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 MESSA CONCELEBRATA CON I SACERDOTI
ADERENTI AL MOVIMENTO DEI FOCOLARI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Sabato, 30 aprile 1982


1. “Erano concordi nella preghiera... insieme con Maria, la Madre di Gesù e con i fratelli di lui” (At 1,14).

Queste parole della prima lettura biblica, miei carissimi fratelli nel presbiterato, ben si addicono al nostro odierno incontro, che avviene nella cornice solenne e insieme gaudiosa di una celebrazione eucaristica. Questo contesto di preghiera, però, non impedisce che vi presenti il mio cordialissimo saluto, che volentieri estendo ai Ministri Anglicani, ai Pastori Evangelici ed ai Fratelli Ortodossi dell’Istituto Regensburg, i quali assistono a questo rito, auspicando che giunga presto il giorno in cui sia possibile la partecipazione comune all’Eucaristia.

Ringrazio poi i vostri Rappresentanti per gli indirizzi rivoltimi, e soprattutto vi esprimo la mia profonda letizia nel poter celebrare con voi questa sacra Liturgia. La mia gioia non è motivata soltanto dal numero considerevole, in cui siete convenuti a questo singolare appuntamento da molti Paesi dei cinque Continenti, ma anche da ragioni più profonde. In primo luogo, questo momento squisitamente sacerdotale, che stiamo vivendo, ci offre l’occasione propizia per una riflessione, oltre che per un’esperienza, sulla natura e sui compiti della vita presbiterale, che tanta parte di responsabilità ha nella coscienza e nella stessa configurazione della Chiesa come Popolo di Dio, corpo di Cristo e tempio dello Spirito. In secondo luogo, anche se non è la prima volta, sono lieto di incontrarmi con voi, presbiteri diocesani e religiosi, che appartenete al Movimento dei Focolari.

Questo Movimento è ormai ampiamente diffuso e auspico che possa impegnarsi sempre più per la riscoperta di autentici valori evangelici all’interno della comunità cristiana, così da contribuire ad una rivitalizzazione dell’identità battesimale da una parte, ed in specie di quella presbiterale dall’altra.

2. So che vi siete radunati per ripensare alla figura del Sacerdote ministeriale. Come dev’essere egli, per servire nella maniera più efficace e secondo i piani di Dio la Chiesa e l’umanità di oggi?

L’interrogativo è altamente impegnativo, e la risposta che gli viene data non può certo essere indifferente né per la comprensione del mistero sacerdotale né per la stessa vita cristiana. Di grande aiuto, in questa riflessione, possono essere alcune grandi componenti del messaggio evangelico, che sono diventate anche capisaldi della spiritualità del Movimento dei Focolari; così è dei due poli fondamentali di Gesù crocifisso e dell’unità nella carità, che il Movimento riprende dal Vangelo, sottolineandoli ed applicandoli in forme rinnovate. In realtà, non è possibile alcun rinnovamento, nemmeno pratico, cioè di vita e di stile pastorale, se non ci si riporta e ci si fonda saldamente sui costitutivi essenziali della fede cristiana. Nessuna attività e tanto meno nessun attivismo può presumere di fondarsi su se stesso, così come nessun albero può vivere per pura forza endogena, ma prospera soltanto nella misura in cui le sue radici affondano in un terreno ricco e ferace, o, come dice il Salmista, è salutarmente “piantato lungo corsi d’acqua” (Sal 1,3). Questo terreno fertile, quest’acqua vivificante, è per voi, per tutti noi, la costante contemplazione del mistero centrale della Rivelazione, oggetto della fede della Chiesa, della sua adorazione e celebrazione, poiché motivo inaudito del riscatto e perciò della libertà e della gioia di ogni credente. È il mistero dell’insondabile e incomparabile amore di Dio per l’uomo, per noi, il quale ci è stato manifestato, anzi documentato dal dono totale di sé fatto dal Figlio suo (cf. Gv 3,16; Gal 2,20).

3. Pochi giorni fa abbiamo celebrato il mistero pasquale, e ancora viviamo liturgicamente dei grandi temi, sublimi e abissali, dell’estremo spogliamento che il Figlio di Dio ha fatto di sé fino alla morte ed alla morte di Croce, per essere poi intronizzato nella gloria di Dio (cf. Fil 2,6-11) ed effondere su di noi il suo Spirito di vita (cf. At 2,33; 1Cor 15,45). Soprattutto la Croce di Cristo campeggia davanti agli sguardi della nostra fede come dimostrazione sofferta, quant’altre mai, dell’amore sconfinato con cui Dio ci ha redenti, perdonando ogni nostra infedeltà e accogliendoci nella familiarità di una insospettata comunione con sé. Pensiamo a quanto ciò sia costato: il sangue prezioso di Cristo (cf. 1Pt 1,18-19), il suo grido, pur confidente, di abbandono sul legno del suo supplizio (cf. Mc 15,34), la sua morte.

Nel culmine del suo dolore c’è il culmine del suo amore.

Ebbene, qui scopriamo un motivo fondamentale, che diventa uno stimolo ineludibile, a partecipare con tutto il nostro cuore alle sofferenze di Gesù crocifisso e abbandonato, così da vivere in intima unione con lui le vicende personali e soprattutto gli impegni ministeriali di ogni giornata come espressione di amore per Dio e per i fratelli (cf. Ef 5,1-2). Abbracciando nelle prove quotidiane Gesù sofferente, ci si unisce immediatamente con lo Spirito del Risorto e la sua forza corroborante (cf. Rm 6,5; Fil 1,19).

Ecco perché, nella Lettera indirizzata a tutti i Presbiteri della Chiesa per lo scorso Giovedì Santo, scrivevo in forma di preghiera: “Siamo nati... dal Corpo e dal Sangue del tuo sacrificio redentore...

Siamo nati nell’Ultima Cena e, al tempo stesso, ai piedi della Croce sul Calvario” (Giovanni Paolo II, Precatio, Feria V in Cena Domini anno MCMLXXXII recurrente, universis Ecclesiae Sacerdotibus destinata, 1, die 8 apr. 1982: vide supra, p. 1061). Questo dato primordiale, che fonda la nostra identità, invita e stimola ogni battezzato, che abbia accolto la chiamata al Sacerdozio ministeriale, a conformarsi, anzi a uniformarsi sempre più a Cristo, unico ed eterno Sacerdote, e a trovare soltanto nella partecipazione a lui la vera ragion d’essere della propria vita.

E se questo vale già per ogni presbitero diocesano, tanto più i religiosi vedranno in Gesù crocifisso la radice di tutte quelle virtù, che devono caratterizzare la loro vita di particolare consacrazione, anche nell’imitazione dei carismi dei loro Fondatori. Per tutti resta determinante l’immedesimazione con l’assoluta disponibilità di Gesù alla volontà del Padre, così che la volontà dell’uno coincide con quella dell’altro. “Ecco, io vengo a fare la tua volontà... Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del Corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre” (Eb 10,9.10). Solo se il presbitero fa proprie queste parole in tutta la loro concreta esigenza, e le estende a tutti gli ambiti della sua esistenza, potrà dire con piena verità, come si esprime il Concilio Vaticano II, di agire “in persona Christi” (Lumen Gentium, 10).

4. C’è un’altra componente della spiritualità evangelica che il Movimento dei Focolari ha fatto propria e che merita anche qualche nostra considerazione: l’unità che Gesù ha chiesto al Padre prima di morire (cf. Gv 17,21). È per lo spogliamento del Cristo fino all’abbandono e alla morte che noi siamo stati fatti uno con lui e fra noi (cf. Gal 3,26-28; Ef 2,14-18). E quando Gesù ci dà il comando di amarci come egli ci ha amati (cf. Gv 15,12), ci invita ad avere come misura del nostro reciproco amore la sua stessa misura; ed è questa appunto che può fruttare l’unità poiché l’amore sempre unifica chi vi partecipa. Nell’unità, poi, si sperimenta viva la presenza del Cristo risorto, nel quale appunto siamo uno. Ben si esprimeva san Leone Magno: “Il Figlio di Dio ha assunto la natura umana con una unione così intima da essere l’unico e identico Cristo non soltanto in colui che è il primogenito di ogni creatura, ma anche in tutti i suoi santi” (S. Leone Magno, Discorso 12 sulla Passione: PL LIV, 355). Nell’unità realizzata nella loro vita presbiterale, i sacerdoti trovano la loro vera casa, che si amplia e si rinsalda nella comunione con i Vescovi ed il Papa. Riuniti nel suo nome, Cristo non può non essere in mezzo a loro (cf. Mt 18,20): sia per dare efficacia alla Parola di Dio “che tutti hanno il diritto di cercare sulle labbra dei sacerdoti” (Presbyteroum Ordinis, 4), sia per una feconda celebrazione dell’Eucaristia e degli altri Sacramenti (cf. Ivi. 5), sia per riunire in quanto pastori “la famiglia di Dio come fraternità animata nell’unità” (Ivi. 6). I religiosi, in più, trovano nella pratica della comunione fraterna un rapporto più stretto con i loro Fondatori e la possibilità di far brillare la specificità dei loro carismi (cf. Lumen Gentium, 46). In tal modo, tutti insieme si trasmette al mondo un raggio almeno di quella superiore ed ineguagliabile comunione che vincola l’una all’altra le persone della santissima Trinità (cf. Gaudium et Spes, 24), in un mistero fecondo di vita.

5. Nel Vangelo che è stato letto in questa Liturgia, abbiamo ascoltato le parole rivolte da Gesù in croce rispettivamente alla propria Madre ed al discepolo che egli amava, consegnando l’una all’altro in uno scambio di rapporti insieme materni e filiali (cf. Gv 19,26-27). È noto che il vostro Movimento si chiama anche “Opera di Maria”, ed anche per questo non è possibile prescindere da un richiamo al posto che la Madre di Gesù deve avere nella vita presbiterale. Il testo evangelico appena citato ci offre il modello della nostra devozione mariana. “Da quel momento il discepolo la prese nella sua casa” (Gv 19,27). Si può dire altrettanto di noi? Accogliamo anche noi Maria nella nostra casa? Infatti, dovremmo inserirla a pieno titolo nella casa della nostra vita, della nostra fede, dei nostri affetti, dei nostri impegni, e riconoscerle il ruolo materno che le è proprio, cioè una funzione di guida, di ammonimento, di esortazione, o anche solo di silenziosa presenza, che da sola a volte può bastare per infondere forza e coraggio. D’altronde, la prima lettura biblica ci ha ricordato che i primi discepoli, dopo l’ascensione di Gesù, erano riuniti “con Maria, la Madre di Gesù” (At 1,14). Nella loro comunità, dunque, c’era anche lei; anzi, era forse lei a darle coesione.

Ed il fatto che venga qualificata come “la Madre di Gesù” dice quanto Ella fosse rapportata alla figura del Figlio suo: dice, cioè, che Maria richiama sempre e soltanto il valore salvifico dell’operato di Gesù, nostro unico Salvatore, e dall’altra dice pure che credere in Gesù Cristo non può esimerci dal comprendere nel nostro atto di fede anche la figura di Colei che gli è stata Madre. Nella famiglia di Dio, e tanto più nella famiglia presbiterale, Maria custodisce la diversità di ciascuno all’interno della comunione fra tutti. E nello stesso tempo Ella può esserci maestra di disponibilità allo Spirito Santo, di trepida condivisione della dedizione totale di Cristo alla volontà del Padre, soprattutto di intima partecipazione alla passione del Figlio e di sicura fecondità spirituale nell’espletamento del nostro ministero. “Ecco la tua madre” (Gv 19,27): ciascuno senta rivolte a sé queste parole e perciò attinga fiducia e slancio per un cammino sempre più deciso e sereno sulla strada impegnata della propria vita sacerdotale.

6. Fratelli carissimi, grazie per questa odierna dimostrazione di comunione fra di voi e con il successore di Pietro. È una comunione che fra poco rinsalderemo mediante quella sacramentale che, durante questa Liturgia, stringeremo sentendo, sì, tutta la nostra indegnità, ma pure esultando, con il Signore stesso. E, alla luce di questo vincolo eucaristico, ripeto a voi le parole di san Paolo a Timoteo: Ravvivate oggi e ogni giorno il dono di Dio che è in voi per l’imposizione delle mani (cf. 2Tm 1,6). E sempre salga a Dio dal vostro intimo il canto del Magnificat, che abbiamo letto poco fa. Coltivate una solida spiritualità, attingendola alle fonti di una preghiera incessante, di uno studio serio mai trascurato, di una fraternità veramente vissuta. Poiché molto dovete dare agli altri, cercate di arricchirvi sempre più in sapienza e in grazia. E che nessuno che vi accosta debba andarsene deluso, ma ciascuno trovi in voi luce per la propria intelligenza, calore per il proprio cuore, sostegno per i propri passi.

Siate sempre traboccanti di gioia per il dono del presbiterato, di cui Cristo sommo ed eterno sacerdote vi ha reso partecipi; date sempre una testimonianza serena ed incisiva di vita autenticamente evangelica, di modo che il carisma della vostra vocazione sia stimolo efficace e sorgente feconda di altre vocazioni sacerdotali e religiose, che sgorghino da tanti cuori, specie giovanili, aperti e disponibili all’invito ed alla chiamata di Gesù, che attende operai per la messe abbondante del mondo.

E siate certi che, da parte mia, trasformo questi voti in preghiera e vi raccomando di cuore al Signore, affinché “vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli.

Amen” (Eb 13,21).

 

 

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