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VISITA PASTORALE IN EMILIA

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON IL MONDO DEL LAVORO ALL’AUTODROMO DI FIORANO

Fiorano (Modena) - Sabato, 4 giugno 1988

 

1. Giunto in visita pastorale nella vostra regione, porgo il mio cordiale saluto a voi, esponenti del mondo del lavoro, che partecipate a questo incontro: a voi operai, tecnici, dirigenti ed imprenditori, impegnati nelle attività agricole, industriali, artigianali, cooperative e commerciali, giovani e anziani, uomini e donne, che rappresentate vaste zone dell’arcidiocesi di Modena-Nonantola e la zona sassolese della diocesi di Reggio Emilia.

Il luogo dove ci incontriamo, segnato fortemente dal lavoro e dall’ardimento umano, da fabbriche e campi, da capannoni e ciminiere, è vicinissimo al Santuario diocesano della Madonna del Castello di Fiorano Modenese. Questa circostanza mi pare significativa. È in compagnia di Maria di Nazaret, la quale veglia dall’alto del Santuario, che vogliamo sostare assieme per riflettere brevemente sulla situazione economico-sociale dell’Emilia e per accogliere con cuore aperto la parola del divino lavoratore, e meditare sul suo esempio.

Queste vostre terre, nel dopoguerra, hanno visto uno sviluppo rapidissimo ed equilibrato dei vari settori produttivi. La florida condizione economica della zona è ben nota. Essa è il risultato di risorse naturali, come la posizione e la qualità del territorio, unite alla vostra capacità di lavoro e al vostro spirito di iniziativa.

È stato possibile sviluppare l’occupazione; e i diritti del lavoratore, sia esso subordinato o autonomo, sia professionista o operatore economico, sia dipendente o imprenditore, sia singolo che associato, sono qui meno in pericolo che altrove.

Ma è da chiedersi se, di fatto, questa disponibilità di mezzi e di risorse sia usata in tutte le sue potenzialità e in modo corretto e giusto, cioè per finalità di promozione umana; o se non accada a volte, anche qui, che le tendenze speculative e l’ansia del massimo e più rapido profitto condizionino l’operato di tutte le parti interessate, fino al punto che, anche in questa generale situazione di avanzato sviluppo, sorgano problemi nei rapporti di lavoro, permangano squilibri territoriali, ci sia lo sfruttamento sconsiderato dei beni naturali e primari fino al degrado dell’ambiente e a situazioni di grave inquinamento.

Ma soprattutto ritorna, come spesso nei nostri tempi, deludendo tante sicurezze, la minaccia della disoccupazione, la quale, se pur contenuta in questo ultimo periodo, resta consistente, specialmente in questa zona, dove le capacità occupazionali dell’industria ceramica sono diminuite.

Tende così purtroppo ad allargarsi il dramma ben noto di lavoratori inoccupati ancora validi, di giovani e di donne in cerca di una prima occupazione, di handicappati estromessi o non ammessi al lavoro, di nuovi pendolari, di immigrati che ritornano sconsolati ai luoghi di origine e di alcune famiglie a reddito zero.

2. Ho ricordato rapidamente alcuni tratti della vostra situazione, passata e attuale: quanti bastano per indurre a volgere lo sguardo con rinnovata attenzione ad alcuni valori morali e spirituali fondamentali, che la Chiesa non si stanca di riproporre per una giusta impostazione delle attività economico-sociali nella vita delle famiglie e di tutta la società.

È la voce di Gesù che arriva a voi attraverso la voce del pastore visibile della sua Chiesa. La Madonna dal suo Santuario ci ripete quello che disse alle nozze di Cana: “Fate quello che vi dirà” (Gv 2, 5).

Il Figlio di Dio è disceso dal cielo per noi uomini e per la nostra salvezza e ha stabilito la Chiesa quale testimone e continuatrice della sua opera. Per questo l’uomo è “la via della Chiesa” (cf. Redemptor Hominis, 14): l’uomo cioè nella sua vocazione terrena ed eterna, l’uomo rispettato, anzi amato, in tutte le sue dimensioni di corpo, volontà, affettività, intelligenza e spirito.

Certamente di questa vocazione dell’uomo fa parte il lavoro in tutte le sue forme e manifestazioni. Il lavoro è il mezzo onesto e normale, non solo per procurare quanto occorre alla propria vita e a quella dei propri cari, ma anche per consentire a ciascuno di realizzarsi nella sua personale identità e di contribuire alla costruzione del bene comune. Diritto al lavoro dovere del lavoro si coniugano così in modo inscindibile nella vita di tutti e rappresentano una strada obbligata per l’azione e per lo sviluppo della società.

L’uomo, inoltre, aperto a Dio e illuminato dalla fede, comprende che la sua fatica quotidiana è collaborazione all’opera del Creatore e del Redentore.

Questi contenuti del lavoro dimostrano inequivocabilmente il grande valore che esso ha nella vita dell’uomo, anche se la persona umana nel suo stesso impegno lavorativo deve essere aperta ad altri valori, ancora più grandi: la famiglia, la cultura, la vita religiosa e sociale.

In questo quadro appare chiaro il diritto-dovere di tutte le persone di avere o di procurarsi un lavoro. Ma appare altrettanto chiaro il dovere dei gruppi sociali e della società di fare quanto è in loro potere perché il lavoro non manchi a nessuno.

3. E doveroso riconoscere che la vostra molteplice capacità di iniziativa in campo economico-sociale riesce a rendere meno drammatico il cambiamento che state vivendo, e di questo la società stessa, come i suoi membri, vi sono riconoscenti. Così infatti i diritti dei singoli vengono meglio rispettati e i relativi doveri sono più facilmente adempiuti. Ogni iniziativa, ed anche l’attività economica, per essere autentico fatto umano deve essere espressione di valori morali. Non dovete quindi temere di lasciarvi guidare da questi valori.

Anche il diritto di associazione professionale, che voi avete sviluppato in maniera notevole, si fonda su di un valore morale. Ma se così è, occorre dedurne che la finalità di questi fatti associativi non può essere soltanto la pur legittima promozione degli interessi dei vari gruppi. L’azione delle diverse associazioni sindacali deve essere orientata verso forme più responsabili di coinvolgimento in obiettivi di bene comune, nel quale consiste, come ben sapete, il primo valore morale di una società.

Un modo di pensare e di essere, che congiunge armonicamente valori economici e valori morali, subordinando gli uni agli altri, dovrebbe entrare sempre più a far parte della vita di tutte le imprese ed animare l’elaborazione delle politiche economiche, a tutti i livelli. L’azienda deve tendere sempre meglio ad essere una comunità di persone, in cui s’incontrano e coordinano i diritti e i doveri personali in vista del bene dell’azienda e di quello più generale della società.

Oltre all’impegno per il dialogo e l’ascolto mutuo, la dottrina sociale della Chiesa sollecita fortemente a camminare verso forme di partecipazione in cui ciascuno, pur nella distinzione dei ruoli, abbia il senso di lavorare in proprio nella consapevolezza di lavorare per il bene di tutti.

Nelle vostre zone è molto forte la spinta all’esportazione anche verso i Paesi del terzo mondo. Si pone allora il problema di adottare decisioni economiche e sindacali che non danneggino il cammino di sviluppo di quei popoli, in un doveroso atteggiamento di universale solidarietà (cf. Sollicitudo Rei Socialis, 46).


Durante l’incontro con il mondo del lavoro modenese a Fiorano, dopo aver ricevuto alcuni doni simbolici da parte dei rappresentanti dei diversi settori produttivi il Santo Padre nel ringraziare i presenti pronuncia, improvvisando, il seguente discorso.  

Ho ricevuto tanti doni, tanti doni. Non sono in grado di ringraziare ma, d’altra parte, non posso fare altro che dire “grazie”. Tutti questi doni sono cose preziosissime, non solamente opere d’artigianato, ma anche veramente opere d’arte, di grande creatività. Sono doni molto specifici: per esempio, io non so se i presenti si rendano conto che il Papa ha ricevuto anche un cavallo, con la condizione di non usarlo, ma di destinarlo ad altri e soprattutto ai ragazzi, ai bambini che hanno bisogno di questo sforzo e di questo esercizio.

Così arriviamo al significato di tutti questi doni: io mi sento come colui che ha ricevuto tanti doni, ma nello stesso momento mi sento come un potenziale donatore di questi doni agli altri. E per tutti questi sentimenti che si concatenano in un senso logico e, direi, evangelico, voglio ringraziare tutti i presenti, perché voi avete suscitato questi sentimenti nel mio cuore.

Mi viene ancora in mente la grande figura di san Benedetto, che forse non è così direttamente legato con la vostra terra come è legato con Montecassino e con altri luoghi in Italia. Ma essendo patrono d’Europa, egli è legato con tutti i Paesi e con tutte le regioni europee. Soprattutto rimane il suo messaggio, che è molto semplice. Si riduce a due parole: “Ora et labora”. Io penso che questo suo messaggio semplice, benedettino, conservato non solamente dentro i monasteri benedettini del mondo, è anche un messaggio accolto, ricevuto e praticato da tanti cristiani, da tutti noi qui presenti. In un certo senso, questo messaggio di san Benedetto, “Ora et labora”, può essere letto anche partendo dalla seconda parola: “Labora et ora”.

Ma qui vorrei fare una esegesi di queste parole di san Benedetto così composte: “labora” ed “ora”. Penso che queste parole così pronunciate, così sistemate, ci spieghino il senso di quello che è l’insegnamento sociale della Chiesa. Perché la realtà del lavoro umano è stata sempre presente nel mondo, nella storia dell’umanità, delle nazioni, dei popoli, ma e diventata una misura del tutto nuova negli ultimi secoli. Il lavoro umano è diventato un fatto nuovo: la “rivoluzione del lavoro”. L’umanità ha vissuto e vive ancora questa “rivoluzione del lavoro”. E occorreva adesso davanti a questo lavoro così grande, così rivoluzionato, così nuovo, occorreva verificare i principi che si trovano nel Vangelo. E così la Chiesa attraverso i diversi “Benedetti” dei nostri tempi, più vicini alla nostra epoca - tra i quali sono anche alcuni Papi, cominciando da Leone XIII - ha fatto quel cammino. Passando per il lavoro, per la realtà del lavoro umano, così ricco, così sviluppato e così sconvolto, così minacciato, ha cercato di entrare nel Vangelo e di trovare nel Vangelo le risposte.

Così è nata la dottrina sociale della Chiesa, e così nasce, nasce ancora, nasce sempre. Nasce in quanto per noi diventa sempre più chiaro e più evidente che fuori di quei principi, di quelle verità evangeliche, non troviamo risposte adeguate a tutto ciò che riguarda il lavoro umano, a tutti i problemi umani, sociali, economici, politici. Per esempio, leggendo il discorso di oggi ho pensato che c’è un passo in questa catechesi sulla dottrina sociale della Chiesa, un passo in cui questi principi del Vangelo circa la realtà del lavoro, nella sua dimensione non solamente individuale, familiare, non solamente nazionale, ma mondiale, diventano ancora più chiari e più esigenti, più indispensabili. Per esempio, il principio della solidarietà, che oggi esprime le necessità della giustizia e dello sviluppo omogeneo, proporzionale, non solamente di tutti i gruppi nella società, in una stessa società, di tutte le persone, ma di tutti i popoli. Il problema di oggi è quello dello sviluppo e soprattutto del sottosviluppo di tanti popoli; il problema della distribuzione ingiusta dei beni che provengono dal lavoro umano; il problema delle sproporzioni tremende fra i Paesi sviluppati, anzi, possiamo dire, soprasviluppati, e quelli sottosviluppati, e ancora, più o meno sottosviluppati. Ecco, così si pone il problema, oggi. E questo, seguendo la realtà del lavoro nelle sue diverse dimensioni, non ha potuto non scoprire la Chiesa nel suo insieme: non ha potuto non scoprire e non chiamare per nome la Chiesa e non cercare poi le risposte.

Torniamo al motto di san Benedetto, “ora et labora”. Io direi a tutti: dovete continuare con questa metodologia benedettina, “ora et labora”. Dovete continuare, ma dovete anche, nello stesso tempo, introdurre la seconda metodologia che proviene dalla prima: “labora et ora”.

Cerca nella orazione, nella preghiera, nel Vangelo, cerca le luci, cerca i motivi, cerca le risposte per portare la giustizia al mondo, per risolvere i problemi dello sviluppo! Cerca nella preghiera, cerca nel Vangelo: là si troveranno! E questo è un grande invito a tutti noi, perché tutti siamo la Chiesa e tutti siamo, in un certo modo, coinvolti in questo apostolato della Chiesa che, è nello stesso tempo, apostolato del lavoro, Laborem Exercens, e nello stesso tempo Sollicitudo Rei Socialis: è un impegno evangelico, è un impegno cristiano per tutti.

Deve essere “sollicitudo”: vi sono diverse categorie economiche, ma mancava questa “sollicitudo”. Diverse categorie: la categoria, per esempio, del profitto è giusta, ma non è sufficiente; deve essere “sollicitudo”. Cosa vuol dire “sollicitudo”? “Sollicitudo” vuol dire che al centro si trova la persona umana, l’uomo.

Allora, io lo dico non per prolungare, ma per tirare un po’ le conclusioni di questo nostro incontro, nelle prospettive di quel grande lavoro evangelico che la Chiesa deve intraprendere, in cui si deve impegnare sempre di più. La Chiesa vuol dire tutti noi: noi tutti siamo la Chiesa, come ha detto chiaramente il Vaticano II nella Lumen Gentium con la sua dottrina sul “Popolo di Dio”. Grazie per la vostra pazienza e grazie per la vostra Sollicitudo Rei Socialis!

Ancora una parola, per il coro. Non c’è lavoro senza canto. Anche questo ci ha insegnato san Benedetto. Sappiamo bene come i benedettini e le benedettine siano veramente i protagonisti del canto liturgico. Ringraziamo i nostri cantori e le nostre coriste, per averci facilitato questa nostra odierna Sollicitudo Rei Socialis . . . È arrivato fra noi il Cardinale Segretario di Stato, appena tornato dalle Nazioni Unite. Vuole essere presente nella visita alla sua terra, alla terra d’origine.

 

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