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PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN NORVEGIA, ISLANDA,
FINLANDIA, DANIMARCA E SVEZIA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DURANTE L’INCONTRO ECUMENICO
NELLA CATTEDRALE LUTERANA

Uppsala (Svezia) - Venerdì, 9 giugno 1989

 

“Perché tutti siano una cosa sola . . . perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21).

Cari fratelli e sorelle.

1. Con queste parole del Vangelo dinanzi a noi, desidero ringraziare Dio onnipotente che nella sua amorevole provvidenza mi ha permesso di essere oggi insieme a voi. Rivolgo il mio cordiale saluto alle loro maestà Re Carlo Gustavo e la Regina Silvia per la loro gradita presenza, a cui unisco fervide preghiere per la pace e il benessere della Nazione. Desidero inoltre esprimere il mio ringraziamento all’Arcivescovo Werkström, che ha spalancato le porte dell’amicizia per questo servizio ecumenico. A tutti voi che questa mattina siete venuti qui a pregare con il Vescovo di Roma tendo la mano di fratellanza e di pace nel nostro Signore Gesù Cristo.

Le letture della Scrittura che abbiamo appena udito dal libro del profeta Isaia e dal Vangelo di Giovanni rispondono alle più profonde aspirazioni all’unità e alla pace del cuore umano. Nel libro della Genesi leggiamo come questi doni siano andati perduti a motivo del peccato. L’assassinio di Abele da parte di suo fratello Caino (cf. Gen 4) e in particolare la costruzione della torre di Babele (cf. Gen 11) mostrano come la realtà del peccato si sia diffusa e moltiplicata. Dimenticando Dio gli uomini hanno cercato di costruire una torre con le loro sole forze, solo per finire nell’incomprensione e nella divisione. La torre di Babele è il primo di numerosi episodi dell’antico testamento che mostrano le conseguenze degli errati tentativi dell’uomo di fare da solo senza rivolgersi a Dio che lo ha creato.

Ma nella prima lettura di oggi il profeta Isaia annuncia la promessa del ristabilimento dell’unità e della pace con Dio e fra gli uomini che il Signore stesso effettuerà sul monte Sion. Egli proclama questa visione di speranza: “Il monte del tempio del Signore . . . sarà più alto della cima dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: “Venite, saliamo sul monte del Signore . . . perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri . . . un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra”” (Is 2, 2-4). A differenza dei costruttori di Babele, Isaia riconosce che unità e pace non sono garantite da alcun programma umano ma giungeranno attraverso la conoscenza di Dio attraverso l’obbedienza alla legge divina, attraverso la conoscenza delle vie di Dio e “camminando sui suoi sentieri”. Isaia riconosce la natura spirituale del “tempio” in cui verranno ristabilite l’unità e la pace con Dio e fra gli uomini.

Questa visione di Isaia si compie nel nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. Egli è l’eterno Sacerdote, che alla vigilia della sua morte inizia una preghiera per l’unità e la pace che continua ad offrire fino al suo perfetto compimento alla fine dei tempi: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi” (Gv 17, 20-21). Con la sua morte e la sua Risurrezione Cristo divenne il tempio spirituale a cui “accorrono tutte le nazioni”. Con la sua rivelazione della verità su Dio e sull’uomo, Cristo mostra che l’aspirazione umana all’unità e alla pace ha il suo inizio e la sua fine in un mistero trascendente: l’unione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

2. Cari fratelli e sorelle, questo Vangelo riguarda ciascuno di noi personalmente. La preghiera sacerdotale di Cristo comprende noi, giacché anche noi siamo diventati credenti attraverso la parola degli apostoli. Il dono della salvezza, che restituisce l’uomo alla comunione con Dio e con gli altri, è rivolto a tutti. “Piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e santamente lo servisse” (Lumen Gentium, 9). All’unità dell’unica Chiesa di Cristo, quindi, Dio chiama tutti coloro che credono che Gesù è “autore della salvezza e principio di unità e di pace” (Lumen Gentium, 9). Egli infatti ha costituito la sua Chiesa “perché sia per tutti e per i singoli il sacramento visibile di questa unità salvifica” (Lumen Gentium, 9).

L’unità è una caratteristica essenziale della Chiesa. Lungi dall’essere un’organizzazione meramente umana con un messaggio, la Chiesa è il corpo e la sposa del suo Signore, nata dal suo costato sulla Croce. La sua unità scaturisce dalla sua natura intrinseca ed è essenziale alla sua missione. È parte del piano salvifico di Dio. È la volontà e la preghiera di Cristo. Riconosciamo anche che affinché la Chiesa sia un segno credibile di redenzione e comunione con Dio, essa deve vivere in conformità con ciò che è e con quanto proclama. In verità tutti coloro che guardano a Gesù come l’“autore della salvezza e il principio di unità e di pace” (Lumen Gentium, 9) vorranno fare tutto il possibile per essere segni e strumenti efficaci di quella unità e pace “perché il mondo creda” (Gv 17, 21). Per questo motivo la preoccupazione per l’unità dei cristiani, con cui ci siamo raccolti in preghiera questa mattina non è un problema piccolo o superficiale.

3. Dobbiamo riconoscere con dolore che i cristiani non sono uniti. Allo stesso tempo possiamo essere fiduciosi che il Signore della storia non ci ha abbandonati alle nostre divisioni. Egli con saggezza e pazienza ci conduce con la sua grazia ad un maggiore ravvedimento e ad un maggiore desiderio dell’unione (cf. Unitatis Redintegratio, 1).

Nonostante tutti i dissensi e le divisioni nel corso dei secoli, la fede nel nostro unico Signore e salvatore e l’unione con lui attraverso il Battesimo assicura una certa comunione, anche se imperfetta. Il Battesimo, che è il legame sacramentale fra tutti coloro che sono nati a nuova vita, è allo stesso tempo un dinamico punto di partenza. Una volta battezzati, dobbiamo impegnarci per la pienezza della vita in Cristo, una pienezza che è espressa nella completa professione di fede e nell’unità e fratellanza sacramentale della Chiesa, così come Cristo ha voluto che fosse (cf. Unitatis Redintegratio, 22). Come ho detto lo scorso anno a una delegazione della Federazione luterana mondiale: “Poiché noi condividiamo già vincoli di unità in Cristo attraverso il Battesimo, non possiamo ritenerci soddisfatti se non con la piena comunione” (Ad quosdam seiunctos Fratres coram admissos, 3, die 4 mar. 1988: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XI, 1 [1988] 552).

I protestanti e i cattolici in Svezia condividono anche uno straordinario retaggio storico, di cui questa grande cattedrale di Uppsala è un magnifico ricordo. Fu costruita come santuario nazionale al tempo in cui tutto il popolo svedese condivideva la stessa fede. Tutt’ora la tomba di sant’Erik è conservata qui. La fede che ha ispirato la costruzione di questa cattedrale ha guidato un tempo i cistercensi, i domenicani e i francescani nel vostro Paese. Essa ispirò santa Brigida, le cui rivelazioni furono lette in tutta l’Europa. Perfino dopo la riforma, molto dell’eredità cattolica fu custodito qui, più che in altri paesi.

4. Il riferimento alla storia e il riconoscimento di questo retaggio comune rendono le nostre divisioni ancora più dolorose. Esse infondono in noi uno spirito di pentimento. Il decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II ricorda l’ammonimento della prima lettera di Giovanni: “Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi” (Gv 1, 10). Estende questo monito ai peccati contro l’unità e ci esorta a chiedere “perdono a Dio e ai fratelli separati, come pure noi rimettiamo ai nostri debitori” (Unitatis Redintegratio, 7).

Cari fratelli e sorelle, è una sfida per noi perdonarci l’un l’altro, ma il Signore ci ha comandato di farlo. Dopo quattrocento anni di separazione, occorre del tempo perché il processo di riconciliazione e di risanamento abbia luogo. Non tutto può essere fatto subito, ma dobbiamo fare oggi quello che possiamo nella speranza di ciò che sarà possibile domani.

Nel cercare una maggiore comprensione, il dialogo paziente può fare molto. Chiediamoci: Cosa possiamo imparare gli uni dagli altri? Come possiamo arricchirci l’un l’altro? Il dialogo ci permette di esaminare nuovamente i profondi problemi sorti al tempo della riforma, senza polemiche e sfiducia. Ma una cosa è chiara: non troveremo mai l’unità cercando un minimo denominatore comune che possa essere accettabile per tutti. I nostri sforzi saranno fruttuosi soltanto se scopriremo e accoglieremo insieme la piena e autentica eredità di fede data da Cristo attraverso i suoi apostoli. Continuiamo a cercare di trovare sempre di più in quella fede la nostra forza per vivere una vita veramente cristiana (cf. Unitatis Redintegratio, 8).

Vivere in Cristo offre un indispensabile fondamento spirituale alla nostra ricerca dell’unità fra i cristiani. È molto importante, quindi, che vi sia un impegno spirituale all’unità da parte di ciascuno e di tutti i cristiani. L’ecumenismo ci sfida ad intensificare la nostra preghiera privata e pubblica, a riconvertirci, a crescere in santità di vita. Solo in questo modo saremo in grado di discernere la volontà di Dio e di aprirci all’intera verità su Cristo e la sua Chiesa. Quando consideriamo la grandezza del compito ecumenico, dobbiamo riconoscere la nostra inadeguatezza. Ma il Signore ci assicura: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre . . . lo Spirito di verità” (Gv 14, 16-17). Questo Spirito di verità renderà testimonianza a Cristo e guiderà il credente alla completa verità, poiché “non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito” (Gv 16, 13). Per quanto noi ci impegniamo per l’unità, essa rimane sempre un dono dello Spirito Santo. Saremo disponibili a ricevere questo dono nella misura in cui avremo aperto le nostre menti e i nostri cuori a lui attraverso la vita cristiana e soprattutto attraverso la preghiera.

5. Mi unisco a voi nel rendere grazie per i molti modi in cui lo Spirito Santo ha accompagnato il movimento ecumenico in Svezia nel corso degli anni e ha riavvicinato i cristiani. Pensiamo soltanto alla vita e all’opera di persone come il grande Arcivescovo di Uppsala, Nathan Söderblom, che è sepolto in questa cattedrale e i cui sforzi per l’unità dei cristiani e per la pace mondiale sono ben noti. Ricordo con grande piacere gli scambi verbali ed epistolari con la mia compatriota Ursula Ledochowoska, quella donna eccezionale che è vissuta per diversi anni in Svezia durante la prima guerra mondiale e il cui nome è stato scritto e annoverato fra i “Beati”.

È inoltre consolante vedere quanto sia vasta la cooperazione tra i cristiani oggi in Svezia. Occorre fare una menzione speciale dell’appello al dialogo ecumenico pubblicato nel 1987 dall’Arcivescovo Werkström a nome dei Vescovi della Chiesa luterana svedese e indirizzato a tutti i leaders delle Chiese in Svezia. Oltre agli importanti dialoghi che hanno luogo a livello internazionale tra luterani e cattolici, vi sono state anche discussioni teologiche in spirito veramente fraterno fra la Chiesa cattolica e la Chiesa luterana svedese. Queste discussioni hanno portato a importanti documenti sul matrimonio e la famiglia cristiana e sull’ufficio del Vescovo.

In Svezia dobbiamo prendere atto con gratitudine di un nuovo spirito di buona volontà fra cattolici, luterani e membri delle Chiese libere. In molti luoghi in cui i cattolici non hanno una Chiesa i loro vicini protestanti hanno messo a disposizione gli edifici necessari al culto. Esiste inoltre un cordiale rapporto fra i cattolici e i loro fratelli e sorelle ortodossi in Svezia. Ricordo le parole di san Paolo: “Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione” (2 Cor 5, 18).

6. Cari amici: sono venuto nel vostro Paese in uno spirito di amore quale vostro fratello in Cristo, quale Vescovo di Roma, successore di Pietro, a cui il Signore disse: “Ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22, 32). Sono venuto come servitore e testimone di Cristo, come pastore del suo gregge. Vi saluto a nome della Chiesa cattolica e vi porto i saluti e le preghiere di tutti coloro che sono in piena comunione con la Chiesa di Roma, di cui sin dai tempi antichi è stato detto che “ha il primato dell’amore” (S. Ignatii Antiocheni, Ad Romanos).

Qui a Uppsala, in questa grande cattedrale, come un fratello, esorto sia i protestanti che i cattolici a “combattere la buona battaglia della fede” (1 Tm 6, 12), ad avvicinarvi sempre di più a Gesù Cristo, che mori “per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11, 52). In questo modo ci avvicineremo sempre di più gli uni agli altri.

Fratelli e sorelle, non cessiamo mai di perseguire l’unità. Saliamo insieme sul “monte del Signore”. Amiamoci gli uni gli altri, “perché il mondo creda”. Amen.

 

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