VIAGGIO APOSTOLICO NEGLI STATI UNITI E IN CANADA
CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA CON I CONFRATELLI DELLA
CONFERENZA NAZIONALE DEI VESCOVI CATTOLICI DEGLI STATI UNITI
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
«Dodger Stadium» (Los Angeles)
Mercoledì, 16 settembre 1987
“Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli” (Sal 98, 2).
Cari confratelli nell’episcopato,
cari fratelli e sorelle in Cristo,
popolo di questa città di Nostra Signora degli Angeli, un tempo nota come “El Pueblo de Nuestra Señora de Los Angeles”,
cittadini di questo stato della California.
1. Oggi, da questa città di Los Angeles sulla Costa del Pacifico, in cui sono riuniti tutti i vescovi degli Stati Uniti, ci volgiamo insieme al cenacolo di Gerusalemme. Ascoltiamo le parole della preghiera che Cristo ha pronunciato in quel luogo. Circondato dai suoi apostoli, Gesù prega per la Chiesa di ogni tempo e di ogni luogo. Egli dice al Padre: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me” (Gv 17, 20). Cristo, l’unico eterno sacerdote della nuova ed eterna alleanza, prega per noi, per tutti noi qui riuniti, per tutti coloro che vivono qui a Los Angeles sulla costa occidentale degli Stati Uniti d’America, per tutti nel mondo. Sì, ognuno di noi è compreso in questa preghiera sacerdotale del Redentore.
2. Gesù dice al Padre: “Ma (prego) anche per quelli che per la loro parola crederanno in me” (Gv 17, 20). Questa è la Chiesa di tutti i tempi per cui lui sta pregando. Quante generazioni di discepoli hanno già ascoltato queste parole di Cristo! Quanti vescovi, sacerdoti, religiosi, e religiose, e quanti genitori e insegnanti nel corso dei secoli sono passati attraverso questa parola di salvezza! In quanti luoghi del mondo, fra quanti popoli e nazioni, questo mistero della redenzione ha continuato a rivelarsi e a portar frutto! È la parola della salvezza che ha fatto sì che la Chiesa crescesse e continui a crescere. Ciò è vero per la Chiesa universale e per ogni Chiesa locale. È vero per la Chiesa di Los Angeles che oggi è visitata dal vescovo di Roma, il successore di Pietro.
Nel 1769, padre Junípero Serra e i suoi confratelli Francescani portarono la parola di Dio in California. Lasciandosi alle spalle tutto ciò che era loro familiare e caro, essi vollero liberamente venire in questo territorio per predicare la buona novella di Nostro Signore Gesù Cristo. Questo sforzo iniziale di evangelizzazione diede ben presto risultati sorprendenti come l’accettazione del Vangelo e del Battesimo da parte di migliaia di nativi americani. Successivamente molte altre missioni si insediarono lungo il “Camino Real”, prendendo ognuna il nome di un Santo o di un mistero della fede cristiana: San Diego, San Bernardino, San Gabriele, San Bonaventura, Santa Barbara, San Fernando, e via dicendo.
Negli anni che seguirono questo primo sforzo missionario, cominciarono a stabilirsi in California immigrati provenienti soprattutto dal Messico e dalla Spagna; questi primi coloni, che erano cristiani, portarono come parte preziosa del loro patrimonio la propria fede cattolica e apostolica. Essi non potevano immaginare che, con la Provvidenza di Dio, stavano dando inizio ad uno stile peculiare che avrebbe caratterizzato la California del futuro.
Successivamente la California è diventata un rifugio degli immigrati, una nuova patria per i rifugiati e gli emigrati, un luogo in cui la gente di ogni continente si è riunita per formare una società ricca di varietà etniche. Molti di loro, come i loro predecessori, hanno portato non solo le loro specifiche tradizioni culturali, ma anche la fede cristiana. Ne è derivato che la Chiesa in California, e in modo particolare la Chiesa di Los Angeles, è davvero cattolica nel senso più completo abbracciando popoli e culture di più vasto e ricco assortimento.
Oggi nella Chiesa di Los Angeles Cristo è Inglese e Spagnolo, Cristo è Cinese e Nero, Cristo è Vietnamita e Irlandese, Cristo è Coreano e Italiano, Cristo è Giapponese e Filippino, Cristo è nativo dell’America, della Croazia, di Samoa e di molti altri gruppi etnici. In questa Chiesa locale l’unico Cristo risorto, l’unico Signore e Salvatore vive in ogni persona che ha accolto la parola di Dio ed è stato purificato nell’acqua salvifica del Battesimo. E la Chiesa con tutti i suoi diversi membri resta l’unico corpo di Cristo, professando la stessa fede, unita nella speranza e nell’amore.
3. Per cosa pregava Gesù nel cenacolo la notte prima della sua passione e della sua morte? “Perché tutti siano una sola cosa come tu, Padre, sei in me e io in te; siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21). “Una sola cosa in noi” - il mistero dell’imperscrutabile Essere divino, il mistero della intima vita di Dio: l’Unità divina e al tempo stesso la Trinità -. È il “Noi” divino del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E anche se non è accessibile nella sua assoluta pienezza, questa perfettissima unità costituisce il modello reale per la Chiesa. In conformità agli insegnamenti del Concilio Vaticano II, “Così la Chiesa universale si presenta come un popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Lumen Gentium, 4).
È per questa unità che la Chiesa universale prega nel cenacolo: “Perché siano come noi una cosa sola. Io in loro, e tu in me, perché siano perfetti nell’unità, e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come ha amato me” (Gv 17, 22-23). Questa è l’unità della comunione della Chiesa, che è nata dalla comunione di Tre Persone nella santissima Trinità.
4. Gli uomini di ogni tempo e luogo sono chiamati a questa comunione. Questa verità della rivelazione ci è innanzitutto presentata nella liturgia odierna, attraverso l’immagine della città santa di Gerusalemme che troviamo nella lettura del profeta Isaia, che scrive: “Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio” (Is 60,3-5). Isaia pronunciò queste parole a Gerusalemme, profetizzando una grande luce che sarebbe discesa sulla città. Questa luce è Cristo. L’imponente movimento in massa verso Cristo della gente di tutto il mondo ha avuto inizio grazie al Vangelo. Animato dallo Spirito Santo, nel potere della croce e della risurrezione di Cristo, tale movimento di popoli culmina in una nuova unità dell’umanità. Così le parole di Cristo terminano: “Io quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12, 32).
Il Concilio Vaticano II ha dato rilievo a questa dimensione dell’unità della Chiesa, soprattutto insegnando al popolo di Dio. “Perciò questo, restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l’intenzione della volontà di Dio” (Lumen Gentium, 13)
5. Tuttavia quel popolo è, al tempo stesso, il corpo di Cristo. Il corpo è un’altra immagine e in un certo senso un’altra dimensione, della stessa verità dell’unità che riunisce tutti noi in Cristo sotto l’azione dello Spirito Santo. Di conseguenza san Paolo ci esorta: “Cercando di conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo Battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4, 3-6). L’unità per cui Cristo pregava nel cenacolo si realizza in questo modo. Essa non viene da noi ma da Dio: dal Padre attraverso il Figlio, nello Spirito Santo.
6. Questa unità non esclude le differenze. Al contrario, essa le sviluppa. C’è costantemente “unità nella diversità”. Attraverso l’opera dell’unico Signore, per mezzo dell’unica fede e dell’unico Battesimo, questa diversità - una diversità di persone umane, di individui - tende all’unità, un’unità che è comunione nella somiglianza a Dio Trinità.
L’unità del corpo di Cristo dà la vita; al tempo stesso serve la diversità e la sviluppa. Tale è la diversità di “tutti” e al tempo stesso di “ciascuno”. È vero ciò che troviamo nella Lettera agli Efesini in cui Paolo scrive; “A ciascuno di noi è stata data la garanzia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo sta scritto . . . È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero al fine di edificare il corpo di Cristo” (Ef 4, 7.11-12). Così è lo Spirito Santo che è fonte sia dell’unità che della diversità della Chiesa: l’unità perché essa trova le sue origini unicamente nello Spirito; la diversità poiché lo Spirito effonde la varietà di doni, la varietà di vocazioni e ministeri della Chiesa che è il corpo di Cristo e allo stesso tempo il popolo di Dio.
7. I santi che onoriamo nella liturgia di oggi, Cornelio e Cipriano, rappresentano un concreto esempio di unità nella diversità: l’unità della Chiesa universale che è servita dal successore di san Pietro, e la diversità delle Chiese particolari, le quali contribuiscono a edificare l’intero corpo sotto la guida dei vescovi locali.
San Cornelio Papa fu chiamato a guidare la Chiesa universale a metà del III secolo, periodo di persecuzioni religiose dall’esterno e periodo di dolorosi dissensi all’interno. I suoi sforzi per rafforzare la comunione della Chiesa furono sostenuti dai doni di persuasione del vescovo di Cartagine, san Cipriano, il quale mentre aveva cura del suo gregge promuoveva anche l’unione di tutto il Nord Africa. Questi due uomini, di differenti estrazioni culturali e temperamenti, furono accomunati da un umore reciproco per la Chiesa e dal loro zelo per l’unità e la fede. Com’è opportuno celebrare la loro festa il giorno in cui l’attuale successore di Pietro si incontra con i vescovi degli Stati Uniti.
La festa focalizza la nostra attenzione sulla verità fondamentale, vale a dire che l’unità dei membri della Chiesa è profondamente legata all’unione dei vescovi fra loro in comunione con il successore di Pietro. Il Concilio Vaticano II così afferma: “Il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli. I vescovi invece, singolarmente presi, sono il principio visibile e il fondamento dell’unità nelle loro Chiese particolari formate a immagine della Chiesa universale, nelle quali e a partire dalle quali esiste la sola e unica Chiesa cattolica” (Lumen Gentium, 23).
8. I concreti metodi di evangelizzazione della Chiesa e i suoi sforzi per promuovere pace e giustizia sono caratterizzati in larga misura dal fatto che la Chiesa è una e al tempo stesso diversa. La buona novella di Gesù deve essere proclamata in un linguaggio comprensibile a determinate persone, per mezzo di simboli artistici che conferiscono un significato alla loro esperienza e nella maniera più attinente possibile alle loro stesse aspirazioni ed esigenze, al loro modo di vedere la vita, e al modo in cui essi parlano a Dio. Allo stesso tempo, la verità fondamentale non deve essere rinnegata mentre il Vangelo è tradotto e gli insegnamenti della Chiesa vengono trasmessi.
L’universalità etnica della Chiesa esige un’attenta sensibilità per le culture autentiche, e un senso reale di ciò che il processo di inculturazione richiede. A questo proposito Papa Paolo VI definiva efficacemente la missione da compiere: “La questione è indubbiamente delicata. L’evangelizzazione perde molto della sua forza e della sua efficacia se non tiene in considerazione il popolo concreto al quale si rivolge, se non utilizza la sua lingua, i suoi segni e simboli, se non risponde ai problemi da esso posti, se non interessa la sua vita reale. Ma d’altra parte l’evangelizzazione rischia di perdere la propria anima e di svanire, se il suo contenuto resta svuotato e snaturato col pretesto di tradurlo, o se volendo adattare una realtà a uno spazio locale, si sacrifica questa realtà e si distrugge l’unità senza la quale non c’è l’universalità” (Pauli VI, Evangelii Nuntiandi, 63).
Strettamente legata all’evangelizzazione della Chiesa è la sua opera a favore della pace e della giustizia, che è anche questa profondamente influenzata dalla sua sollecitudine pastorale per determinati popoli, specialmente per i rifugiati, gli immigrati e i poveri. Per oltre duecento anni la Chiesa ha accolto ondate di nuovi immigrati sulle sponde della vostra nazione. Sono stati la compassione e l’amore della Chiesa ciò che per primo i nuovi arrivati hanno sentito quando hanno messo piede sul suolo di questa giovane nazione. Mentre la continua sollecitudine pastorale per gli immigrati nel primo decennio si concentrò soprattutto sulla costa orientale, la sua pastorale abbraccia ora praticamente ogni grande città della nazione. Los Angeles, in cui questa sera celebriamo la varietà dei popoli che formano la vostra nazione è ora diventato il maggior punto di afflusso delle ultime ondate di immigrati.
Io lodo voi, miei fratelli vescovi e tutti coloro che operano in stretto contatto con voi, per la vostra attiva collaborazione nell’aiutare milioni di immigrati clandestini a diventare legalmente residenti. Questa cura pastorale per gli immigrati ai nostri giorni riflette l’amore di Cristo nel Vangelo a portare avanti la sfida di Dio: “Ero forestiero e mi avete ospitato” (Mt 25, 35).
9. La Chiesa si trova di fronte a un compito particolarmente difficile nei suoi sforzi di predicare la parola di Dio in tutte le culture in cui i fedeli sono costantemente insidiati dalla mentalità del consumismo e dalla ricerca del piacere, dove l’utilità, la produttività e l’edonismo sono esaltati mentre Dio e le sue leggi sono dimenticati. In queste situazioni, in cui le idee e il comportamento contraddicono direttamente la verità su Dio e sull’umanità stessa, la testimonianza della Chiesa deve essere impopolare. Essa deve prendere chiaramente posizione sulla parola di Dio e proclamare tutto il messaggio evangelico con una grande fiducia nello Spirito Santo. In questo sforzo, come in tutti gli altri, la Chiesa si manifesta come il sacramento di salvezza per l’intera razza umana, il popolo che Dio ha scelto come suo strumento di pace e conciliazione in un mondo pervaso dalla divisione e dal peccato.
Mentre l’unità della Chiesa non è una sua conquista ma un prezioso dono del Signore, è tuttavia una sua seria responsabilità essere lo strumento atto a proteggere e ristabilire l’unità nella famiglia umana. Lo fa essendo fedele alla verità e opponendosi direttamente al diavolo che è “il Padre delle menzogne”. Lo fa sforzandosi di abbattere il pregiudizio e l’ignoranza, mentre incoraggia una nuova comprensione e speranza. Essa inoltre promuove l’unità essendo uno strumento fedele della misericordia e dell’amore di Cristo.
10. Oggi con l’ardente preghiera per l’unità che Cristo ha pronunciato nel cenacolo celebriamo a giusto titolo la liturgia eucaristica qui, sulle sponde del Pacifico, nella città che prese il nome di Los Angeles, e uniti al salmista diciamo: “Cantate al Signore un canto nuovo perché ha compiuto prodigi” (Sal 98, 1).
Sì, Dio ha compiuto molte meraviglie che confermano la sua azione salvifica nel mondo, l’azione di “un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4, 6). “Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia”. Egli costantemente ci ricorda “del suo amore e della sua fedeltà” (Sal 98, 2-3). Questo è il cammino che Dio è per noi, il Dio della nostra fede, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo.
Gli angeli nei cieli vedono “il volto di Dio” nella visione beatifica di gloria. Tutti noi, uomini di questo pianeta, camminiamo nella fede verso quella stessa visione. E camminiamo nella speranza. Noi ricaviamo la forza di tale speranza proprio dalla preghiera di Cristo nel cenacolo. Non si rivolse così Cristo al Padre: “E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me” (Gv 17, 22-23).
“Ho dato loro la gloria” . . . Noi siamo chiamati in Cristo a condividere la gloria che è parte della visione beatifica di Dio.
Veramente “Tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza di Dio. Per questo motivo: cantate al Signore un canto nuovo” (Sal 98, 3.1). Amen.
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