Index   Back Top Print

[ EN  - IT ]

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLO ZIMBABWE
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Sabato, 2 luglio 1988

 

Cari fratelli Vescovi.

1. È per me una grande gioia ricevervi oggi, nel corso della vostra visita “ad limina”. La vostra presenza qui nella città del martirio degli apostoli Pietro e Paolo è una espressione tangibile della fede delle vostre Chiese locali. Essa manifesta il senso di comunione ecclesiale che unisce voi e i vostri preti, i religiosi e i laici nella Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, che il Signore stesso ricolma dei suoi doni divini (cf. Ef 1, 22-23) così che essa possa crescere e raggiungere tutta la pienezza di Dio (Ef 3, 19).

Con voi abbraccio tutta la Chiesa dello Zimbabwe: la casa di Dio di Harare, Bulawayo, Chinhoyi, Gweru, Mutare e Wankie. “Rendo sempre grazie a Dio ricordandomi di te nelle mie preghiere, perché sento parlare della tua carità per gli altri e della fede che hai nel Signore Gesù e verso tutti i santi” (Fm 1, 4-5).

Ci incontreremo tra qualche settimana nella mia prossima visita nel vostro Paese. Attendo con grande desiderio questa occasione che Cristo, Buon Pastore, mi dà di avere una esperienza di prima mano della vitalità e risolutezza delle vostre Chiese locali. Sarà anche un’occasione per riaffermare il desiderio della Chiesa cattolica di incrementare la comprensione e collaborazione con i fratelli e le sorelle cristiani non cattolici e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Nello stesso tempo darà concreta espressione dell’interesse e del sostegno della Chiesa alla crescita e allo sviluppo della Zimbabwe, in questi primi momenti della sua indipendenza e consolidamento nazionale. Sono lieto che la preparazione spirituale per la mia visita abbia coinvolto le vostre comunità locali in molte iniziative tese al rinnovamento della vita e del servizio cristiano.

La mia visita sarà anzitutto la proclamazione e celebrazione della nostra fede in Gesù Cristo, nostro Signore e redentore. Ad Harare e Bulawayo, nel corso di incontri con i fedeli e con gruppi particolari, affronterò alcuni temi di rilievo per il vostro ministero. Oggi desidero esortarvi e incoraggiarvi, in quanto uomini di Dio, a riporre la vostra fiducia nella potenza del Signore Gesù, Pastore supremo dei vostri greggi. Davvero, secondo le parole della prima lettera di Pietro, vi esorto a “gettare in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi” (1 Pt 5, 7).

2. La Chiesa, dopo una sporadica presenza nei secoli precedenti, si è stabilita permanentemente nello Zimbabwe dal 1879, quando i missionari gesuiti, sotto la guida di padre Henry Delpechin, arrivarono. Fin dall’inizio essa ha cercato di manifestare e compiere il mistero dell’amore eterno di Dio e il suo disegno di riunire l’intera famiglia umana in un “popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo) (cf. Lumen Gentium, 4). Questo essa compie introducendo i battezzati nella comunione: comunione con Dio, nella partecipazione alla vita dello Spirito che Cristo immette nei nostri cuori, e comunione nel corpo ecclesiale, il sacramento dell’unità e della riconciliazione degli uomini con Dio e gli uni con gli altri.

L’ecclesiologia di comunione, rivitalizzata dal Concilio, fornisce la struttura teologica e pastorale alla vita della Chiesa e alla sua azione ad ogni livello. È necessaria molta seria riflessione, soprattutto da parte dei pastori della Chiesa, per assicurare che la realtà della comunione penetri sempre più profondamente nell’esperienza viva del Popolo di Dio. Nel suo senso più profondo, questa comunione è partecipazione all’elezione, la misericordia, la carità di Dio, manifestata nella storia della salvezza attraverso Gesù Cristo, il redentore (cf. Synodi Extr. Episcoporum 1985 “Relatio finalis”, II, A, 2). Il suo più alto significato ed espressione si ha quando la comunità cristiana è raccolta attorno al Vescovo nel sacrificio eucaristico, partecipando al mistero della fede consapevolmente e con speranza: “La comunione col corpo eucaristico di Cristo significa e produce, dunque, edifica l’intima comunione di tutti i fedeli nel corpo di Cristo che è la Chiesa” (cf. SYNODI EXTR. EPISCOPORUM 1985 “Relatio finalis”, II, A, 2; SYNODI EXTR. EPISCOPORUM 1985 “Relatio finalis”, C, 1 cf. 1 Cor 10, 16).

3. La comunione nella Chiesa significa partecipare della vita divina attraverso la grazia e darne testimonianza nella vita personale e comunitaria. Ogni aspetto della vita della Chiesa deve essere compreso in rapporto con la profonda e misteriosa comunione che anima e sostiene il corpo ecclesiale. Lo “spirito collegiale” che è l’anima della collaborazione tra i Vescovi a livello regionale, nazionale ed internazionale, e l’anima della loro unità con il successore di Pietro, promana direttamente dalla volontà di ogni Vescovo di rispondere alle esigenze della comunione. L’unità del presbiterio, la reciproca stima, sostegno e collaborazione tra sacerdoti, religiosi e laici, dà testimonianza della vitalità di questa comunione nella Chiesa locale. Vivere in comunione significa dare priorità, nei nostri pensieri e nelle nostre azioni, a quell’amore che Cristo ci ha dato come comandamento (cf. Gv 13, 34) e che costituisce la testimonianza più autentica della nostra fedeltà al Signore: “Ogni volta che avrete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccolo, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40).

Cari fratelli: vi incoraggio vivamente nei vostri sforzi continui per promuovere un attivo senso di partecipazione e corresponsabilità a tutti i livelli della Chiesa nello Zimbabwe. Un tale spirito richiede una maggiore maturità personale e collettiva da parte di tutte le persone impegnate. Senza indebolire la corretta applicazione del principio di autorità, richiede un lavoro di gruppo che comporti una collaborazione gioiosa e piena di dedizione nel rispondere alle urgenti sfide dell’evangelizzazione. Mai deve essere usata per giustificare l’individualismo o la mancanza di disciplina o di coordinamento nelle attività pastorali.

4. Nel vostro ministero quotidiano, voi vi accorgete che molto di più si potrebbe fare se soltanto ci fossero molte più persone disponibili alla missione della Chiesa di evangelizzare ed edificare il Regno di Cristo. La promozione di vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa è responsabilità di tutta la comunità cristiana, e soprattutto delle famiglie. Dopo gli anni difficili della lotta per l’indipendenza, il numero di coloro che seguono la chiamata di Cristo è continuamente in aumento. Mi conforta molto la notizia che il numero dei seminaristi maggiori è quasi raddoppiato negli ultimi tre anni. Dovete provvedere nel miglior modo possibile alla appropriata formazione di questi giovani generosi e dei candidati che entrano nei seminari minori. Comunque, anche pressati da urgenti necessità, quel che conta è la qualità e l’impegno dei vostri sacerdoti. Pertanto, come ricorda il Concilio, la legge suprema in tale questione è la solida formazione dei seminaristi (cf. Optatam Totius, 7).

Allo stesso modo, i vostri sforzi generosi per suscitare vocazioni alla vita religiosa e consacrata sono un modo eccellente per servire la Chiesa nel vostro Paese. I religiosi, uomini e donne, non solo danno un aiuto valido e assolutamente necessario all’attività missionaria, ma attraverso la loro interiore consacrazione a Dio nella Chiesa essi mostrano con chiarezza e manifestano la più profonda natura della vocazione cristiana (cf. Ad Gentes, 18). Essi danno uno specifico ed essenziale contributo alla crescita e al consolidamento delle vostre Chiese locali, contributo che va sempre riconosciuto e rispettato. Che Dio onnipotente continui a far nascere numerose vocazioni tra di voi come pegno del suo amore e della sua protezione.

5. Voi siete vivamente consapevoli delle vostre responsabilità in un altro campo dell’attività pastorale: l’evangelizzazione e la cura pastorale dei giovani, in un Paese in cui la maggior parte della popolazione è sotto i vent’anni di età. Ho grande desiderio di incontrare rappresentanti dei giovani dello Zimbabwe nel corso della mia visita. Desidero ricordare loro che Gesù Cristo offre loro la libertà che li farà liberi davvero (cf. Gv 8, 36) e la vita che è più del cibo e dei vestiti (cf. Mt 6, 25-33). I giovani sono il futuro della Chiesa e della società civile. Purtroppo molti dei vostri giovani sono oppressi dai gravi problemi morali e sociali legati alla diffusa disoccupazione. E molti si sono allontanati dalla fede a causa di esperienze di guerra e di indottrinamento politico e ideologico, o a causa dell’attrattiva sempre crescente di un approccio materialistico della vita che è totalmente estraneo ad una autentica cultura africana. Dall’altra parte, mi consola la notizia che il convegno nazionale cattolico dei giovani è impegnato per rispondere a queste provocazioni. Posso solo incoraggiare la comunità cattolica nello Zimbabwe a continuare ed ampliare il suo impegno e a cercare una migliore comprensione e collaborazione con i funzionari governativi e i rappresentanti di altre religioni che si occupano di questi problemi.

6. Parlare dei giovani è anche pensare al ruolo della Chiesa nello sviluppo attuale e futuro del vostro Paese. Per sua propria natura, la comunità di fede e di amore si apre al mondo nella missione e nel servizio. Voi avete manifestato con chiarezza che nello Zimbabwe indipendente la comunità cattolica è totalmente impegnata a costruire la comunità nazionale nella verità e nella giustizia, e avete una particolare attenzione per i più poveri e più deboli. Le vostre prese di posizione su aspetti della vita nazionale testimoniano della riflessione alla luce della parola di Dio che guida la vostra azione e il vostro contributo alla riconciliazione nazionale e al miglioramento delle condizioni di vita. Voi siete felici del progresso compiuto dall’indipendenza e della fine delle ostilità; siete anche convinti che solo in un clima di comprensione e cooperazione tra lo Stato e le diverse realtà religiose si può trovare una giusta soluzione alle diverse povertà morali e materiali che ostacolano il corso del progresso e della pace.

La Chiesa è stata molto vicina al popolo nelle sue aspirazioni alla libertà, alla dignità e al progresso. Essa desidera servire il reale benessere di tutti, attraverso la sua missione religiosa, l’attività educativa, sanitaria e sociale. Per essere efficace, deve godere della libertà di svolgere questi servizi conforme alla sua specifica vocazione e fedele alla sua dottrina.

7. Un’ultima parola sull’evangelizzazione e l’inculturazione. Recentemente, il Segretariato per i Non-cristiani ha richiamato l’attenzione delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar sull’importanza di adottare un appropriato approccio pastorale alla religione tradizionale africana, cui aderisce ancora la maggior parte della popolazione dello Zimbabwe. Per la vostra esperienza pastorale, voi siete consapevoli della delicatezza di questo aspetto dell’apostolato della Chiesa. Evangelizzazione e inculturazione sono strettamente collegati. È necessaria una grande riflessione teologica per determinare quali valori e fattori di una cultura particolare siano compatibili con la vita nel nuovo regno, il regno instaurato da Cristo e guidato dallo Spirito di verità al pieno compimento, quando Cristo, nostra vita, si manifesterà nella gloria (cf. Col 3, 4). A livello pratico, l’adattamento dei riti di sepoltura e di matrimonio, in uso nelle vostre Chiese locali, per esempio, mostra come la fede cristiana possa essere davvero universale e insieme vicina alla cultura e al modo di vita di ogni gruppo.

Sarebbe difficile trovare parole migliori per descrivere le relazioni dinamiche tra il messaggio evangelico di salvezza in Gesù Cristo e le diverse espressioni della cultura umana, di quelle della conciliare costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo: “Il Vangelo di Cristo... continuamente purifica ed eleva la moralità dei popoli. Con la ricchezza soprannaturale feconda dall’interno, fortifica, completa e restaura in Cristo le qualità spirituali e le doti di ciascun popolo” (Gaudium et Spes, 58). Una vera inculturazione della fede non può ridursi ad adottare gli elementi esterni di una certa cultura. La vera inculturazione è dall’interno: consiste, in ultima analisi, in un rinnovamento della vita sotto l’influsso della grazia.

L’evangelizzazione della vostra cultura è uno dei grandi compiti che vi attendono nel vostro ministero. Prego che l’anno mariano, per l’intercessione della Madre del Redentore, porti a voi Vescovi e a tutti i sacerdoti religiosi e laici della Chiesa dello Zimbabwe la conferma nella fede e nella carità, e una nuova effusione dei doni dello Spirito Santo, da cui proviene tutto il lavoro di evangelizzazione (cf. Lc 24, 49). Nell’attesa di incontrarci nella vostra patria, vi prego di portare il mio saluto a tutti i fratelli e sorelle della casa di Dio nello Spirito (cf. Ef 2, 19-22). La pace di Dio sia con voi!

 

© Copyright 1988 - Libreria Editrice Vaticana

 



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana