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VIAGGIO APOSTOLICO
A CAPO VERDE, GUINEA BISSAU, MALI, BURKINA FASO E CIAD

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON I SACERDOTI, I RELIGIOSI E I SEMINARISTI
DELL
’ARCIDIOCESI DI N’DJAMENA

Sala parrocchiale «Charles Lwanga» della Cattedrale

di N Djamena (Ciad)
Mercoledì
, 31 gennaio 1990

 

Cari fratelli e sorelle,

1. “Vi ho chiamati amici” (Gv 15, 15).

Non era anche a voi che il Cristo pensava quando pronunciava queste parole, prima di iniziare la sua Passione?

In effetti, il Cristo vi ha scelto per unirvi a Lui, intimamente, come amici, nella sua vita di Sacerdote, per il servizio del Popolo di Dio, ed alla sua vita di Unto del Signore, di persona consacrata, ad imitazione del Padre, seguendo l’invito che egli fece nel discorso della montagna: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5, 48).

Cari amici di Cristo, io vi saluto cordialmente e vi esprimo tutta la mia gioia per essere con voi questa sera. L’incontro con i miei fratelli nel sacerdozio e con coloro che sono impegnati sul cammino della perfezione evangelica costituisce sempre un momento privilegiato durante i miei viaggi.

2. Saluto innanzitutto di cuore i sacerdoti, i religiosi e le religiose che provengono da altri luoghi e che si dedicano ancora all’opera di evangelizzazione di questo Paese. Cari fratelli e sorelle missionari, grazie per tutta l’opera che avete compiuto e continuate a compiere; grazie per la vostra testimonianza di amore, sulla linea del grande comandamento del Signore: “Che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 12-13).

La vostra presenza in Ciad manifesta lo slancio missionario delle vostre comunità cristiane di origine. Essa sottolinea anche il senso di solidarietà che deve animare tutti i battezzati nel loro cammino verso Dio. Essa è anche segno del prezzo inestimabile che voi pagate al dono della fede, alla conoscenza di Cristo, all’edificazione della Chiesa, in conformità alla volontà espressa dal Signore: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16, 5).

Che voi possiate continuare a far beneficiare della vostra esperienza di pionieri i fratelli e le sorelle che sono chiamati a prendere in mano l’avvenire della Chiesa nel Ciad, aiutandoli a portare la fiamma della fede!

3. Cari sacerdoti, tra i compiti del vostro ministero sacerdotale ce n’è uno che ha attratto più particolarmente la vostra attenzione da circa un anno; intendo parlare del ministero della riconciliazione, al quale i vostri Vescovi hanno consacrato un’importante lettera pastorale.

Vi siete dedicati a rendere i cristiani attenti al loro compito di lasciarsi riconciliare con Dio, di riconciliarsi con i loro fratelli e di operare per la riconciliazione fra gli uomini stessi.

Si tratta di un ministero di grande valore e di grande attualità per voi, in Ciad. Nel pensiero di Dio, la Chiesa è composta da persone riconciliate che sono state purificate dal sangue di Cristo e che hanno ricevuto lo Spirito della pace. Questo popolo non esiste solo per se stesso, ma per radunare e riconciliare gli uomini. Richiedendo il battesimo, il cristiano si impegna a compiere la missione che ogni membro della Chiesa riceve: essere un artigiano della pace.

4. La pace interiore e il diffondersi dell’amore di Dio, ecco quello che voi cercate, cari Fratelli e Sorelle membri degli Istituti di vita consacrata, che qui saluto dal profondo del cuore, perché voi avete scelto di seguire Gesù Cristo e di imitarlo in tutto.

Voi avete fatto il vostro ingresso in questa scuola di santità che è la vita religiosa, prendendo la difficile via della castità, della povertà e dell’obbedienza poiché esse vi sono apparse nella retta via del Vangelo.

Voi ricoprite un ruolo insostituibile nella missione della Chiesa. In effetti, nel seno del popolo dei battezzati, la vostra vita ricorda che la vocazione cristiana è quella di seguire il Cristo e di mettersi alla sua scuola, in particolare nel servizio del prossimo. Per la scelta e il distacco che essa implica, la vostra vita è testimonianza della chiamata delle Beatitudini rivolta a tutti gli uomini.

Uno dei segni più eloquenti della vitalità di una comunità diocesana, è l’esistenza nel suo seno di una vita religiosa di qualità. Così, cercate i mezzi per approfondire la vostra vita spirituale: ascolto e meditazione della Parola di Dio, preghiera personale e comunitaria, partecipazione all’Eucaristia.

5. Infine, mi rivolgo in modo più particolare a voi, cari sacerdoti nati in questa terra del Ciad e cari seminaristi del seminario maggiore “San Luca”, che vi preparate a formare il volto della Chiesa dell’anno Duemila.

In occasione del centesimo anniversario della fondazione dell’Opera di San Pietro Apostolo, nel Ciad ci si è posti la seguente domanda: “Sacerdote del Ciad, qual è la tua identità?”. Permettetemi di proseguire con la riflessione che avete iniziato.

6. Come ogni sacerdote, il sacerdote del Ciad deve apparire innanzitutto come l’uomo di fede, poiché egli, in virtù della sua missione, deve comunicarla attraverso l’annuncio della Parola. Egli non può predicare il Vangelo in maniera convincente se egli stesso non ne ha assimilato profondamente il messaggio. Egli testimonia la fede con il suo operare e con tutta la sua vita. Attraverso i suoi contatti pastorali, egli si sforza di sostenere i suoi fratelli nella fede, di rispondere ai loro dubbi e di rafforzarli nelle loro convinzioni.

Ogni sacerdote deve essere preparato al proprio ruolo di educatore della fede all’interno della comunità cristiana. È per questo che è necessario che, nei seminari, la dottrina rivelata sia insegnata in modo tale che i giovani comprendano qual è l’oggetto della loro fede e rispondano alla chiamata del Signore con un’adesione libera e interiorizzata del messaggio evangelico, assimilata nella preghiera.

7. Uomo di fede, il sacerdote è anche l’uomo del sacro, il testimone dell’Invisibile, il portavoce di Dio rivelato in Gesù Cristo. Spontaneamente religioso, il popolo ciadiano è sensibile alla dimensione religiosa di ogni realtà. Che esso sia cristiano o musulmano, o che sia seguace di tradizioni religiose ancestrali, il ciadiano prova stima e rispetto per ogni uomo di Dio. Il sacerdote deve essere riconosciuto come un uomo di Dio, un uomo di preghiera, che viene visto pregare, che si sente pregare. Quando egli celebra l’Eucaristia, la penitenza, l’unzione dei malati, o quando celebra i funerali, o le varie benedizioni o riunioni di preghiera, che egli lo faccia con dignità, prendendo il tempo necessario e vestendo l’abito che è conveniente.

8. Il sacerdote deve quindi alimentare in sé una vita spirituale di qualità, ispirata dal dono del proprio sacerdozio ministeriale. Si può, infatti, parlare di una “spiritualità del sacerdote diocesano”. La sua preghiera, la sua condivisione, i suoi sforzi nella vita sono ispirati dalla sua attività apostolica che si alimenta di tutta la vita vissuta con Dio. È stato osservato che ad un periodo di attività pastorale intensa corrisponde sovente un tempo forte di vita spirituale. Il Concilio Vaticano II ci ha rammentato, del resto, “quella carità verso Dio e gli uomini, che è l’anima di tutto l’apostolato” (Lumen gentium, 33).

9. Uomo di fede, uomo del sacro, il sacerdote è anche l’uomo della comunione. È lui che raduna il Popolo di Dio e rafforza l’unione tra i suoi membri per mezzo dell’Eucaristia; egli è l’animatore della carità fraterna tra tutti.

Il sacerdote non può avventurarsi da solo nel lavoro che l’attende nella vigna del Signore. Opera con i suoi fratelli nel sacerdozio. Collabora con il proprio Vescovo. Si sforza di creare dei legami fraterni tra tutti i membri del presbiterio; col gruppo presbiteriale in particolare, l’amicizia spirituale è di stimolo per il ministero. Il sacerdote inoltre raduna insieme i membri del Popolo di Dio affidato alla sua cura pastorale. Ricordatevi delle parole del compianto Monsignor Balet, Vescovo di Moundou: “Io sono in mezzo a voi come colui che serve”. Su questa base di relazioni profonde e ricche, il celibato acquista un significato nuovo: esso non è più una condizione del sacerdozio ma il cammino di una vera fecondità, di un’autentica paternità spirituale, poiché il sacerdote dona la sua vita affinché i frutti dello Spirito maturino nel Popolo di Dio.

10. La Chiesa nel Ciad cresce. Essa deve ancora affondare le proprie radici in profondità nella cultura del Paese. È il compito che vi aspetta e che i vostri predecessori hanno già iniziato. Pur rispettando, attraverso il discernimento, l’eredità religiosa dei vostri antenati, voi dovete rivelare il Cristo oggi e mostrare come si raccorda alle aspirazioni attuali del vostro popolo. Sta a voi, figli di questo Paese, proseguire il radicamento del Vangelo. Tutto ciò esige da voi un senso profondo della Chiesa e della sua cattolicità così come essa si dispiega attraverso i tempi e in tutti i popoli.

Questo tema dell’inculturazione sarà uno dei temi toccati dall’Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Io raccomando alla vostra preghiera queste importanti riunioni e vi invito a prendere parte attivamente alla preparazione di questo grande avvenimento, presentando le vostre esperienze, le vostre riflessioni e le vostre speranze. Contribuirete così al rinnovamento della missione evangelica della Chiesa in Africa, all’alba del Terzo Millennio.

11. Che Nostra Signora, alla quale ho avuto la gioia di affidare il Ciad al termine della celebrazione mariana di N’Djamena, vi aiuti a diventare dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose secondo il cuore di Cristo, per la gloria di Dio e la salvezza del mondo! Di tutto cuore, vi benedico, cari Fratelli e Sorelle, e vi esorto ad essere per il vostro Paese dei messaggeri di speranza.

 



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