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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II 
AL SINDACO E AGLI AMMINISTRATORI CAPITOLINI

Sabato, 25 gennaio 1992

 

Signor Sindaco,
Signori della Giunta e del Consiglio comunale di Roma!

1. Sono lieto di accogliervi in questo annuale e significativo in contro che torna sempre gradito, perché offre a voi l'occasione di porgere gli auguri per il Nuovo Anno 1992 e a me il piacere di ricambiarli con tutto il cuore. Ringrazio il Signor Sindaco, Dottor Franco Carraro, per le parole che ha voluto rivolgermi, anche a nome dei presenti e dell'intera cittadinanza romana. Accolgo con animo riconoscente le gentili espressioni augurali, perché con esse non intendete compiere una pura formalità, ma piuttosto manifestare il desiderio di un fattivo incontro, nell'ambito delle rispettive competenze, in ordine al vero bene dell'Urbe.

Come già ho avuto motivo di dire in analoghe circostanze, vi ripeto anche oggi il mio rispettoso interesse per l'attività che svolgete, la quale non è né facile né semplice, in quanto richiede l'impegno di una documentazione puntuale e completa su ogni questione, così da poter assumere decisioni tempestive e realistiche in mezzo a tante difficoltà organizzative ed amministrative. Incoraggio perciò i vostri sforzi e i vostri propositi diretti ad ottenere che la popolazione di Roma non manchi di quanto è necessario per un ordinato sviluppo che la ponga al livello che le si addice in quanto Capitale della Nazione Italiana e Centro del Cattolicesimo. Da questo carattere straordinario deriva a Roma una « spiritualità » propria, che la impegna, sotto certi aspetti, di fronte a tutti coloro che vi confluiscono per qualsiasi motivo: da quello religioso e culturale a quello sociale e turistico. Roma, per le sue memorie storiche legate alle origini del Cristianesimo, per la sua eredità di Santi, per la sua missione universale, per il suo compito provvidenziale, merita uno sforzo generoso da parte di tutti i romani, affinché la sua impronta spirituale sia conservata e messa sempre più in luce per il bene dell'intera umanità.

In questa prospettiva desidero esporvi alcuni pensieri, che mi stanno particolarmente a cuore.

2. La Chiesa è vivamente presente a Roma; lo è sia nelle aree della Città più ricche di storia e popolate di chiese di ogni epoca e stile, sia anche nelle aree nuove e nuovissime, dove più di duecento parrocchie sono sorte nel corso di questo secolo e numerose altre sono in progetto. Più ancora che alle memorie e agli edifici, questa presenza è legata a comunità vive, che si sforzano di testimoniare la fede ponendosi al servizio di ogni autentica necessità umana. La Chiesa conosce dal di dentro questa Città unica al mondo e alla quale in modo unico essa stessa è legata. La conosce nei suoi aspetti positivi: nella sua antica saggezza umana, nella sua attuale vitalità e ricchezza di iniziative, negli slanci di generosità di cui è capace, ma la conosce anche nelle sue difficoltà e nei suoi problemi: nella fatica di vivere che pesa su tante persone, nelle varie povertà materiali e morali, nella situazione di abbandono in cui versano interi quartieri e nelle difficili situazioni di tanti immigrati, come pure di molti giovani romani, che sono in attesa di un lavoro e di una casa.

Conoscendo Roma, la Chiesa non può non amarla intensamente. E perciò vuol esserle vicina con leale volontà di collaborazione e, se necessario, di stimolo a coloro ai quali è affidata la responsabilità del governo della cosa pubblica e che, come tali, sono chiamati a farsi carico per primi del bene comune.

3. In questo spirito mi sia consentito di richiamare la vostra attenzione su un problema non certamente marginale, perché coinvolge quasi ogni dimensione dell'esistenza, con riflessi su tutta la vita della Città e sulle sue possibilità di miglioramento. Mi riferisco alla difficile realtà della famiglia! A Roma i vincoli familiari sono profondamente sentiti e intensamente vissuti per una tradizione antica che in larga misura continua, pur in mezzo ai grandi mutamenti nei quali la Città è coinvolta, a motivo anche dell'enorme crescita del numero dei suoi abitanti, specialmente nell'ultimo secolo.

È altrettanto vero, però, che a Roma sono particolarmente difficili le condizioni per una vita serena e ordinata, in cui la realtà della famiglia possa esprimere al meglio le sue capacità di promozione e di sostegno non soltanto economico, ma anche e soprattutto affettivo, educativo, morale e spirituale, dando un contributo ineguagliabile alla formazione delle persone, come alla coesione e al dinamismo della vita sociale. Basti ricordare alcune tra le molteplici cause di queste difficoltà: il tempo limitato che tante persone possono dedicare alla famiglia, perché costrette ad aggiungere alle ore di lavoro altre ore per gli spostamenti nel traffico urbano; lo sradicamento improvviso e praticamente forzato che talvolta colpisce i residenti in determinate zone, obbligati a lasciare i propri alloggi, non sempre per motivi di proporzionata gravità e senza adeguate soluzioni alternative; la necessità per la grande maggioranza delle giovani coppie di allontanarsi dai luoghi dove hanno finora vissuto, per poter trovare un'abitazione, con il rischio di perdere non solo i precedenti legami di amicizia e di partecipazione sociale, ma anche la stessa continuità e concretezza dei rapporti con le famiglie di origine: tutto ciò causa un certo isolamento pratico di tante giovani coppie, come di tanti anziani, con la conseguenza di scarse possibilità di aiuto nella cura e nel l'educazione dei bambini, e talvolta di crisi degli stessi nuclei familiari.

L'impegno per rendere meno gravose le condizioni, in cui vivono molte famiglie romane, sembra dunque imporsi con priorità negli interventi della pubblica amministrazione: ne riceverà grande giovamento la « qualità » complessiva della vita a Roma!

4. Accanto all'impegno di favorire migliori condizioni di vita per le famiglie nella nostra Città, un altro sforzo appare quanto mai urgente e di scottante attualità. È il vasto problema dell'accoglienza nei confronti di quanti - stranieri, profughi, immigrati - giungono in Occidente alla ricerca di quei mezzi di sussistenza, che spesso mancano nelle loro Terre d'origine. Un fenomeno certamente complesso, che investe intere Nazioni, ma che anche a Roma, come in altre località d'Italia, mostra il suo volto sofferente e preoccupante.

Si tratta di nostri fratelli che non vanno abbandonati a se stessi. Per noi credenti, nel loro volto - come nel volto di ogni essere umano - brilla l'immagine di Cristo. La Comunità ecclesiale, consapevole del «comandamento nuovo» affidatole da Gesù come caratteristica della sua stessa identità, ha già promosso ed ancora intende promuovere numerose iniziative caritative, per venire incontro alle loro necessità. Essa, tuttavia, desidera collaborare con i Responsabili delle Pubbliche Amministrazioni, alle quali compete il dovere di preoccuparsi delle molteplici situazioni di disagio sociale, che interessano soprattutto le fasce degli abitanti meno abbienti.

Sono certo che la città di Roma, erede di una lunga tradizione di civiltà umana e cristiana, saprà offrire una testimonianza di quella cultura dell'accoglienza, che è così consona alla sua storia e alle sue secolari consuetudini.

Mentre pertanto esprimo il mio affetto e la mia solidarietà a chi è vittima di atti irresponsabili ed a quanti versano in precarie condizioni di vita talora al limite della sussistenza, sono grato a tutti coloro che si fanno carico dei pesi, non di rado assai pesanti, dei loro fratelli in difficoltà, ed invoco per tutti, dal comune Padre celeste, la luce e la forza necessarie per compiere ogni giorno i compiti propri di uomini responsabili e di cristiani autentici.

 

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