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PAOLO VI

UDIENZA AI LAVORATORI
IN OCCASIONE DELLA SOLENNITA' DI
SAN GIUSEPPE ARTIGIANO
 

  Sabato, 1° maggio 1971 

  

Noi salutiamo oggi i Nostri visitatori pensando che questo giorno è dedicato alla celebrazione del lavoro, che per noi cattolici trova la sua figurazione tipica in Cristo, il quale ha voluto essere classificato, entrando nell'anagrafe umana, come "figlio del fabbro", ed essere lui stesso operaio di. fatica fisica e manuale, obbediente a colui che allo stato civile fungeva da suo padre (putativo) e da suo maestro d'arte, S. Giuseppe;così nacque e visse Gesù in una sfera di attività dura, umile e povera, in una società primitiva, ma per altro intensamente carica di coscienza religiosa, quella propria del Popolo di Dio, fedele ad una secolare e storica tradizione di alleanza nella fede e nella legge ad una elezione divina, rivestito d'una dignità e d'una missione regale, e proteso sempre verso un indefinibile, ma meraviglioso futuro destino messianico, che solo l'oscuro giovane artigiano di Nazareth, Gesù, conosceva quale era realmente e come in lui stesse per realizzarsi.  

Né più semplice e modesta potrebbe essere la scena sociologica in cui Cristo ha voluto apparire sul teatro della storia del mondo, né più densa e misteriosa di significato e di realtà trascendente. Per questo, contemplare il quadro, dove Gesù "di Nazareth, Re dei Giudei" si presenta al mondo, come lavoratore e come Messia prossimo a svelare e a compiere la sua missione salvatrice, è tema pieno d'interesse per noi, i quali avvertiamo la voluta inserzione di Gesù, accanto e soggetto a Giuseppe artigiano, nel mondo del lavoro umano, e possiamo derivare da questa apparizione di Cristo nel tempo e nel consorzio sociale una fecondissima meditazione. 

La quale meditazione diventa attuale, proprio per il fatto che Egli, Gesù, il Messia, il Salvatore dell'umanità, volle essere lavoratore, soggetto all'umiltà e alla fatica dell'opera manuale, classificato come membro d'una onesta e umile categoria sociale, e personifica così l'umanità nella sua espressione più semplice e primitiva, più naturale e più necessaria, più bisognosa e più meritevole dell'ascensione pluriforme, economica, sociale, spirituale, a cui la vita dell'uomo è destinata. 

Siamo così invitati a onorare il lavoro, che vediamo assunto alla scuola di S. Giuseppe da nostro Signore Gesù Cristo. sì, onoriamo il lavoro, programma stabilito da Dio creatore alla vita dell'uomo, affinché egli "s'impadronisca della terra", "la coltivi e la custodisca"; titolo perciò della sovranità dell'uomo sulla creazione, e della sua vocazione a portare a compimento il mondo creato, estraendo da esso le ricchezze, le energie, le virtualità, che vi sono nascoste, e a coordinarle al vantaggio e al progresso della propria vita, destinata così a scoprire Dio nell'opera sua tutta imbevuta della sua sapienza. 

Onoriamo il lavoro, che esplora, domina e feconda la creazione. Onoriamo il lavoro, tramutato in fatica, dopo il peccato del primo uomo, quasi castigo espiatore, e sforzo e lotta con una terra diventata nemica, che solo a prezzo di sudore darà pane al suo mortale padrone, ma restituirà poi col sudore una ricuperata grandezza, un merito nuovo della difficile e dura sua attività. Onoriamo il lavoro che ha in sé la virtù della penitenza e della riabilitazione, la nobiltà del dolore, il superamento dell'egoismo, il segreto dell'amore. 

E onoriamo il lavoro che rende fratelli gli uomini, li educa alla cooperazione, gli stimola alla solidarietà, li fortifica alla conquista non solo delle cose, ma altresì della speranza, della libertà, della felicità, e offre loro così la base della moderna vita sociale. Onoriamo il lavoro nelle sue impensabili, meravigliose, continue conquiste, quando febbrilmente animato dal pensiero scientifico, cioè capace di rintracciare il recondito pensiero divino nelle cose, impugna strumenti prodigiosi, che lo sollevano in grande parte dalla durezza della fatica fisica, e gli infondono un'incalcolabile efficienza, tanto da convertire l'antica stanchezza in gaudente ebbrezza, e fino anche in trepidante timore . . . 

E poi il lavoratore noi dobbiamo onorare. Oggi, sua festa. Non vediamo noi riflessa nella sua curva figura, nella sua sofferta pazienza, l'immagine di Cristo che lavorò, che stentò, che conobbe il dolore, che subì l'ingiustizia, che portò la Croce e che subì la morte precoce? Non ascoltiamo noi oggi la chiamata che a lui il Signore, come ad ogni tribolato e affaticato, rivolse per l'incontro con Lui, solo vero consolatore? 

Non salutiamo noi oggi il suo risveglio da un secolare torpore ed il suo avvento nella sfera dell'eguaglianza e della libertà? E non vediamo delinearsi nel suo forte e sudato profilo il tipo dell'uomo autentico, che infonde nell'inevitabile e faticosa attività la sua energia, la sua personalità e ne trae il prezzo della sua indipendenza e il dono del benessere per la sua casa e per la sua città? e di più, che nella fecondità del connubio dell'opera sua con le inerti ed ignare e recondite risorse della terra fa scaturire i segni d'una Provvidenza che dà il pane quotidiano, reso sacro dalla fatica e dalla preghiera, a chi col lavoro lo ha meritato? Figli e Fratelli! questa è la grande poesia della nostra vita terrena; la grande realtà. 

Se un giorno nella storia (e ancora non è del tutto tramontato), questa palingenesi del mondo del lavoro, si aprì nel furore della lotta fra l'uomo povero e l'uomo ricco, fra la classe disarmata della folla sterminata degli uomini segnati dalla fatica e quella privilegiata per goderne e per l'esercizio di altre funzioni sociali, ricordiamo che tale non dev'essere la norma necessaria della dialettica sociale, sì bene la virile e giusta difesa dei sacrosanti diritti umani, la promozione delle legittime aspirazioni, ma sempre nel preciso intento di tutti della collaborazione delle classi sociali, della mutua partecipazione al progresso economico e civile, nell'equa distribuzione dei benefici risultanti dal comune lavoro, nella concordia solidale gioconda fra uomini figli d'uno stesso Paese, e fratelli della medesima patria, ch'è la terra universa. 

Ricordiamolo noi, specialmente; noi cristiani, noi cattolici, che abbiamo la fortuna di non restringere l'orizzonte della vita nel cerchio temporale ed economico, ma di aprirlo al cielo dello spirito, al colloquio con Dio Padre e alla fede trasfigurante della parola di Cristo! e sappiamo trarre, Figli e Fratelli carissimi, l'ispirazione corroborante esaltante per portare pace e giustizia al mondo - al mondo operaio, specialmente -, non dalla scelta equivoca di dottrine contestabili, o di formule imbevute di materialismo e di odio, ma dall'urgenza sentita e vissuta della carità, umile e forte, che quel Cristo dal Quale traiamo la qualifica e la consegna, ci ha insegnato con la parola e con l'esempio, e ci ha infuso con il suo Spirito vivificante. 



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