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GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 15 gennaio 1992

 

1. Cominciamo anche questa catechesi con un bel testo della lettera agli Efesini, che suona: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo . . . In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo . . . nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà . . . di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra». San Paolo con volo d'aquila, accompagnato da un profondo senso del mistero della Chiesa, si eleva alla contemplazione dell'eterno disegno di Dio di riunire tutto in Cristo come Capo. Gli uomini, eletti eternamente dal Padre nel Figlio diletto, trovano in Cristo la Via per raggiungere il loro fine di figli adottivi. A Lui si uniscono diventando suo Corpo. Per Lui risalgono al Padre come un solo «insieme» con le cose della terra e del cielo.

Questo disegno divino trova la sua attuazione storica quando Gesù istituisce la Chiesa, che prima annunzia e poi fonda con il sacrificio del suo sangue e il mandato conferito agli Apostoli di pascere il suo gregge. È un fatto storico e nello stesso tempo un mistero di comunione in Cristo, dinanzi al quale l'Apostolo non si contenta di contemplare, ma si sente spinto a tradurre la verità contemplata in un cantico di benedizione: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo . . .».

2. Per la realizzazione di questa comunione degli uomini in Cristo eternamente voluta da Dio, ha un'importanza essenziale il comandamento che Gesù stesso definisce «il mio comandamento».3 Egli lo chiama «un comandamento nuovo»: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri». «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati».

Il comandamento di amare Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come se stessi, ha le sue radici nell'Antico Testamento. Ma Gesù lo sintetizza, lo formula in parole scultoree, vi dà un significato nuovo, come segno dell'appartenenza a Lui da parte dei suoi seguaci. «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri». Cristo stesso è il vivo modello e costituisce la misura di quell'amore di cui parla nel suo comandamento: «Come io vi ho amato», egli dice. E anzi si presenta come la fonte di quell'amore, come «la vite», la quale fruttifica con questo amore nei suoi discepoli, che ne sono «i tralci»: «Io sono la vite voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla». Di qui l'esortazione: «Rimanete nel mio amore». La comunità dei discepoli, radicata in quell'amore con cui Cristo stesso li ha amati, è la Chiesa, Corpo di Cristo, unica vite di cui siamo i tralci. È la Chiesa-comunione, la Chiesa-comunità d'amore, la Chiesa-mistero d'amore.

3. I membri di questa comunità amano Cristo e, in Lui, si amano reciprocamente. Ma si tratta di un amore che, derivando da quello con cui Gesù stesso li ha amati, si ricollega alla fonte dell'amore di Cristo Uomo-Dio, ossia la comunione trinitaria. Da essa attinge la sua intera natura, la sua qualifica soprannaturale, e ad essa tende come al proprio compimento definitivo. Questo mistero di comunione trinitaria, cristica ed ecclesiale, traspare dal testo giovanneo che riproduce la preghiera sacerdotale del Redentore nell'ultima Cena. Quella sera Gesù disse al Padre: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me: perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato». «Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me».

4. In quella sua preghiera finale Gesù tracciava il quadro completo dei rapporti interumani ed ecclesiali che avevano la loro origine in lui e nella Trinità, e proponeva ai discepoli, e a noi tutti, il supremo modello di quella «communio» che è chiamata a essere la Chiesa a motivo della sua origine divina: Lui stesso, nella sua intima comunione col Padre nella vita trinitaria. Gesù mostrava nel suo stesso amore per noi la misura del comandamento che lasciava ai discepoli, come un'altra volta aveva detto: «Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». Lo aveva detto nel discorso della Montagna, raccomandando di amare i nemici: «Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti». Molte altre volte, e specialmente durante la sua Passione, Gesù confermò che questo amore perfetto del Padre era anche il suo amore: l'amore con il quale egli stesso aveva amato i suoi sino alla fine.

5. Questo amore che Gesù insegna ai suoi seguaci, come riproduzione del suo stesso amore, nella preghiera sacerdotale è nettamente riferito al modello della Trinità. «Siano anch'essi in noi una cosa sola», dice Gesù: «perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro». Egli sottolinea che questo è l'amore con il quale «tu, (o Padre), mi hai amato prima della creazione del mondo».

E proprio questo amore, sul quale si fonda ed edifica la Chiesa come «communio» dei credenti in Cristo, è la condizione della sua missione salvifica: siano una cosa sola come noi siamo Uno - Egli prega - perché «il mondo sappia che tu mi hai mandato». È l'essenza dell'apostolato della Chiesa: diffondere e rendere accettabile, credibile, la verità dell'amore di Cristo e di Dio, da lei testimoniato, reso visibile, praticato. L'espressione sacramentale di questo amore è l'Eucaristia. Nell'Eucaristia la Chiesa in un certo senso continuamente rinasce e si rinnova come quella «communio» che Cristo portò nel mondo, compiendo l'eterno disegno del Padre. Specialmente nell'Eucaristia e per l'Eucaristia la Chiesa racchiude in sé il germe della definitiva unione in Cristo di tutto ciò che è nei cieli e di tutto ciò che è sulla terra, come ci ha detto Paolo: una comunione veramente universale ed eterna.

 

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