VISITA PASTORALE IN CAMPANIA
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO INTERNAZIONALE DI STUDI
PER IL XVI CENTENARIO DEL CONCILIO DI CAPUA
Santa Maria Capua Vetere (Caserta) - Domenica, 24 maggio 1992
Venerati fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Illustri relatori e partecipanti al Convegno Internazionale,
Carissimi fratelli e sorelle!
1. A tutti rivolgo un saluto deferente e cordiale. Ringrazio il caro Arcivescovo, Mons. Luigi Diligenza, per il nobile indirizzo, col quale, interpretando i comuni sentimenti, ha introdotto questo nostro incontro, che conclude il Convegno Internazionale di studi nel XVI centenario del Concilio di Capua. Esprimo volentieri la mia stima e il mio compiacimento ai membri del Comitato organizzatore e agli studiosi che con i loro contributi hanno animato e arricchito il Simposio, sviluppandone il tema sotto vari e interessanti aspetti. Confido che anche questa iniziativa varrà a promuovere nel popolo cristiano la devozione a Maria Santissima, la cui perpetua verginità fu riaffermata e difesa nel menzionato Concilio.
2. Era l’anno 392. A Roma, sulla cattedra di Pietro sedeva Papa Siricio. A Capua si celebrò un importante Concilio, che le fonti storiche qualificano come “plenarium” (cf. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima Collectio, III. Canones Conciliorum Ecclesiae Africanae, can. 48, col. 738), per la partecipazione dei Vescovi provenienti da varie regioni dell’Occidente e per la gravità delle questioni che dovette affrontare, tra cui la composizione dello scisma di Antiochia e l’esame della dottrina di Bonoso, che negava la perpetua verginità della Santa Madre del Signore. Sappiamo che papa Siricio seguì con vigile attenzione i lavori del Concilio e che Sant’Ambrogio di Milano lasciò in essi l’impronta della sua personalità forte e prudente (Ep 71, De Bonoso episcopo: CSEL 82/3, pp. 7-10). L’argomento allora affrontato ci offre lo spunto per riflettere insieme su alcune condizioni previe, che appaiono indispensabili perché il teologo possa approfondire, con la ragione illuminata dalla fede, il fatto e il significato della verginità dell’umile e gloriosa Madre di Cristo.
3. Anzitutto per una feconda riflessione teologica sulla verginità di Maria è indispensabile assumere un corretto punto di partenza. Infatti nella complessità dei suoi aspetti, la questione della verginità di Maria, non può essere trattata adeguatamente partendo dalla sola persona di lei, dalla cultura del suo popolo e dai condizionamenti sociali della sua epoca. Già i padri della Chiesa percepirono con chiarezza che la verginità di Maria prima di costituire una “questione mariologica” è un “tema cristologico”. Essi osservavano che la verginità della Madre è una esigenza derivante dalla natura divina del Figlio; è la condizione concreta in cui, secondo un libero e sapiente disegno divino, è avvenuta l’incarnazione del Figlio eterno, di colui che è “Dio da Dio” (Conc. Ecum. Constantinop. I, Expositio fidei CL Patrum seu Symbolum Nicenum-Constantinopolitanum), il solo Santo, il solo Signore, il solo Altissimo (cf. Missale Romanum, Hymnus “Gloria in excelsis Deo”). E conseguentemente, per la tradizione cristiana, il grembo verginale di Maria, fecondato dal Pneuma divino senza intervento di uomo (cf. Lc 1, 34-35), è divenuto, come il legno della croce (cf. Mc 15, 39) o le bende della sepoltura (cf. Gv 20, 5-8), motivo e segno per riconoscere in Gesù di Nazaret il Figlio di Dio. La riflessione sulla maternità verginale di Maria ha consentito a ogni generazione cristiana di dare una compiuta risposta all’interrogativo che percorre da un capo all’altro i Vangeli: “Chi è Gesù?”; ha consentito, cioè, di rispondere: Egli è vero Figlio di Dio, vero Figlio dell’uomo, nato dal padre “prima del tempo”, nato da donna (cf. Gal 4, 4) “nel tempo”. Pertanto solo a partire dalla luce che promana dal Verbo, preesistente ed eterno, sorgente di vita e di incorruttibilità, si può comprendere l’esigenza e il dono della verginità della Madre.
4. Il teologo deve avvicinarsi al mistero della verginità feconda di Maria con un profondo senso di venerazione nei confronti dell’agire libero, santo, sovrano di Dio. Percorrendo le pagine dei Santi padri e i testi liturgici si osserva che pochi misteri salvifici hanno suscitato tanto stupore, ammirazione e lode quanto l’incarnazione del Verbo di Dio nel grembo verginale di Maria. I padri, consapevoli dell’unità profonda tra le due fasi dell’unica Rivelazione, non hanno dubitato di applicare a Maria, madre vergine dell’Emmanuele (cf. Is 7, 14; Mt 1, 23), i più venerabili simboli del Testamento Antico - il Roveto ardente, l’Arca dell’Alleanza, il Tabernacolo della Gloria, il Tempio del Signore - e hanno dichiarato la loro incapacità di celebrare degnamente il mistero: “Sancta et immaculata Virginitas, quibus te laudibus efferam, nescio: quia quem caeli capere non poterant, tuo gremio contulisti” (Liturgia Horarum, Die 1 ian. “Soll. sancta Dei Genetricis Mariae”, Off. lect., 2 resp.). Ma il teologo, che si accosta al mistero della verginità di Maria con animo pieno di fede e di adorante rispetto, non rinuncia per questo al compito di approfondire i dati della Rivelazione e di scoprirne l’armonia e il reciproco rapporto; anzi, sulla scia dello Spirito, che solo “scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio” (1 Cor 2, 10), si pone nella grande e feconda tradizione teologica della “fides quaerens intellectum”. Quando la riflessione teologica diventa momento dossologico e latreutico, il mistero della verginità di Maria si dischiude lasciando intravedere altri aspetti e altre profondità.
5. Ad esempio, nella riflessione adorante sul mistero dell’incarnazione del Verbo, è stato individuato un rapporto particolarmente importante tra l’inizio e la fine della vita terrena di Cristo, vale a dire tra la concezione verginale e la risurrezione dai morti, due verità che si riallacciano strettamente alla fede nella divinità di Gesù.
Esse appartengono al deposito della fede, sono professate da tutta la Chiesa ed espressamente enunciate nei Simboli della fede. La storia dimostra che dubbi o incertezze sull’una si ripercuotono inevitabilmente sull’altra, come, al contrario, l’umile e forte adesione a una di esse favorisce l’accoglimento cordiale dell’altra.
È noto che alcuni Padri della Chiesa stabiliscono un significativo parallelismo tra la generazione di Cristo “ex intacta Virgine e la sua risurrezione ex intacto sepulcro” (cf. S. Efrem, Commentarium in Diatesseron 21, 21: CSCO 145, 232; S. Isodoro Pelusiota, Epist. I, 404; PG 78, 408; S. Proclo di Constantinopoli, Homilia, 33. In s. Apostolorum Thomam, VII, 19-20: “Studi e Testi” 247, p. 241; S. Pietro Crisologo, Sermo 84, 3: CCL 24A, p. 518; S. Cesario di Arles, Sermo 203, 2; CCL 104, p. 818). Nel parallelismo, relativamente alla generazione di Cristo, alcuni Padri pongono l’accento sulla concezione verginale, altri sulla nascita verginale, altri sulla susseguente perpetua verginità della Madre, ma tutti testimoniano il convincimento che tra i due eventi salvifici - la generazione-nascita di Cristo e la sua risurrezione dai morti - esiste un nesso intrinseco che risponde a un preciso piano di Dio: un nesso che la Chiesa, guidata dallo Spirito, ha scoperto, non creato.
Tra i testi patristici che mettono in stretta relazione la nascita e la risurrezione mi limiterò a ricordarne solo due: uno, per la sua antichità e autorevolezza; l’altro per la straordinaria lucidità con cui collega i due eventi e vede in essi una prova della divinità di Cristo.
Il primo è di Sant’Ireneo: “David eam quae est ex Virgine generationem et eam quae est ex mortuis resurrectionem prophetans ait: «Veritas de terra orta est»” (Adversus haereses, III, 5, 1: SCh. 211, pp. 52-54). Il secondo di San Pier Crisologo: “Venit Maria ad monumentum, venit ad resurrectionis uterum, venit ad vitae partum, ut iterum Christus ex sepulcro nasceretur fidei, qui carnis fuerat generatus ex ventre; et eum, quem clausa virginitas vitam pertulerat ad praesentem, clausum sepulcrum ad vitam redderet sempiternam. Divinitatis insigne est clausam virginem reliquisse post partum; de sepulcro clauso exisse cum corpore, est divinitatis insigne” (Sermo 75, 3: CCL 24A, p. 460).
A questo proposito è da osservare che alcuni studiosi, scrutando la sacra pagina con i metodi propri dell’esegesi scientifica, scorgono un rapporto, insito nello stesso testo evangelico, tra le “fasce del presepio” (cf. Lc 2, 7. 12) e le “bende del sepolcro” (cf. Lc 23, 53; 24, 12; Gv 19, 40; 20, 5-7). Già i Santi Padri lo avevano rilevato (S. Efrem, De nativitate, XXIII, 12: CSCO 187, p. 109; S. Gregorio Nazianzeno, Oratio 29 [= Oratio theologica III], 19: SCh 250, p. 218; S. Massimo di Torino, Sermo 39, 1: CCL 23, p. 152). Peraltro la Chiesa nella sua meditazione teologica sul mistero di Cristo ha percorso spesso, piena di amore, il cammino che dal giardino del Calvario (cf. Gv 19, 41; 20, 15) conduce al presepio di Betlemme (cf. Lc 2, 7-20); e nella liturgia ha sempre celebrato il Natale guardando alla Pasqua, così come, celebrando la Pasqua è memore del Natale, e riconosce in Maria la testimone eccezionale dell’identità tra il Bambino nato dalla sua carne verginale e il Crocifisso rinato dal sepolcro sigillato: “Agnoscit Mater membra quae genuit” (Missale Hispano-Mozarabicum, Sabbato Paschae ante octavas. Illatio: Toledo, Conferencia Episcopal Espanola - Arzibispado de Toledo, 1991, p. 466).
6. E ancora, è necessario che il teologo nel proporre la dottrina della Chiesa sulla verginità di Maria mantenga indispensabile equilibrio tra l’affermazione del fatto e l’illustrazione del suo significato. Ambedue sono parte integrante del mistero: il significato, o valore simbolico dell’evento ha il suo fondamento nella realtà del fatto, e questo, a sua volta, mostra tutta la sua ricchezza solo se ne vengono dispiegati i significati simbolici.
Nella confessione di fede nella verginità della Madre di Dio, la Chiesa proclama come fatti reali che Maria di Nazaret:
- concepì veramente Gesù per opera dello Spirito Santo senza intervento di uomo;
- diede alla luce veramente e verginalmente suo figlio, per cui dopo il parto rimase vergine; vergine - secondo i Santi Padri e i Concili che trattarono espressamente la questione (cf. Conc. Roman. Lateran., can. 3: I. D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, X, col. 1151; Conc. Tolet. XVI, Symbolum, art. 22) - anche per quanto concerne l’integrità della carne;
- visse, dopo la nascita di Gesù, in totale e perpetua verginità; e, insieme con San Giuseppe, anch’egli chiamato a svolgere un ruolo primario negli eventi iniziali della nostra salvezza, si dedicò al servizio della persona e dell’opera del Figlio (cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Cost. dogmatica Lumen gentium, 56).
7. Nel nostro tempo la Chiesa ha sentito la necessità di richiamare la realtà della concezione verginale di Cristo, rilevando che le pagine di Luca 1, 26-3B e di Matteo 1, 18-25 non possono essere ridotte a semplici racconti eziologici per facilitare la fede dei fedeli nella divinità di Cristo. Esse sono piuttosto, al di là del genere letterario adottato da Matteo e da Luca, espressione di una tradizione biblica di origine apostolica.
Affermare la realtà della concezione verginale di Cristo non significa che, in riferimento ad essa, si possa fornire una prova apodittica di tipo razionale. Infatti la concezione verginale di Cristo è una verità rivelata da Dio, che l’uomo accoglie in virtù dell’obbedienza della fede (cf. Rm 16, 26). Solo chi è disposto a credere che Dio agisce nella realtà intramondana e che a Lui “nulla è impossibile” (Lc 1, 37), può accogliere con devota gratitudine le verità della “kenosis” del Figlio eterno di Dio e della sua concezione-nascita verginale, del valore salvifico universale della sua morte in croce e della risurrezione vera, nel proprio corpo, di Colui che fu appeso e morì sul legno della Croce.
8. Ma l’affermazione del fatto non esaurisce il compito del teologo; come dicevo, egli deve scoprire, approfondire, illustrare i valori simbolici insiti nell’evento salvifico. Egli deve cioè esporre in modo organico il messaggio e decifrare l’immagine che Dio ha comunicato di sé attraverso i fatti della concezione e della nascita verginale di Cristo e della verginità perpetua di Maria.
Il teologo deve perciò domandarsi:
- che cosa Dio - Padre, Figlio, Spirito - comunica di sé attraverso gli eventi? Infatti nell’evento dell’Incarnazione redentrice si manifestano e agiscono le tre Persone divine: il Padre, che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito (cf. Gv 3, 16); il Figlio, che assume la natura umana e diviene nostro fratello; lo Spirito, che adombra il seno della vergine. Nella pagina lucana Dio si rivela trascendente e vicino, potente e misericordioso, Dio dell’amore preveniente e gratuito, fedele all’Alleanza e alle promesse fatte a Davide, Dio che si china sulla miseria dell’uomo e predilige gli umili e i poveri;
- quale illuminazione deriva da quegli eventi per la nostra conoscenza della Chiesa, sia nella fase veterotestamentaria sia in quella neotestamentaria? Perché, nell’episodio dell’Annunciazione, Maria appare come “culmine di Israele” e prototipo del nuovo Popolo di Dio; perché Ella anticipa in sé i tratti essenziali - vergine, sposa, discepola - della fisionomia spirituale della Chiesa;
- quale luce gettano quegli eventi per la comprensione dell’uomo - maschio e femmina - e del suo destino di grazia e di gloria? Proprio attraverso quegli eventi il “Verbo elargitore di incorruzione” (S. Ireneo, Adversus haereses, III, 19, 1: SCh 34, p. 330) entra nel mondo perché l’uomo, divinizzato, rientri nell’intimità con Dio; e in questi eventi Maria di Nazaret, nella sua condizione concreta di “vergine promessa sposa di un uomo” (Lc 1, 27), si trova al centro di una vicenda che la impegna totalmente, nel corpo e nello spirito, e nella quale libertà e obbedienza, umiltà ed esaltazione, amore e servizio, fedeltà a Dio e solidarietà con l’uomo, si compongono armonicamente in una dialettica stupenda.
9. Ora nella ricerca del senso nascosto nel fatto si apre al teologo un campo di lavoro vasto, fecondo, esaltante. Se egli, con metodo rigoroso, con fedeltà alla parola normativa, alla Tradizione universale, alle direttive del Magistero, con attenzione all’esperienza liturgica, scandaglierà l’evento salvifico della concezione e della nascita di Cristo nonché la perpetua verginità di Maria, verrà a trovarsi, per così dire, a contatto con l’intera Scrittura: con la pagina in cui Dio plasma l’uomo da “terra vergine” (cf. Gen 2, 4b-7); con i testi che riportano le antiche Alleanze, le profezie messianiche, le promesse fatte a Davide, i cui echi si odono distintamente nell’Alleanza dell’Incarnazione; con la narrazione delle gesta di Abramo, la cui fede obbediente rivive, intensificata, nel fiat di Maria; con i racconti della maternità prodigiosa di alcune donne sterili - Sara, la moglie di Manoach, Anna, Elisabetta - che divennero feconde con il favore di Dio; con i brani che descrivono la nascita dei discepoli “dall’alto”, “dall’acqua e dallo Spirito” (cf. Gv 3, 3-8), modellata cioè sulla nascita di Gesù dal grembo di Maria per opera dello Spirito Santo! con l’episodio della maternità pasquale di Maria (cf. Gv 19, 25-27), avvenuta anch’essa nella fede alla parola e nella quale i Padri scorsero pure una dimensione verginale: il Figlio, vergine, affida la Madre vergine al Discepolo vergine (cf. S. Girolamo, Ep. 127, 5; CSEL 56, pp. 149-150; S. Sofronio, In Iohanni Evangelium, 69-76: PG 78, 3, 3788); con la stessa letteratura intertestamentaria nella quale si sente in pagine di intenso lirismo lo struggente desiderio di Israele di divenire sposa pura e fedele, comunità escatologica in cui non si oda più il lamento del dolore del parto né i canti funebri della morte. Sono esempi. Essi indicano come espressioni quali Theotokos o Virgo Mater, se lette in profondità e con attenzione alle molteplici voci convergenti, siano quasi riassunto dell’economia salvifica.
10. È necessario inoltre che il teologo presenti la verginità di Maria in modo integro e corretto.
L’integrità della dottrina esige che sia messa in luce, con il dovuto rilievo, la “virginitas cordis” di Maria Santissima. Se, per i suoi valori simbolici, è importante la “virginitas carnis”, molto più lo è la “virginitas cordis” della Madre di Gesù. Ella, nella sua condizione verginale, è la nuova Eva, la vera Figlia di Sion, la perfetta Discepola, l’icona compiuta della Chiesa. Perciò realizza in sé l’ideale della perfetta adesione al progetto di Dio senza compromessi e senza l’inquinamento della menzogna e della superbia; del fedele adempimento dell’Alleanza, la cui infrazione da parte di Israele è paragonata dai profeti all’adulterio; dell’accoglimento sincero del messaggio evangelico, nel quale sono detti beati i Puri di cuore (cf. Mt 5, 8) ed è esaltata la verginità per il Regno (cf. Mt 19, 12); della retta comprensione del mistero di Cristo - la “Veritas” per eccellenza (cf. Gv 14, 6) - e della sua dottrina, per cui la Chiesa è chiamata vergine anche perché custodisce integro e incorrotto il deposito della fede.
La Chiesa ha sempre insegnato che nulla vale la “virginitas carnis” se nel cuore si annidano la menzogna e la superbia, se da esso è assente l’amore.
11. La correttezza nell’esposizione della dottrina esige che siano evitate posizioni unilaterali, esagerazioni o distorsioni. Ad esempio, l’affermazione della verginità di Maria deve essere fatta in modo che in nulla, direttamente o indirettamente, appaia diminuito il valore e la dignità del matrimonio, voluto da Dio, da Lui benedetto, sacramento che configura il cristiano a Cristo, via di perfezione e di santità; o non si tenga sufficientemente conto del carattere singolare, irripetibile, della verginità di Maria e si pretenda trasferire l’unicità della situazione che essa riflette ad altre condizioni di vita; o si proponga la verginità di Maria in funzione esclusiva di alcune legittime scelte di vita ecclesiale, dimenticando che essa riguarda anzitutto il “mysterium Christi” e il “mysterium Ecclesiae”; o si banalizzi il messaggio che ne deriva relegandolo a un aspetto marginale del cristianesimo.
12. È necessario infine che il teologo nell’esporre la dottrina sulla verginità di Maria tenga presente le tendenze e gli orientamenti della cultura contemporanea.
Certamente il clima culturale del nostro tempo non è sempre sensibile ai valori della verginità cristiana. Non sarebbe difficile elencarne le cause. Ma ciò non deve scoraggiare il teologo nel suo impegno. Al tempo di Paolo la cultura dominante non era pronta ad accogliere il mistero della Croce, ma egli, per fedeltà a Cristo, ne fece il fulcro del suo messaggio (cf. 1 Cor 2, 2; Gal 3, 1; 6, 14).
Il teologo deve essere animato dalla serena fiducia che i valori autenticamente evangelici sono validi per l’uomo e per la donna contemporanei, anche quando essi li ignorano o li trascurano.
La verginità è dono e grazia. Essa è un bene della Chiesa, del quale partecipano anche coloro - senza dubbio la maggior parte -, che non sono chiamati a viverla nella propria carne, ma pur sempre nel proprio cuore.
Tocca al teologo indicare le ragioni che possono aiutare l’uomo e la donna del nostro tempo a riscoprire i valori della verginità; egli deve individuare il linguaggio più adatto per trasmettere i valori evangelici di cui essa è portatrice, mostrare come in molti casi la verginità sia segno di libertà interiore, di rispetto dell’altro, di attenzione ai valori dello Spirito, di capacità di spingere lo sguardo oltre i confini del mondo temporale (cf. Mt 22, 30), di vivere radicalmente al servizio del Regno.
E mi domando: l’impronta verginale che segna la creazione dell’uomo (cf. Gen 2, 4b-7. 22-23) e la sua ricreazione in Cristo, non ha nessuna ispirazione da offrire ai movimenti ecologici del nostro tempo che deplorano tante forme di violenza inferta alla creazione, il degrado della natura, l’inquinamento dell’ambiente?
Soprattutto il teologo deve mostrare ai nostri contemporanei che l’ideale dell’uomo nuovo, perfetto, si è compiuto in Cristo Gesù: Egli è l’Uomo (cf. Gv 19, 5). In Lui il progetto antropologico di Dio ha raggiunto la perfezione assoluta. Ora nella radice di Cristo - la sua concezione nel grembo di Maria - e nella sua nascita alla vita definitiva - dal sepolcro inviolato - vi è un “elemento verginale” di grande portata in riferimento al suo essere, alla sua esemplarità per tutti i discepoli.
13. I Vescovi che parteciparono al Concilio di Capua del 392 non furono certo superficiali. Essi compresero che la questione della perpetua verginità di Maria non era secondaria, che non si fermava all’umile persona della Serva del Signore, ma riguardava aspetti fondamentali della fede: il mistero stesso di Cristo, la sua opera salvifica, il servizio del Regno.
La loro testimonianza diventa esemplare per noi. Con l’auspicio che quanti si pongono oggi a riflettere sul Mistero di Dio sappiano trarre luce dalla loro esperienza di fede, imparto a tutti voi, che avete preso parte a questo Convegno Internazionale, la mia benedizione.
Al termine dell’incontro, salutando i numerosi fedeli radunati all’esterno della chiesa, Giovanni Paolo II pronuncia le seguenti espressioni.
Davanti a questa Cattedrale, dedicata a Maria, nella Capua vecchia, voglio ringraziare per questa vostra partecipazione, questa vostra accoglienza cordiale. Voglio augurarvi un futuro sempre più consapevole di questo grande mistero che è il mistero del Verbo incarnato nella Vergine Maria. Voglio augurarvi sempre più una devozione profonda a Maria Vergine e Madre, illuminata dal mistero del Verbo incarnato, nostro Redentore, Redentore dell’uomo. Ci avviciniamo al termine del secondo millennio dopo Cristo, all’apertura del terzo millennio. Ci avviciniamo con speranza perché Cristo è ieri, oggi e sempre. Allora, ci avviciniamo con la speranza della sua presenza, del suo Regno, anche in questo millennio che si aprirà tra pochi anni.
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