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SANTA MESSA NELLA PARROCCHIA DI NOSTRA SIGNORA DI LOURDES

OMELIA DI PAOLO VI

Domenica, 23 febbraio 1964

 

Il Santo Padre, nel dare un primo saluto ai cari figlioli, pensa che alcuni di essi potrebbero domandarsi il perché della sua visita. Una prima buona ragione sarebbe quella di vedere una chiesa nuova, ampia e molto bene ubicata - e già per questo il Papa si compiace con il Vicariato di Roma, con l’Opera della Preservazione della fede e per la provvista di nuove chiese, e con quanti hanno dato offerte, opere e ingegno per una costruzione così provvida ed opportuna -; ma vi sono anche altri motivi.

PATERNO SALUTO ALL'INTERA POPOLAZIONE

Egli è venuto per pregare con i diletti figli, per santificare con loro il tempo di Quaresima, per convincere tutti che dobbiamo, in questa stagione preparatoria alla Pasqua, dare alla nostra anima più intenso fervore, quasi delle ali per elevarsi e assurgere degnamente alla celebrazione dei misteri della nostra Redenzione.

Inoltre Sua Santità è venuto anche per conoscere il loro parroco e per salutarlo, benedirlo, incoraggiarlo, ringraziarlo; e per dire a tutti di volergli bene, di aiutarlo, di essere con lui, di sostenerlo, di fare una cosa sola col proprio pastore che è parroco in Roma, quindi nella Diocesi del Papa, e perciò devesi a lui solidarietà e pubblico attestato di stima e di compiacimento.

Insieme con il parroco è dato il saluto a chi ne condivide le fatiche pastorali: i coadiutori, gli altri sacerdoti che vengono ad aiutarlo nel ministero in un quartiere così nuovo e così vasto, e dove certo il lavoro non manca. Tutti coloro che vi esercitano il sacro ministero sappiano che il Papa li ringrazia di questa fatica pastorale, li benedice ed è loro cordialmente e paternamente vicino.

Ed ecco il saluto ai parrocchiani e specialmente alle associazioni cattoliche con le molte bandiere, simbolo di organizzazione, di alte idealità, propositi ed impegno. A quanti, di ogni età, si dedicano all’apostolato, il Papa vuol ripetere il suo grato encomio e benedizione speciale, fiducioso che questi gruppi associati intorno al pastore possano dare una più accentuata fisionomia spirituale alla popolazione, all’intera parrocchia.

Un saluto alle Suore, presenti, molto numerose, e poi ai due Istituti moderni, rinnovati, ma antichi, della Roma cattolica; ai diletti figli dell’Istituto dei ciechi di Sant’Alessio un ricordo particolare e una grande benedizione; e così pure ai giovani del S. Michele, glorioso centro di beneficenza iscritto nella storia della carità di Roma e la cui sede il Papa sa essere rinnovata, e in espressioni moderne molto belle e promettenti. Pure alle altre comunità, e famiglie spirituali e religiose, a tutta la popolazione un saluto del Vescovo di Roma, felice di vedere una cospicua parte del mistico gregge della santa Città.

Ma la ragione più profonda, che ha determinato la presenza del Papa, è quella di rivolgere agli ascoltatori una esortazione e un invito. Il Santo Padre è venuto, potrebbe dire in linguaggio metaforico, a svegliarli. Come la mamma desta il suo bambino, e gli dice: sorgi, affrettati; così il Papa dice loro: svegliatevi, venite, perché c’è bisogno di operare, di agire. La chiamata sarà salutare per qualcuno, il quale deve scuotersi dal sonno, anzi dal letargo, frutto di pigrizia e trascuratezza. È ora di risvegliare la coscienza cristiana.

RISPONDERE ALLA VOCAZIONE CRISTIANA

Vero è che i diletti figli potrebbero rispondere: già la nostra presenza qui è segno che siamo desti, cristiani praticanti, buoni parrocchiani. Ebbene il Papa è venuto proprio per incoraggiare, nel loro intimo, tale proposito e rispondenza alla vocazione cristiana. Essi sanno che tutto il Vangelo, l’intera economia divina che viene in nostro soccorso, in nostra salvezza, si delinea nelle parole della Sacra Scrittura come una vocazione, un appello, una chiamata, un risveglio: «Videte . . . vocationem vestram, fratres», dirà S. Paolo; e lo ripete in tante sue Lettere. Sì, ogni cristiano deve comprendere che dal cielo discende un appello, un grido, per ripeterci che dobbiamo scuoterci, che il nostro destino non è soltanto sulla terra. Il Signore ama ricordare che ci chiama ad un altro senso della vita, ad un altro destino, ad un’altra maniera di considerare i nostri giorni; in una parola ad essere veramente cristiani, ad avere la nozione esatta delle proprie responsabilità.

Bisogna guardare in faccia la realtà. Roma, cento anni or sono, aveva duecentomila abitanti: ora ne ha assai più di due milioni, e venuti da tutte le parti. Non si può pretendere che siano completamente nutriti della tradizione, della storia, del singolare retaggio di Roma. L’ambiente ha grande influsso nel determinare i nostri pensieri e le nostre azioni. Il Santo Padre ha potuto rendersene conto a Milano, ove lo stesso fenomeno si verifica del pari in proporzioni imponenti. Quanta gente ottima giunge nelle grandi città, specialmente dalle terre meridionali! Quanti bravi lavoratori, ligi alle tradizioni religiose dei loro paesi, devoti, buoni, fedeli!

Nondimeno l’urbanesimo esercita su di loro un’azione deleteria; diluisce il loro fervore, al punto che essi divengono quasi indifferenti, non frequentano la Chiesa, non ascoltano più la Messa, ed è tanto - alle volte - se fanno battezzare i loro bambini.

LE MOLTEPLICI INSIDIE ALLA FEDE

Sovente, anzi, non solo abbandonano le loro abitudini religiose, ma, peggio ancora, si professano areligiosi o anche antireligiosi; non hanno più ritegno nemmeno a vituperare quel patrimonio spirituale che prima formava la loro dignità e la ricchezza della loro anima. Purtroppo è così: basta cambiare ambiente e si diventa diversi. Anche quando si ritiene di essere liberi, indipendenti, moltissimo si assorbe dal nuovo tenore di vita che non ha né le abitudini, né le forme, né le istituzioni ispirate alla tradizione e alle esigenze educative del popolo. Peggio ancora: il patrimonio religioso, spirituale è il primo a soffrirne, poiché molti lo dimenticano, lo lasciano come depositarsi in fondo all’anima, e alla trasformazione urbanistica un’altra ne succede che potrebbe dirsi sociale. Prima si era rurali, adesso si è operai; prima si era autonomi, adesso si diventa impiegati, prima gente tranquilla, ora gente affannata.

È tutto un mutamento, una trasformazione; ma in siffatto evolvere, di per sé buona cosa, che resta della coscienza cristiana, del rapporto con Dio?

Non di rado questo rapporto è come travolto, reso labile, dubbioso, stanco, incerto, saltuario; sopravviene quel tale letargo da cui bisogna essere scossi, perché si giunga ad un risveglio, ad una coscienza rinnovata.

Altre volte un fatto nuovo viene a soffocare le antiche convinzioni religiose: una vernice culturale derivante da letture di giornali, da quanto si vede o si ascolta alla radio, alla televisione, al cinematografo. Sono ondate, vere tempeste che soverchiano gli antichi convincimenti; e allora avvengono nelle coscienze degli uomini moderni, dei giovani in modo particolare, mutamenti profondi, che talvolta si dimostrano irrimediabili. Quanti infatti pensano oggi: io sono sufficiente a me stesso, non ho bisogno di nessuno; a che servono la Chiesa, la preghiera, la fede, la religione? Io ho solo bisogno del mio mestiere, della professione, dello stipendio, dell’automobile, del mio giornale, del mio divertimento.

IDDIO UNICO MAESTRO DELLA UMANITÀ

Ora, se questa mentalità si diffonde, specie tra le nuove generazioni, è sacro obbligo per chi, dal Signore, ha avuto il mandato di vegliare sul bene delle anime, dedicarsi con amore a convincere i distratti perché riflettano, ricordino la propria origine e l’ultimo fine; e tengano presente che proprio il Signore ha insegnato ciò che è bene e quel che è male; e vuole che ogni facoltà del nostro spirito sia orientata e modellata sulle sue parole, i dieci Comandamenti, il Vangelo.

Iddio solo è il Maestro della umanità; Egli ha fissato il codice della vita. Il Vangelo è la fonte prima della nostra luce: tutto il resto potrà essere utile, ma per l’anima può essere anche peso, ostacolo, inganno. Inoltre quella cultura che esteriorizza l’uomo, costringendolo alla tecnica, all’intensa vita esclusivamente economica, intenta, si direbbe, a rubare l’anima, provoca e produce un vuoto che appunto porta alla insensibilità, e allo stato della deplorata incoscienza e incertezza.

Eppure la salvezza non è lontana, non è irraggiungibile. Il Signore Gesù chiama tutti e singoli gli uomini, e per ognuno ha la sua parola di vita, il suo Vangelo. In nome di Cristo il Papa intende oggi rivolgersi a uno ad uno di quanti Lo ascoltano, preparando le anime al necessario incontro con Cristo. È un incontro quant’altri mai amichevole e nello stesso tempo di grande importanza e gravità. Deve avvenire: se dovesse mancare, tutti sarebbero di ciò responsabili.

Bisogna rispondere con generosa fortezza e decisione al dono della fede cristiana. Non c’è chi non sia persuaso che a Roma il Cristianesimo non può essere vissuto in qualche maniera; o lo si vive in pienezza o lo si tradisce. Dobbiamo dunque accoglierlo interamente, con una fedeltà che, se occorre, sia pronta al sacrificio. Questa è la vocazione di Roma e questa deve essere la caratteristica dei cittadini romani.

Roma cristiana non può appagarsi di mediocri, di mente torpida e non coraggiosa, che vive di compromessi o di ripieghi utilitari. Richiede gente salda, retta, cosciente, ben decisa a rispondere ad un impegno così alto, esplicito, obbligante.

OGNI ANIMA SIA ATTENTA ALL’ANNUNCIO DI CRISTO

Il Santo Padre è l’interprete, l’araldo del divino invito e monito. Egli non esprime pensieri suoi personali, né agisce come a conclusione di propri studi o indagini. È l’eco genuina della voce di Dio; e con la stessa autorità del Signore, proclama: Rispondete, credete al Vangelo: la buona novella, l’annuncio di vita che promana da Dio.

Nondimeno va ricordato che tale annuncio, il quale può anche assumere la forza di un turbine sopra di noi, ci lascia liberi. Ciascuna anima può scegliere; può dire sì o no; rispondere: voglio o non voglio; desidero essere cristiano o no.

Adunque non vi è posto per instabilità o tiepidezza: non ci si può fermare a metà né abbandonarsi ad opportunistici o vili compromessi. Bisogna decidere; libertà si, ma responsabilità.

Né deve ritenersi che un così rilevante appello sia diretto soltanto ad anime che hanno la speciale vocazione del Sacerdozio o della vita religiosa. La chiamata alla vita cristiana è universale, ed in proposito il Papa vorrebbe avere maggior tempo per dire qualche parola, dolce e grave, agli anziani prima di tutto, i quali, per aver conosciuto uomini ed eventi, hanno maggiore esperienza.

Vorrebbe ricordare loro che, ben al di sopra di tanti volubili e falsi insegnamenti, di tanti idoli e delle affannose astuzie di presunta saggezza, solo Cristo vive, sola permane la sua verità. Ciò vogliano tener presente soprattutto gli uomini di studio, i maestri, le maestre, coloro che hanno le delicate funzioni di insegnare, dirigere, consigliare.

Così vorrebbe il Papa parlare ai Genitori, alle singole Famiglie.

Passa il Cristo tra noi; sale ad ogni casa per lasciarvi una parola di benedizione e per dire a tutte le famiglie che devono essere specchio della Chiesa, dell’amore che intercede fra Dio e l’umanità; sì da divenire come piccoli templi; debbono sapere a quali vertici di bellezza, di dignità, di amore, di felicità le chiama il Signore, e ricordare d’essere chiamate a collaborare al disegno di Dio, trasformandosi in veri cenacoli di carità e di grazia.

APPELLO AI GIOVANI E AI LAVORATORI

Il discorso diviene, quindi, ancor più paterno, se possibile, per i giovani, di cui il Santo Padre vede un buon gruppo dinanzi a sé. L’ora presente appartiene ai giovani: giammai forse, come in questo periodo della storia e della vita sociale, la gioventù ha avuto più decisiva missione da compiere. Se i giovani sono buoni, ardimentosi, la società sarà degna, sacra e santa; ed anche prospera e felice.

I giovani sono chiamati dalla Chiesa, che vuol infondere larga fiducia: essa ha un compito da proporre alla loro operosità, e, nello stesso tempo, può valorizzare le loro doti, nobilitando ciò che pensano e attuano. Si fidino del parroco, che è il loro maestro, si lascino entusiasmare dalle verità che propone: sentiranno crescere la forza interiore, e la gioia di essere giovani e di essere cristiani.

Analogo pensiero per i fanciulli, i prediletti del Redentore. Nel saluto, nella benedizione, nell’abbraccio del Padre c’è la gratitudine a Dio per l’inestimabile dono dell’innocenza e l’augurio fervente che, proprio all’ombra della parrocchia, le piccole schiere avvertano l’onore e il gaudio di conservare la purezza e la fede per l’intera durata della loro esistenza.

C’è poi il vasto mondo del lavoro. Tutti siamo lavoratori, ma il Sommo Pontefice vorrebbe salutare specialmente i lavoratori del braccio, quelli che svolgono un’attività più faticosa, quelli che, inseriti nella società, si trovano in uno stato disagevole nei confronti degli altri, quasi i meno considerati, i meno sicuri, i meno retribuiti. Sappiano i cari lavoratori che la Chiesa li ama, che il cristianesimo li eleva, li difende, vuol accendere e trarre dalle loro anime una sensibilità spirituale che altri cercano invece di soffocare e vilipendere. Facendo proprie le sofferenze e le attese di ognuno, la Chiesa ripete e dimostra di essere con loro.

Ai lavoratori il Vicario del Signore Gesù apre le braccia ed il cuore per accoglierli e riecheggiare l’invito stesso del Divino Maestro: venite a me, tutti voi che siete affaticati e tribolati; io ho il segreto del ristoro, ho una parola di conforto. La medesima parola di Dio spiega che cosa è la vita, con il dolore che purifica e l’amore che eleva; che cosa è la fatica umana. Cristo - soggiunge il Papa - ha il segreto di salvezza e di pace: dono del Signore, che ha affidato alle mani del suo Vicario in terra il Vangelo. Gesù ha una risposta per ogni aspirazione; e non è fallibile. Venite tutti, Egli dice ed io vi consolerò.

                                             



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