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DISCORSO DI PAOLO VI
AI DIRIGENTI, ALUNNI ED EX-ALUNNI
DELL’ALMO COLLEGIO BORROMEO DI PAVIA

Lunedì, 20 marzo 1967

 

IL «NOSTRO» BORROMEO

Ecco il Borromeo! Le belle e cordiali parole, che abbiamo testé ascoltate, Ci dànno l’ardire a proferire un titolo, che Ci sale dal cuore, e non ha altre pretese oltre quelle dell’affezione; vorremmo infatti quasi dire il «Nostro» Borromeo; e Ci sembra di poterlo così qualificare per i tanti ricordi, che del Collegio conserviamo; per la posizione tipica ch’esso occupa relativamente agli studi e alla vita universitaria, ragione questa che nel Borromeo vediamo espressa in forme istituzionali, culturali, artistiche, storiche, spirituali, rifulgenti di ideale e di reale splendore, e che a Noi, a cui fu provvidenziale ventura vivere negli anni lontani del Nostro primo ministero sacerdotale fra Studenti universitari d’ammirabile indole spirituale, è stata allora ed ancora sempre presente, tema, sogno e stimolo, Noi crediamo, di non mediocri pensieri; il «Nostro» Borromeo, vogliamo dire, per quanti e quali vincoli (or ora menzionati) lo congiungono a quella cattedra ambrosiana, donde San Carlo, il fondatore, e Federico, l’eccezionale alunno e il legislatore, di sé magistralmente lo improntarono, e dove a Noi umilissimi parimente toccò di sedere; e poi «Nostro» per i molti altri rapporti, che nei suoi quattro secoli di vita lo resero da questa Sede Apostolica stimato, benvoluto, protetto . . . Ecco dunque il caro, il vetusto, il celebre, il fiorente Collegio Borromeo, che Ci reca oggi il graditissimo omaggio d’una sua visita.

Questo incontro solleva nel Nostro spirito una quantità di sentimenti e di questioni, a cui non Ci è ora concesso dare adeguata espressione. Ci dobbiamo limitare al saluto, che vogliamo innanzi tutto porgere con riconoscenza e con riverenza al chiarissimo Professore Mario Rolla, Magnifico Rettore della storica e gloriosa Università di Pavia: siamo lieti di onorare nella sua persona l’antico Ateneo pavese, rinomatissimo centro di alta cultura e di augurare alla sua vigile operosità di poter conservare a così antico domicilio degli studi superiori la sua tradizionale efficienza scientifica e formativa, quale i tempi moderni richiedono. Il Nostro saluto augurale si estende a tutto il corpo docente dell’Università di Pavia, ed a quanti hanno merito nel sostenerne il prestigio accademico e nel mantenerne la fedeltà al suo retaggio spirituale e civile.

CENTRO DI VALORE SCIENTIFICO E PROFESSIONALE

E vada poi il Nostro pensiero riverente e beneaugurante al principe Vitaliano Borromeo, patrono dell’almo Collegio, che col nome e con l’opera testimonia la coerenza dell’istituzione con le sue origini; e poi si estenda al Professor Salvatore Donati, presidente del Consiglio di Amministrazione del Collegio e illustre direttore della clinica chirurgica; è un ex-alunno che Ci ricorda di quanta fama sia circondato il Collegio per merito di coloro che vi furono ospitati; e, sapendo che non pochi di loro sono presenti a questa Udienza, mandiamo un saluto particolare anche a loro e ai loro familiari, e a quanti di loro, sebbene assenti, conservano affetto e riconoscenza per il loro Collegio e gli fanno onore con il loro valore scientifico e professionale e con la probità della loro vita.

Ma finalmente pensiero e parola si rivolgono al caro e venerato Rettore del Collegio, Mons. Luigi Belloli, che Noi stessi, allora a Milano, cedemmo a così alto e delicato ufficio, quando Monsignor Cesare Angelini, «fama super aethera notus», sempre da Noi ricordato, lasciò la direzione del Borromeo. Siamo ora riconoscenti a Mons. Belloli del piacere che questa visita Ci procura, lo ringraziamo delle buone e significative parole ora da lui pronunciate; ma gli siamo soprattutto obbligati per l’interesse, per la passione, con cui egli attende alla direzione del Collegio; e cioè per l’amore, ch’egli dedica non solo al buon andamento della istituzione, ma in primo luogo a voi, ospiti ed alunni del Borromeo, a voi, Studenti, che del Collegio costituite la ragion d’essere, lo scopo precipuo, il problema continuo, la speranza e la gloria più care.

FIGLI PREDILETTI E IDONEI ALLA «SOCIETAS SPIRITUS»

Ed ecco che il discorso viene a voi, carissimi giovani, che, qualificati dalla vostra provenienza, Ci sembra dover subito chiamare amici, e termina dove vorrebbe cominciare. Vorremmo infatti tutti conoscervi, da voi stessi conoscere quali siano i vostri studi, quale il clima culturale della vostra Università e quale l’atmosfera spirituale della vostra comunità collegiale. Questioni senza numero e senza fine si offrirebbero al Nostro colloquio; ma subito il silenzio, imposto dai sempre severi e sempre brevi limiti di tempo disponibile, lo spegne e ci lascia, Noi pensiamo, in una muta e mutua comprensione d’animi, della quale ci sarà caro e fecondo il ricordo. Lo pensiamo per Noi a,Nostro conforto, nel sapervi in così buona forma, per numero, per intensità di studi e di propositi, per coscienza di ciò che siete e di ciò che vi circonda. Lo pensiamo per voi, se vorrete riflettere all’esperienza, che in questo momento voi state facendo, e cioè quella di osservare come qui voi siete accolti, apprezzati, ben voluti e subito ammessi alla fiducia e alla conversazione, che si accordano ai figli prediletti, più intelligenti e più idonei alla «societas spiritus», di cui parla San Paolo (Phil. 2, 1).

LA SUBLIMITÀ DELLA SAPIENZA CRISTIANA

Lasceremo pertanto alla vostra mente commentare questo incontro con tutte le riflessioni e le divagazioni che esso sollecita; e se volete raccoglierle «in nuce» da una Nostra parola esortatrice, questa vi diremo: cercate di capire. Sembra la cosa più ovvia e più semplice; ed è, a Noi pare, la più ardua e impegnativa. Capire, diciamo, nel duplice significato del termine; cioè di osservare, penetrare, esplorare, cercare, trovare, primo significato; e poi comprendere, accogliere dentro di sé, assimilare, spiritualizzare ciò che vediamo e studiamo. Non è questo un vastissimo programma: scientifico, pedagogico, spirituale? E non è forse quello, alla cui esecuzione già state attendendo? Che cosa è lo studio, se non capire? Che cosa il pensiero, l’esperienza, la vita personale, se non capire? E che cosa il nostro fallo più comune, se non quello di non capire: che cosa ci circonda, che cosa accada d’intorno a noi, che cosa sia il mondo e che cosa siamo noi stessi? La cecità, ‘l’inavvertenza, l’indifferenza, l’incoscienza, l’ignoranza, tutte le varie forme di «incomprensione» non sono forse le consuete degradazioni della nostra dignità umana, della nostra profonda vocazione di «fieri intentionaliter omnia»? Voi sapete bene questa nostra sorte, la quale trova all’Università la sua coscienza e il suo interesse più forte e più intenzionale.

Capire. E che cosa capire? Tutto, si dovrebbe dire. Ma restringendo ora agli oggetti più immediati, offerti al vostro sforzo di capire vorremmo invitarvi, anche se superflua la Nostra esortazione, a capire la vostra Università, i vostri studi, il genio che li anima e la realtà che li occupa: non si è mai capito abbastanza la verità in cui navighiamo; la meraviglia, è stato detto, dovrebbe essere il nostro consueto atteggiamento di fronte all’inesauribile scoperta, che lo studio apre davanti. E poi c’è da capire il vostro Collegio. Immaginiamo che questo sforzo vi sia abituale, e vi faccia lieti di apprezzare la fortuna che vi è concessa. Capire, sì, cercate di capire quale quadro di sapienza vi circondi e quale incomparabile occasione vi offra per essere iniziati alle più alte, alle più buone, alle più autentiche esperienze della vita intellettuale e morale.

E capire infine i tempi e il mondo in cui viviamo; capire la Chiesa. L’accenno fatto dal vostro Rettore al Concilio ecumenico, testé celebrato, Ci assicura che i vostri occhi sono aperti, i vostri cuori pronti a corrispondere alla visione, che a voi si presenta. Non ne diciamo nulla; troppo, troppo vi sarebbe da dire a giovani pensosi e religiosi, quali voi siete. Ma ancora insisteremo nella Nostra raccomandazione: cercare di capire. E lo faremo con una parola di quel Santo, di cui Pavia ha l’invidiato privilegio di custodire le spoglie mortali, e di cui voi, Studenti, dovreste essere devotissimi, amicissimi: Sant’Agostino. Ecco, scegliamo a caso fra i suoi tesori e estraiamo questa formola: «amore quaeritur» (De moribus Ed. cath. I, 17; P. L. 32, 1324), si deve cercare con amore, con l’amore. Per capire bisogna amare. Il mistero della grazi,a s’insinua in questa elementare e sublime psicologia. Per voi giovani, per voi Studenti, per voi cattolici non è difficile percorrere questo meraviglioso e recondito sentiero: amare, cioè desiderare, pregare, vegliare, soffrire per capire. Già lo percorrete questo sentiero, e la Nostra benedizione vi accompagna.

                                                  



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