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50° DI SACERDOZIO DEL SANTO PADRE PAOLO VI

DISCORSO DEL PAPA AL SACRO COLLEGIO

Lunedì, 18 maggio 1970

 

Signori Cardinali,

L’affetto, di cui ci avete voluto circondare in questa felice circostanza, con le delicate espressioni del caro e venerato Cardinale Aloisi Masella, ci ha grandemente commosso. Amiamo vedere in questa vostra premura il segno della unanimità della fede cattolica, che ci unisce nel nome di Cristo, e del fervore sacerdotale, che, per Noi, da un mezzo secolo di grazie, e, per voi, da tanti anni ormai, anima le nostre vite, spese nell’annuncio della buona novella di Cristo Salvatore e al servizio della Santa Sede.
Non c’è per noi felicità più grande di quella di condividere la nostra gioia sacerdotale insieme con voi e, per il vostro tramite, insieme con tutti i nostri Fratelli nell’episcopato, con tutti i sacerdoti e i fedeli. A tutti vogliamo esprimere la nostra soddisfazione per il loro affetto, la nostra gratitudine per le loro preghiere, la nostra gioia per il loro generoso apostolato, a servizio della Chiesa. Quest’ora difficile della vita ecclesiale è tuttavia un’ora benedetta da Dio, un’ora ricca di grazie, un’ora piena di speranze. Oggi come ieri, la Chiesa compie la sua missione di salvezza attraverso il mondo, e trasmette agli uomini le promesse della Redenzione e della vita eterna.

Se ora geme, è, come dice San Paolo d’ogni creatura, per i dolori del parto, che precedono l’esultanza di una nuova nascita: essa porta in se stessa lo Spirito di Dio, lo Spirito creatore, lo Spirito d’amore e di carità.
Se lo spirito della divisione, come sempre - del resto ne siamo preavvisati - è all’opera nel campo del Padre di famiglia per spargervi la zizzania (Cfr. Matth. 13, 25), non lasciamoci attrarre dai suoi inganni, né scoraggiare dalla sua intrusione: continuiamo il nostro lavoro, umile, modesto, fervente, disinteressato, attento ai segni dei tempi, nell’autentico clima di sincero e leale dialogo e nel discorso fraterno, ispirato dalla preghiera, nutrito dalla carità.
Anche lo Spirito del Signore è all’opera nella sua Chiesa: Egli non è affatto uno spirito di contestazione, ma di rinnovamento e di pace. Suscita ininterrottamente nuove iniziative, cioè quelle dell’apostolato e della santità. Poiché abbiamo celebrato la Pentecoste, noi dobbiamo renderci ancora più attenti alle sue chiamate, più docili alle sue ispirazioni, più intrepidi nel rispondere ai suoi impulsi. Egli ci spinge al largo, cioè verso i bisogni dei tempi nuovi. Affrontiamoli con amore, con ponderazione, senza cedere alla tendenza inconsulta del mondo profano, e senza temere le insidie del Maligno, sicuri, come siamo, d’essere nelle mani di Dio, e portati dal suo amore.

AFFRONTARE CON AMORE LE NECESSITÀ DEI TEMPI NUOVI

Oggi, una grande grazia noi dobbiamo implorare con fervore dallo Spirito Santo. L’ora che suona al quadrante della storia esige effettivamente da tutti i figli della Chiesa un grande coraggio, e in modo tutto speciale il coraggio della verità, che il Signore in persona ha raccomandato ai suoi discepoli, quando ha detto: «Che il vostro sì sia sì, il vostro no, no» (Matth. 5, 37).
L’ondata delle contestazioni, delle negazioni e delle violenze sommerge oggi le dighe più sicure; e l’uomo, alle prese col suo destino, rassomiglia sovente al navigante smarrito in alto mare, che ha perso i contatti con la riva, ovvero allo scalatore, sorpreso dall’uragano durante un’ascensione il quale prova la vertigine dell’abisso.
Come potrebbe il cristiano non essere sconvolto da questa tempesta, che sembra colpire la stessa Chiesa? Al momento in cui essa implora dallo Spirito le energie della crescita spirituale e apostolica, necessarie per superare una nuova e difficile tappa della sua storia, si vedono sollevarsi perfino in essa energie distruttrici. Certuni allora vorrebbero farla tornare sui suoi passi, per ritrovare la sicurezza perduta. Altri, invece, si abbandonano all’esaltazione di un pericoloso trasformismo, senza più sapere - come pare - ciò che sia veramente il Cristo, ciò che sia veramente la Chiesa, né la fede che ci consente di servirli.

IL CORAGGIO DELLA VERITÀ

Quante volte la Scrittura divina ci avverte al riguardo! Non ascoltiamo quanti pretendono di apportarci un Vangelo diverso (Cfr. Gal. 1. 8-9). Quante gnosi sono sparite nel corso dei secoli, le quali sembravano, nella loro epoca, ben più intelligenti che non il mistero della Croce e il nome di Gesù Salvatore! (Cfr. 1 Cor. 1, 18-25) Gli idoli rinascono sempre. Ma che cosa sarebbe il Cristianesimo, se lo si volesse ridurre a una ideologia, ad una sociologia naturalista? Che cosa sarebbe la Chiesa, se si lasciasse sbriciolare in tante sette? No, Cristo è venuto a liberare l’uomo da tutti gli idoli, e prima di tutto da quelli che il suo spirito si forma di secolo in secolo: con «l’energia selvaggia delle passioni e lo scetticismo dissolutore dell’umana intelligenza in fatto di religione . . . nessuna verità, per quanto sia sacra, può a lungo opporvi resistenza» (Card. GIOVANNI ENRICO NEWMAN, Apologia pro vita sua. History of my religious opinions, London, Longmans 1902, chap. 5).

Il coraggio della verità si impone più che mai ai cristiani, se vogliono essere fedeli alla loro vocazione di dare un’anima a questo mondo nuovo che si sta cercando. Che la nostra fede a Cristo sia senza incrinature, in questa nostra epoca contrassegnata, come quella di Sant’Agostino, da una vera «miseria e penuria di verità» (Serm. 11, 11; Miscellanea Agostiniana 1930, p. 256). Che ciascuno sia disposto a vitam impendere vero! (GIOVENALE, Sat., IV, 91)
Il coraggio di proclamare la verità è anche la prima e indispensabile carità che i pastori di anime debbono esercitare. Non ammettiamo mai, anche sotto il pretesto della carità verso il prossimo, che un ministro del Vangelo annunci una parola puramente umana. Ne va di mezzo la salvezza degli uomini. Perciò, in questo ricordo ancor vivo della Pentecoste, noi vogliamo fare appello a tutti i pastori responsabili affinché alzino la loro voce quando è necessario, con la forza dello Spirito Santo (Cfr. Act. 1, 8), per chiarire ciò che è torbido, raddrizzare ciò che è distorto, riscaldare ciò che è tiepido, riconfortare ciò che è debole, illuminare ciò che è tenebroso. Questa, più che non mai, è l’ora della chiarezza per la fede della Chiesa. Essa ci invita a rischiarare la opacità delle realtà umane con lo sfolgorio del messaggio evangelico, nella ricerca di quella pace spirituale che nasce dal possesso della verità e dall’amore della preghiera, secondo la bella e grande parola del nostro Predecessore sulla Cattedra della Chiesa di Milano, Sant’Ambrogio: «Est bona pax et necessaria, ut nemo disputationum turbetur incertis neque passionum corporalium tempestate quatiatur, sed simplicitate fidei et tranquillitate mentis quietus circa Dei cultum perseveret affectus» (De Spiritu Sancto, 1, 12, 126; C.S.E.L., ed. Faller, 79, 9, p. 69).

I CONFLITTI NEL MEDIO ED ESTREMO ORIENTE

Questa pace interiore deve riflettersi, poi, all’esterno, nella tranquillità dell’ordine: ed è questa altresì l’ansia quotidiana che ci assilla nel nostro tremendo ministero, e a cui, con l’aiuto di Dio, cerchiamo di recare l’apporto pieno e totale delle nostre umili forze, affinché si stabilisca nel mondo, e si rafforzi sempre di più la pace, questo dono tanto prezioso e tanto fragile, che anch’esso, mai come oggi, sembra compromesso in tante parti del nostro mondo tormentato.
Vostra Eminenza ha voluto accennarvi con delicate parole, delle quali Le siamo grati.
In realtà, sin dall’inizio del nostro sacerdozio è continuamente risuonata al nostro orecchio l’esclamazione che è insieme invito: «Quam pulchri pedes evangelizantium pacem, evangelizantium bona!» (Rom. 10, 15). E, specialmente da quando il Signore ci ha chiamati al servizio della sua Chiesa nel Sommo Pontificato, ci siamo fermamente proposti di dedicare insieme la nostra opera al servizio della pace. Ed ora sentiamo di poter affermare, con umile ma tranquilla coscienza, che non mai, in questi anni, il nostro animo ha nutrito altri pensieri che non fossero di pace, e che al pensiero abbiamo sempre procurato di far seguire, come a noi era possibile, l’unione e lo sforzo intesi a conservare o a ristabilire, nella giustizia e nell’amore, l’armonia fra gli uomini e fra le Nazioni: incessantemente, senza scoraggiarci per il mancato successo o, talvolta, perfino per la incomprensione degli scopi che ci muovevano, sicuri di far nostro l’anelito profondo dell’umanità e fiduciosi soprattutto nell’aiuto di Colui che è chiamato il Dio della pace.

Purtroppo dobbiamo prendere atto che i grandi conflitti che da anni insanguinano le regioni dell’Indocina e del Medio Oriente, lungi dall’avviarsi alla soluzione auspicata, sono divenuti ultimamente ancor più difficili e complessi. Non solo si estendono i campi delle operazioni belliche, ma sembrano contare sempre di meno i popoli direttamente interessati e in nome dei quali le guerre sono combattute. L’accresciuto impegno militare delle grandi Potenze, infatti, mentre rende più pericolose le contese per la minaccia di imprevedibili più ampi sviluppi, ne fa dipendere la fine da condizioni e da volontà che trascendono le scelte di coloro che da anni ne offrono le dolorose conseguenze.
Mentre rinnoviamo a questi l’espressione della nostra viva, paterna partecipazione, desideriamo ripetere un pressante appello a quanti hanno possibilità e responsabilità nella cosa, perché vogliano mettere - da una parte e dall’altra - ogni impegno, e con qualche sacrificio, se necessario, nella ricerca delle vie di una giusta ed equa composizione negoziata, che tenga conto dei diritti e dei legittimi interessi di tutti i popoli coinvolti nei conflitti, e delle attese di un’umanità trepidante per le proprie sorti.

VINCERE LA MISERIA E GLI SQUILIBRI TRA I POPOLI

Questa umanità, che ha diritto alla pace, ha diritto altresì a che tutti s’impegnino a togliere di mezzo le cause che alimentano le lotte, all’interno delle Nazioni e fra di esse. Grande e difficile impegno, ma al quale è doveroso dedicarsi con sincera e tenace volontà.
Pensiamo agli squilibri fra i popoli; alla miseria che tuttora preme tanta parte dei nostri fratelli. Pensiamo alle ingiustizie, nuove ed antiche, in atto o come stabilite, e alle reazioni che esse provocano. Pensiamo agli antagonismi ed agli egoismi di ceti sociali o di Potenze, alle oppressioni dei più deboli e indifesi.
Dall’altra parte non possiamo non deplorare che siano eretti a sistema di lotta, metodi di terrore che la coscienza civile giustamente respinge. Non è attraverso nuove ingiustizie che si combattono quelle contro le quali si insorge; come non è violando i diritti dell’uomo che si può ristabilire l’ordine turbato da azioni anche se delittuose.

Per parte nostra, non ci stancheremo di levare la nostra voce, di interporre la nostra azione, spesso coperta da un velo di discrezione inteso ad assicurarne la migliore efficacia, e a non offendere l’onore di alcuno, affinché le ragioni della giustizia e – vorremmo auspicare - le esigenze della umana fraternità trovino l’ascolto dovuto e siano fondamento di quella vera e solida pace che è nei nostri voti. Li ascolti Cristo, Lui che «è la nostra pace»!
Ecco, Venerabili Fratelli e Figli nostri carissimi, quanto abbiamo voluto dirvi, in questa circostanza per noi tanto intima e cara, che pur avete voluto rendere così solenne con la vostra presenza e con la vostra solidarietà. Insieme con voi vogliamo ringraziare lo Spirito Santo, e lo preghiamo che confermi i buoni propositi di tutti, in quest’ora del coraggio e della verità, affinché - sono ancora parole di Sant’Ambrogio - «magis in bonis operibus et sermonibus et sensibus ambulantes, repleamur voluntate Dei» (De Spiritu Sancto, 1, 7, 89; op. cit., p. 53).
Amen, amen.

                             



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