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«DOMINICA IN PALMIS DE PASSIONE DOMINI»

OMELIA DI PAOLO VI

Domenica, 4 aprile 1971

 

Parlo a Voi, Giovani, specialmente: mi ascoltate?

Supponiamo di fare un dialogo, un breve dialogo.

Perché siete qui, questa mattina? Perché siete stati invitati.

E perché invitati? Perché è la Domenica delle Palme.

E quale motivo offre la Domenica delle Palme per invitare i Giovani ad una Messa del Papa, celebrata per loro? Il motivo è dato dal fatto che oggi la Chiesa celebra la memoria d’un fatto evangelico, che ben conosciamo: l’entrata di Gesù in Gerusalemme, con una certa solennità, cavalcando un asinello, attorniato dai suoi discepoli, in mezzo ad una enorme folla di gente. Perché tanta gente? Perché era vicina la grande festa annuale del Popolo ebreo; e la gente veniva da tutta la nazione, da tutte le tribù, e si addensava nella città capitale, dove c’era il Tempio. Sapete come si chiamava questa festa? Si chiamava la Pasqua. E quale era il suo significato? Era un significato commemorativo; essa voleva ricordare - attenzione! - la liberazione del Popolo ebraico dalla schiavitù, in cui era vissuto per tanti anni, e da cui partiva per conquistare la patria; perciò la festa aveva anche un significato profetico; era una celebrazione che non guardava soltanto al passato, ma guardava anche al futuro; e che cosa aspettava dal futuro? Aspettava un Capo, una guida, un maestro; aspettava l’uomo della speranza; aspettava un Salvatore. Doveva essere un discendente di David, il re, che aveva dato consistenza civile, ma insieme coscienza della sua vocazione religiosa al Popolo ebraico. Aspettava il Messia. Messia voleva dire l’uomo consacrato da Dio, il Sacerdote, il Re, il Profeta, il «servo di Dio», il Figlio dell’uomo, colui insomma in cui si concentrava il senso, la salvezza, la grandezza, la vittoria della nazione e dell’intera umanità. La fantasia aveva giocato molto intorno al concetto di questa misteriosa figura, prodigiosa, strepitosa. Il fatto è, questa è la storia del Vangelo, che quando Gesù cominciò a predicare il «regno di Dio» e a fare miracoli si diffuse l’opinione prima, la certezza poi che Gesù fosse il Messia. E Gesù, che non aveva mai voluto circondarsi di gloria esteriore, volendo sempre proclamare un regno di Dio, non un regno terreno e politico, alla fine si presentò, umilmente, ma chiaramente a tutto il Popolo, come il vero Messia, e fu allora che, nonostante la sorda e fiera opposizione delle autorità giudaiche, fu acclamato per quello che era, il «Figlio di David», l’aspettato, il Messia, l’instauratore del nuovo regno di Dio, il Liberatore, il Salvatore. Voi sapete come andarono le cose: dopo cinque giorni Gesù fu arrestato, processato, crocifisso; ma al terzo giorno Egli risuscitò; e il nuovo regno, il cristianesimo, la Chiesa, la vita divina comunicata a chi crede, qui nel tempo, misteriosamente, e poi oltre il tempo, gloriosamente e eternamente, era inaugurata e fondata.

I FANCIULLI ACCLAMANO IL MESSIA

Voi domanderete: che cosa ci entriamo noi giovani? Ebbene, prima di tutto, procuriamo di capire che si tratta d’un avvenimento centrale, decisivo, così straordinario che riguarda l’umanità intera, ci riguarda tutti, come individui e come società; tutti, e a fondo.

Poi, è da notare una circostanza singolare nell’avvenimento che ora commemoriamo; ed è questa. Tutta l’enorme folla acclamò Gesù, quel giorno, come Messia, tagliando rami dagli alberi, - ecco le palme -, per festeggiare Colui che veniva nel nome del Signore. E chi fece più chiasso? Chi inneggiò con voce più alta e con maggiore entusiasmo in quell’ora solenne? Furono i ragazzi; lo riconobbe lo stesso Gesù, citando un salmo, cioè dando così valore profetico alle voci dei fanciulli e prendendo la loro difesa verso coloro che li volevano far tacere (Cfr. Matth. 21, 15-16). Cioè la voce dei giovani ha una importanza sua propria nel riconoscimento di Gesù, come Messia, come Cristo, come Maestro e Salvatore del mondo.

Ed è per questa circostanza che giovani e ragazzi sono invitati ad intervenire alla cerimonia liturgica che ricorda quel fatto evangelico? Sì, ma con una intenzione non puramente cerimoniale e commemorativa; con un’intenzione speciale, propria per voi, giovani e ragazzi d’oggi. E cioè? Che voi facciate, come quelli della scena evangelica, la vostra scelta.

LA SCELTA

Quale scelta? Quella di Cristo. State a sentire. Voi Cristo lo avete già scelto. Voi siete già cristiani. Siete stati battezzati? Sì. Allora voi siete cristiani. Ma quali cristiani siete voi? Essere cristiani non è cosa da poco; vuol dire essere già inseriti nel dramma della salvezza; vuol dire avere già una concezione del mondo e della nostra esistenza, della storia passata e dei destini futuri; vuol dire avere già un programma impegnativo di vita, cioè credere, operare, sperare, amare. Ebbene, ripeto, quali cristiani siete voi? Non conta guardare a come si comportano tanti cristiani. Bisogna che ciascuno badi a sé, al proprio comportamento.

Vedete. Vi sono diversi comportamenti, fra i giovani, rispetto al proprio carattere cristiano. Facciamo subito una classifica sommaria? Ecco.

Vi è una prima categoria di cristiani, che spesso senza nemmeno pensarci, sceglie il comportamento «zero». Chiamiamo zero quel comportamento che non dà alcun peso, alcuna importanza al fatto d’essere cristiano. Cioè: è un comportamento nel quale il carattere cristiano non significa nulla. Nei Paesi di missione questo non avviene: un cristiano è cristiano, e sa di dover vivere in una certa maniera, con un certo stile, che lo distingue, che lo qualifica. Da noi invece avviene spesso che l’essere cristiano non significa nulla, zero. Anzi, spesso un cristiano è una contraddizione vivente, perché egli contraddice con la propria maniera di pensare e di vivere questa sua magnifica prerogativa: essere figlio di Dio, essere fratello di Cristo, essere come una lampada accesa in cui arde lo Spirito Santo, la grazia, essere membro della Chiesa, uomo che sa come vivere e che sa doveva. Un cristiano è un uomo logico, coerente, responsabile, libero e nello stesso tempo fedele. Non un uomo zero, indifferente, insignificante, incosciente, con la testa nel sacco. Siamo d’accordo?

ESSERE «PERSONE»

Vi è una seconda categoria ed è quella che il Vangelo chiama degli uomini «canna», delle canne agitate dal vento (Cfr. Matth. 11, 7). Canne che si piegano secondo il vento che tira. Uomini privi di personalità propria, di quella dirittura cristiana, che dicevamo; uomini disponibili alle idee altrui, pronti a curvarsi al dominio dell’opinione pubblica, della moda, dell’interesse; uomini della paura, uomini del rispetto umano, uomini-pecore. Purtroppo questo è un fenomeno diffuso nella gioventù; e si spiega: vuol mostrarsi forte e indipendente verso l’ambiente che conosce, la famiglia, la società; ne vede i difetti, ne sente il giogo, e cerca di liberarsi, di affrancarsi, diventa contestatrice, rivoluzionaria, se occorre; ma poi, dove va? S’intruppa con chi conduce il gioco e fa la moda, diventa numero mediocre, senza proprio valore e significato, si contenta di surrogati, di fantasmi, di falsi eroismi. Forse ne conoscete anche voi di giovani sbandati, e piegati come «canne» al vento?

Ma viene il momento in cui bisogna essere «persone», cioè uomini che vivono secondo dati principi. Secondo idee-cardini. Secondo idee-luce. Secondo idee-forza. Uomini che hanno fatto la loro scelta, e secondo questa scelta, camminano e vivono. È questa la vera categoria degna della gioventù intelligente e cristiana. La vostra, carissimi figli ed amici.

Sentite: si può vivere senza principi? La domanda può presentarsi così: si può camminare al buio? E quanta gente cammina al buio! Voglio credere che voi siate tanto intelligenti da comprendere, d’intuito, che la nostra vita è piena di oscurità, di dubbi, di misteri. Essa è più simile ad una notte che ad un giorno; si intravedono tante cose, tantissime bellissime cose; ma è proprio ciò che noi conosciamo, anche con lo studio, con la scienza, con la pratica, che ci dà l’impressione, l’esperienza d’essere in un mondo notturno, dubbioso, ignoto, segreto, muto, e forse nemico, forse vano, forse privo di senso. Ebbene: occorre una luce. Una luce per la vita. La luce vera. Chi ha detto: «Io sono la luce del mondo»? (Cfr. Io. 8, 12; 12, 16; e 1, 5, 9, 13, 19; ecc.) È Gesù, che al momento del suo ingresso in Gerusalemme fu pubblicamente riconosciuto come il Cristo, cioè come Messia. Quel Messia, che la gioventù e la fanciullezza là presenti acclamarono come il vero Profeta della storia, come l’Inviato da Dio, come il Pastore del genere umano, come il Maestro unico e buono delle somme verità, come il Fondatore del regno dei cieli, come il Salvatore del mondo.

LA VERA GUIDA SPIRITUALE DELLA VITA

Avete compreso?

Ebbene due conclusioni allora. Anche voi, giovani e ragazzi e ragazze qui presenti dovete riconoscere in Gesù Cristo la vera guida spirituale della vostra vita. Noi diremmo oggi il «leader» morale del nostro tempo. Levate dunque le vostre palme, i vostri rami di pacifico olivo verso di Lui, e inneggiate a Lui: Osanna! Evviva! La nostra scelta è per Te, Cristo Gesù!

E poi, altra conclusione, ricordatevi che tocca a voi, figli di questa nuova generazione, a fare riconoscere intorno a voi, al nostro mondo moderno, tanto bisognoso e meritevole di vera luce, alla nostra stessa Roma, il suo vero Cristo, il suo Messia, Gesù! Tocca a voi, giovani d’oggi, rinnovare il prodigio messianico, iniziato dalla Gioventù cattolica di ieri e a svilupparlo oggi; e cioè il passaggio da un cristianesimo consuetudinario e passivo ad un cristianesimo cosciente ed attivo; il passaggio da un cristianesimo timido ed inetto ad un cristianesimo coraggioso e militante; da un cristianesimo individuale e disgregato ad un cristianesimo comunitario ed associato; da un cristianesimo indifferente ed insensibile alle altrui necessità ed ai doveri sociali ad un cristianesimo fraterno ed impegnato a favore dei più deboli e dei più bisognosi. Coraggio! Tocca a voi! Con la Nostra affettuosa Benedizione Apostolica.

                               



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