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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Forti nella debolezza

Giovedì, 18 giugno 2015

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.137, 19/06/2015)

«Debolezza, preghiera, perdono»: tre parole chiave per richiamare la consapevolezza che senza l’aiuto di Dio non possiamo fare un passo nella vita. Le ha suggerite Papa Francesco nella messa celebrata giovedì 18 giugno nella cappella della Casa Santa Marta.

Nell’orazione colletta della liturgia, ha fatto subito presente il Pontefice, «abbiamo chiesto aiuto al Signore, che è nostra fortezza». E infatti abbiamo pregato: «Nella nostra debolezza, nulla possiamo senza il tuo aiuto». Parole che esprimono proprio «la consapevolezza di essere deboli». È «quella debolezza che tutti noi portiamo dopo la ferita del peccato originale: siamo deboli, scivoliamo nei peccati, non possiamo andare avanti senza l’aiuto del Signore».

Ecco perché, ha affermato Francesco, «conoscere e confessare la nostra debolezza è proprio indispensabile». Difatti «chi si crede forte, chi si crede capace di cavarsela da solo, è almeno ingenuo e, alla fine, rimane un uomo sconfitto da tante debolezze che porta in sé». Invece proprio «la debolezza ci porta a chiedere aiuto al Signore», poiché, come recita appunto l’orazione colletta, «nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto».

Dunque, ha insistito il Papa, «non possiamo fare un passo nella vita cristiana senza l’aiuto del Signore, perché siamo deboli». E «quello che è in piedi abbia cura di non cadere perché è debole, anche debole nella fede». Ricordiamo, ha proseguito, quel padre che, dopo la trasfigurazione, «aveva portato il figlio perché Gesù lo guarisse. E Gesù dice che tutto è possibile a chi ha fede». Da parte sua il padre risponde: «Io ho fede, ma falla crescere Signore, perché è debole!».

«Tutti noi abbiamo fede — ha spiegato il Pontefice — e tutti noi vogliamo andare avanti nella vita cristiana. Ma se noi non siamo consci della nostra debolezza finiremo sconfitti tutti». Per questo, ha aggiunto, «è bella quella preghiera: “Signore io so che nella mia debolezza nulla posso senza il tuo aiuto”». E «questa è la prima parola di oggi: debolezza».

La seconda parola è «preghiera». Sono gli apostoli a chiedere a Gesù: «Insegnaci a pregare come Giovanni lo ha fatto con i suoi discepoli». Il Papa ha ricordato che nel brano evangelico della liturgia, tratto dal capitolo 6 di Matteo (7-15), «non c’è quella domanda, è in un altro». Gesù insegna a pregare raccomandando ai discepoli di non fare come i pagani che sprecano a parole: «essi credono di venire ascoltati a forza di parole». E Francesco ha ripetuto proprio le parole del Signore ai discepoli: «Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate».

Il Papa ha quindi fatto riferimento a un passo del primo libro dei Re: sul monte Carmelo «i quattrocento profeti dell’idolo Baal gridavano e urlavano; e il profeta Elia un po’ li prendeva in giro», dicendo che forse il loro Dio «dorme e non vi sente». Ma «è così che pregano i pagani». Gesù, invece, raccomanda: «Non fate questo! Pregate semplicemente, il Padre sa di quali cose voi avete bisogno, aprite il cuore davanti al Padre». Proprio «come quella donna che era nel tempio di Gerusalemme, la madre di Samuele: chiedeva al Signore la grazia di avere un figlio e appena muoveva le labbra». Tanto che «il sacerdote che era lì la guardava» fino a convincersi che fosse ubriaca, rimproverandola e allontanandola.

Invece quello era il suo modo di esprimere «dolore davanti a Dio: soltanto muoveva le labbra perché non riusciva a parlare, chiedeva un figlio». Ecco, ha affermato il Papa, «si prega così, davanti al Signore». E «poiché sappiamo che lui è buono e sa tutto su di noi e sa le cose di cui noi abbiamo bisogno», ha suggerito Francesco, «incominciamo a dire quella parola, “Padre”, che è una parola umana, certamente, che ci dà vita, ma nella preghiera soltanto possiamo dirla con la forza dello Spirito Santo».

Nel canto prima del Vangelo, tratto dalla lettera di Paolo ai Romani (8,15), la liturgia ricorda: «Avete ricevuto lo spirito che rende figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre!». È lo Spirito, ha spiegato il Pontefice. E dunque «incominciamo la preghiera con la forza dello Spirito che prega in noi». Bisogna «pregare così, semplicemente, col cuore aperto nella presenza di Dio che è Padre e sa di quali cose noi abbiamo bisogno prima di dirle». E «questa è la seconda parola» di oggi: preghiera.

«C’è una condizione per pregare bene — ha quindi avvertito Francesco — che Gesù riprende proprio dalla preghiera che insegna ai suoi discepoli». Ed è appunto la terza parola: perdono. La preghiera che Gesù ci insegna dice: «Rimetti a noi i nostri debiti così come noi li rimettiamo ai nostri debitori». E «poi Gesù riprende questa idea» dicendo: «Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi. Ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».

Perciò, ha spiegato, «possiamo pregare bene e dire “Padre” a Dio soltanto se il nostro cuore è in pace con gli altri, con i fratelli». A chi si giustifica dicendo: «questo mi ha fatto questo, questo mi ha fatto questo e mi ha fatto quello...», la risposta è solo una: «perdona, perdona come lui ti perdonerà!». E «così la debolezza che noi abbiamo, con l’aiuto di Dio nella preghiera diviene fortezza, perché il perdono è una grande fortezza: bisogna essere forti per perdonare, ma questa fortezza è una grazia che noi dobbiamo ricevere dal Signore perché noi siamo deboli».

Nella celebrazione dell’Eucaristia, ha concluso il Papa, «anche lui si fa debole per noi, si fa pane: lì è la forza. Lui prega per noi, si offre al Padre per noi. E lui ci perdona: impariamo da lui la fortezza della fiducia in Dio, la fortezza della preghiera e la fortezza del perdono».

 



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