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VISITA ALLA PARROCCHIA DI SAN BRUNO

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 5 aprile 1992

 

Ai bambini della parrocchia di San Bruno

Il primo incontro della visita pastorale nella parrocchia romana di San Bruno è quello con i bambini che accolgono il Papa con una semplice ma suggestiva coreografia e con un canto particolarmente significativo, composto da un religioso cappuccino del vicino Collegio di San Leonardo da Brindisi, perché - spiega un giovane seminarista guanelliano che presta il suo servizio in parrocchia - sono stati proprio i bambini a sceglierlo. Giovanni Paolo II saluta i bambini con queste parole.

Sia lodato Gesù Cristo, questa vostra amica che ha parlato a nome di tutti si chiama Ilaria e Ilaria vuol dire allegra. Ho visto che tutti voi siete allegri, gioiosi e lei vi ha rappresentato in questa vostra allegria.

Vi ringrazio per questa allegria, per questa gioia, perché ci si aspetta dai bambini, dai giovani che siano allegri e che portino allegria agli altri. Saluto cordialmente tutti i bambini, anche quelli che ancora devono andare a scuola, quelli che frequentano le scuole elementari, la scuola media, poi i diversi insegnanti, le suore, le novizie, e i vostri genitori, alcuni dei quali sono qui in questa sala.

Volevo dirvi che oggi noi entriamo in un periodo che ci preannuncia le ultime due settimane della Quaresima. E da questa domenica si guarda più alla Passione di Gesù. Durante tutta la Quaresima abbiamo guardato sempre verso la via Crucis, verso la sua Passione, ma soprattutto in queste ultime settimane, questa poi è l’ultima, la Settimana Santa, la settimana della Passione di Gesù.

Si guarda alla Croce, a Gesù Crocifisso e c’è un mistero profondo in questo Gesù Crocifisso, Figlio di Dio. Crocifisso vuol dire sconfitto, umiliato, condannato a morte, sofferente. Non si sa quale sofferenza perché non è solamente sofferenza fisica, l’agonia, ma anche sofferenza spirituale perché Gesù portava sulla Croce i peccati di tutto il mondo, era l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo come confessiamo nella celebrazione eucaristica ogni volta prima di comunicarci. E allora questa Croce, questa morte può sembrare, può significare, anzi significa, la debolezza, quasi la debolezza assoluta, sconfitta. Invece c’è un mistero per noi tutti: se guardiamo a questa Croce, se prendiamo un contatto profondo con questa Croce, una comunione con questa Croce, noi diventiamo forti.

Questa Croce è la nostra fortezza, è la nostra forza. Vi volevo dire solamente questo perché voi siete ancora piccoli, siete giovani, e volevo augurarvi di andare e camminare durante la vostra vita sempre con lo sguardo alla Croce di Gesù, per essere forti e per non essere mai sconfitti, umiliati, soprattutto interiormente, nella profonda consapevolezza, nella coscienza, umiliati soprattutto spiritualmente dal peccato, ma anche per non essere umiliati negli altri sensi della parola perché la Croce di Gesù ci dà forza anche di non essere umiliati socialmente e davanti agli uomini. Lo hanno provato tanti martiri e lo ha provato lo stesso san Bruno, il patrono della vostra parrocchia. La vostra amica ha detto che San Bruno era vestito come il Papa: è vero, il vestito sì, ma non voleva essere il Papa. Voleva essere un monaco di una stretta, rigorosa osservanza, nel silenzio, nella contemplazione, voleva imitare Gesù nel suo deserto, quaranta giorni di digiuno: il deserto di Gesù come preparazione alla sua missione speciale.

Ma se San Bruno portava la veste bianca, grazie a Dio, era perché era di aiuto a chi porta questa veste bianca come Papa. E io mi raccomando a San Bruno e a tutti quelli che sono simili a lui nel portare questa veste bianca in un’altra missione, ma la missione è sempre la stessa perché la nostra missione è Gesù Crocifisso e Risorto.

Voglio salutarvi ancora e offrire una benedizione a tutti i voi, ai giovani di questa parrocchia, agli studenti, alle vostre famiglie.

Al Consiglio pastorale della parrocchia di San Bruno

Dopo la Santa Messa, il Papa incontra i rappresentanti del Consiglio pastorale e le famiglie che hanno ospitato nelle loro case i centri di ascolto. Giovanni Paolo II, dopo aver ascoltato il saluto rivoltogli da una componente del Consiglio pastorale, pronuncia il seguente discorso.

Di cuore ringrazio per questa presentazione dovuta al Consiglio pastorale perché il contenuto era profondamente pastorale.

Vorrei approfittare della circostanza che siamo così vicini a Pasqua per augurare “Buona Pasqua”, rivolgendo questo augurio a tutti.

Buona Pasqua è un’espressione che si ripete facilmente in russo, lo dico anche perché abbiamo le suore russe nella vostra parrocchia: Cristo è Risorto. Ogni domenica si chiama Giorno della Resurrezione, e questo anche durante il periodo stalinista e comunista.

Ecco, Buona Pasqua vuol dire tutto quello che significa questa Pasqua di Cristo, o piuttosto questo Cristo che è nostra Pasqua, come dice San Paolo. Appunto per questo Cristo che è nostra Pasqua, per la sua Pasqua, noi siamo diventato il suo corpo, la sua Chiesa, e così nella Pasqua di Cristo si trova il fondamento principale di tutto quello che è la Chiesa: la Chiesa primitiva, la Chiesa apostolica, la Chiesa di Gerusalemme, poi con la venuta di Pietro, la Chiesa di Roma, la Chiesa di Occidente, di Oriente, del Nord e del Sud, dappertutto.

E dentro questa Chiesa ci sono tutte le Chiese particolari, tutte le diocesi, tutte le parrocchie, e dentro le parrocchie tutte le diverse comunità come, per esempio, questo vostro Consiglio pastorale della parrocchia di San Bruno. Ecco, “Buona Pasqua” vuol dire anche Consiglio pastorale, vuol dire Consiglio pastorale della parrocchia di San Bruno nella sua dinamica pasquale, in tutto questo che significa Pasqua di Cristo, Cristo nostra Pasqua.

È una bella tradizione della Chiesa apostolica fare gli incontri nelle case, non solamente a Gerusalemme, ma anche altrove, anche qui a Roma noi sappiamo che le basiliche primitive di Roma, le più antiche, erano prima le case, e poi dopo la caduta dell’impero cominciarono lentamente a trasformarsi nelle Basiliche con uno stile specifico. Ora voi avete una chiesa parrocchiale, grazie a Dio, da poco tempo da un anno e mezzo, ma avete bisogno anche di questi incontri nelle case, di questi incontri con le famiglie, perché la Chiesa ha sempre queste due dimensioni, universale, che abbraccia tutto il mondo, la Chiesa mondiale, “andate in tutto il mondo”, ma allo stesso tempo c’è la dimensione della Chiesa domestica, possiamo dire mini-Chiesa, nella quale si realizza la stessa Chiesa universale, solamente si realizza in modo più interpersonale, più familiare. Chiesa domestica vuol dire famiglia. Allora, vi auguro di continuare in questo cammino della catechesi domestica, della catechesi della famiglia perché è un cammino tanto necessario. La catechesi vuol dire ciò che diceva Cristo: questa è la vita eterna che conoscano te e colui che hai mandato. Questo conoscere Dio nel suo mistero, nella sua assoluta bellezza, nella sua bontà, Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo conoscere Colui che ha inviato, Gesù Cristo, e poi lo Spirito Santo è un grande compito e non possiamo mai fermarci, dobbiamo sempre andati avanti. È un grande processo che è progettato verso l’eternità, la vita eterna.

Ripeto ancora una volta “Buona Pasqua” a tutte le vostre famiglie, ringraziandovi per questo specifico impegno nel Consiglio pastorale.

Ai giovani della parrocchia di San Bruno

L’ultimo incontro della visita a San Bruno è con i giovani della comunità. Al suo ingresso nella sala, i ragazzi eseguono una canzone che il Santo Padre ascolta con attenzione. Quindi un giovane rivolge al Papa un indirizzo di saluto, ricordando, tra l’altro, l’ormai prossimo appuntamento in Vaticano, giovedì 9 aprile, per la VII Giornata Mondiale della Gioventù. Riprendendo le parole della canzone dei giovani, Giovanni Paolo II propone loro la seguente riflessione.

Sono d’accordo con tutto quello che il vostro amico ha detto e che voi avete cantato. Salutandovi ho anche ascoltato quello che avete cantato, era facile capirlo, facile ascoltarlo. Sono d’accordo. Giovani problematici, va bene, ma direi soprattutto giovani simpatici, più che simpatici. Poi si arriva ai problemi che esistono e non solamente per i giovani. I problemi li hanno anche gli adulti, gli anziani, perfino i bambini piccoli, i neonati, non sono consapevoli dei problemi che hanno ma li esprimono con il riso o con il pianto. Ma ancora un’altra parola che mi è risuonata nelle orecchie subito: non possiamo tacere. È vero che non possiamo tacere. Anche Gesù ci ha detto che dobbiamo gridare il Vangelo dai tetti, ad alta voce, con piano cuore, con una consapevolezza profonda e questo corrisponde alle vostre disposizioni giovanili, alle vostre aspirazioni giovanili. Gridare il Vangelo. Il Vangelo deve essere gridato, tanto più che si cerca di farlo tacere, di farlo dimenticare. Se si prende la cultura ufficiale il Vangelo è poco gridato, piuttosto trascurato e qualche volta è anche soffocato o sembra che venga soffocato, ma non si può mai soffocare. Vediamo con le esperienze, con i sistemi che hanno soffocato di più, possiamo dire che in un certo senso nello stesso tempo lo hanno fatto più ascoltato e più ricercato.

Allora ancora un’osservazione su questo gridare e tacere. Ci sono diversi momenti: ci sono i momenti in cui si deve tacere, anche Gesù faceva così, se leggiamo il Vangelo ci sono momenti nei quali taceva, ma ci sono momenti in cui parla, in cui gridava anzi. Anche noi dobbiamo avere questi diversi momenti, cioè di tacere, il momento della preghiera, del raccoglimento, dell’incontro con Dio, quando si deve spazio per la sua Parola, ascoltando, i momenti di ascolto appunto, questi momenti di tacere sono indispensabili per poi saper gridare con forza quando c’è necessità. Adesso ci avviciniamo ai giorni in cui la Chiesa non sa come tacere come ascoltare perché questo grido quasi senza parola di Cristo Crocifisso, di Cristo morto sulla Croce, e questo momento non si sa con quale silenzio deve essere seguito, perché è un momento in cui Cristo ci parla di più, è un momento tremendo, era così in Gerusalemme, sul Calvario, ed è sempre così nella memoria della Chiesa in questi giorni santi.

Dobbiamo tacere e dobbiamo ascoltare profondamente questa parola senza parola, la parola della Croce, la parola è la morte ma può diventare Risurrezione, ma molto discreta. Non è andato in Gerusalemme, nel Tempio, a gridare, ma è andato dai discepoli. È l’economia divina, possiamo dire la strategia divina.

Vi auguro “Buona pasqua”. Penso che tutto quello che ho detto finora si riferisca a questa Pasqua, che sia buona per voi giovani.

Vi aspetto anch’io questa settimana per il vostro incontro giovanile in Vaticano, giovedì prossimo. Allora “Buona pasqua” e arrivederci.

 

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