola che più corrisponde alla pace è la parola “solidarietà”. Bisogna essere solidali, sentirci solidali. Insieme, l’uno con l’altro, l’uno per l’altro, così possiamo portare la pace nei diversi ambienti, cominciando dalla nostra famiglia, dalla scuola, dal lavoro, dalla parrocchia, dalla città, da un paese per arrivare fino alle relazioni internazionali.

Auguro a tutti voi di approfittare bene della vostra giovinezza, per farvi più maturi spiritualmente. Avete il privilegio di avere la fede, di trovarvi vicino a Cristo; approfittate di questo per realizzare una personalità più matura, più cristiani, più umana. Il mondo ha tanto bisogno di questa personalità, cominciando dai giovani. I giovani non mi deludono mai, perché i giovani portano veramente al mondo, dappertutto, una grande speranza. Per tutto questo ringrazio il Signore.

 

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