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VIAGGIO APOSTOLICO IN ZIMBABWE,
BOTSWANA, LESOTHO, SWAZILAND, MOZAMBICO

CELEBRAZIONE DELLA PAROLA CON I FEDELI
DELL’ARCIDIOCESI DI NAMPULA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Nampula (Mozambico) - Sabato, 17 settembre 1988

 

Cari Fratelli e sorelle.

“Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito” (1 Cor 12, 4). È stato lui che ci ha qui riuniti, nel Signore Gesù Cristo.

1. Lasciate che vi manifesti, prima di tutto, la gioia che sento di essere fra voi. Ricevete il saluto affettuoso del Vescovo di Roma, successore di Pietro, che è venuto a visitarvi come pellegrino del Vangelo e della pace. Dio mi è testimone di quanto amo tutti voi, con la tenerezza di Gesù Cristo, come diceva san Paolo (cf. Fil 1, 8). Attraverso queste parole, comprendete già il mio desiderio di vedervi, incoraggiarvi e benedirvi tutti. So che anche voi desiderate darmi la testimonianza della vostra fede e della vostra devozione.

Qui, molto vicino al luogo dove è nato il nome Mozambico, oggi nazione sovrana, con voi rendo grazie a Dio per la crescita della Chiesa nella vostra patria: in questa arcidiocesi di Nampula, nelle diocesi vicine e in tutto il territorio mozambicano saluto, con tutto l’affetto, l’Arcivescovo che mi accoglie, monsignor Manuel Vieira Pinto, gli altri confratelli nell’episcopato, le eccellentissime autorità e tutte le forze vive di questa comunità ecclesiale e delle diocesi suffraganee di Lichinga e Pemba; saluto i cari missionari e fedeli presenti, e quanti, per varie difficoltà, non sono potuti venire, ma sono uniti a noi nello spirito.

Desidero ancora rivolgere un particolare saluto ai seminaristi che frequentano questo seminario interdiocesano e agli altri di tutto il Mozambico: ecco, le vostre comunità, i vostri pastori e il Papa, cari giovani, hanno gli occhi rivolti su di voi, con molta speranza. Siate generosi e amici di Cristo che vi ha voluto “fissare con amore” (cf. Mt 19, 36 ss).

2. Le prime missioni, che sono nate qui quasi cinque secoli fa, hanno dato a queste terre i primi cristiani. Con il passare del tempo, a poco a poco sono nate le vostre comunità. In questo momento, voglio ricordare, qui con voi, i missionari che con generosità ed abnegazione, a volte con il sacrificio della propria vita, hanno gettato le basi della Chiesa in questo bel Paese.

I loro nomi, molti dei quali sconosciuti, sono scritti nel libro della vita. E i loro sepolcri, o le loro spoglie senza sepolcro, saranno in qualche angolo della vostra terra.

Mi inginocchio in spirito di fronte ad ognuno di questi sepolcri e prego per questi missionari, resi grandi dal dono di se stessi alle missioni. E per loro e per voi, cristiani di oggi, rendo grazie a Dio!

3. La mia visita missionaria nella vostra terra rende presente qui, in modo speciale la Chiesa di Roma. Nella Chiesa universale - come abbiamo ascoltato nella Parola di Dio ora proclamata - noi tutti che siamo stati battezzati in un solo Spirito, formiamo un solo corpo (cf. 1 Cor 12, 13); e nel romano Pontefice e nei Vescovi in unione con lui sta il fondamento visibile della vera e unica Chiesa di Gesù Cristo. Questa è la realtà, viva nell’anima dei cristiani, nelle comunità, nelle diocesi, infine nell’universalità del Popolo di Dio su tutta la terra. Anche le vostre comunità sono rami di questo grande albero; e lì trovano la propria linfa, per vivere anche se sparse nell’interno e sopportando grandi difficoltà, sono animate da un solo Spirito.

Ricevendo i vostri Vescovi in visita “ad limina”, già per due volte, ho avuto la consolazione di congratularmi per il lungo cammino di evangelizzazione, di maturazione nella fede e di partecipazione comunitaria compiuto dalla Chiesa nel Mozambico. E oggi, la mia presenza fra voi è anche gioia di celebrare insieme la comunione di vita, qui ed adesso, nella Chiesa.

4. Vivere la comunione, a livello di comunità locali, come Chiesa viva e aperta alle sfide del momento nel Mozambico, è stata la scelta fatta nell’Assemblea Nazionale di Pastorale di Beira, nel 1977. Dalle relazioni appaiono evidenti alcune sfide che, in quel momento, si presentavano alla Chiesa. Era urgente provvedere che le comunità cristiane fossero mantenute vive, data la mancanza di sacerdoti.

Per questo, era necessario che i cristiani laici, opportunamente scelti e ben preparati, si impegnassero a prestare alle comunità i servizi compatibili con la propria condizione ecclesiale; era necessario risvegliare in loro la coscienza di Chiesa e la corresponsabilità come battezzati. Anche senza templi dove riunirsi per pregare, si imponeva di sostenere l’esistenza della fede in ognuno, suscitando il senso di comunione: fra i cristiani, nella stessa comunità; e fra tutti, “con un solo cuore e una sola anima” (cf. At 4, 4), nella Chiesa particolare presieduta dal Vescovo; questa - lo sappiamo - nelle dimensioni locali e con gli attributi di africana e mozambicana, respira sempre attraverso i “polmoni” della Chiesa universale, alimentata dallo stesso Spirito.

5. In un ambiente come quello in cui avete vissuto allora, era molto importante l’immagine e la missione della Chiesa come fattore di comunione. Così, le circostanze hanno contribuito al vostro cammino come Chiesa, mediante la vita di fede dei suoi membri, ai vari livelli in cui il Signore li ha collocati. C’è un solo deposito della fede, ci sono per tutti gli stessi sacramenti e un identico vincolo di carità, perché “uno solo è il Signore” (1 Cor 12, 11). C’è, dunque, “un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati” (Ef 4, 4). E in questa comunione, tutti partecipano, in modo diverso, della missione sacerdotale, profetica e regale di Gesù Cristo.

Lo Spirito distribuisce i suoi doni “a ciascuno come vuole” (1 Cor 12, 11); alcuni fedeli sono chiamati, per volontà di Cristo, a servire i fratelli nel ministero sacerdotale; altri, per dare testimonianza della vita eterna e dell’assoluto di Dio, nello stato di consacrazione, soprattutto nella vita religiosa; ma alla grande maggioranza dei cristiani, nostro Signore affida il compimento della propria missione ecclesiale come laici, nel mondo. Qui devono procedere in modo che l’azione di salvezza della Chiesa arrivi a tutti gli uomini e impregni interamente l’ambiente. Tuttavia, san Paolo spiega: “Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti”.

6. La realtà della Chiesa-comunione - una comunione organica, spirituale e gerarchica - è ben presente nella prospettiva del Concilio Vaticano II, in particolare nella spiegazione dottrinale della costituzione Lumen Gentium: la Chiesa è comunione con il Padre, attraverso Gesù Cristo, nello Spirito Santo; e questa comunione si realizza attraverso la Parola e i sacramenti. Il Battesimo è la porta e il fondamento di questa comunione; la Penitenza è il mezzo sempre pronto di riconciliazione; e l’Eucaristia è la “fonte e la convergenza di tutta la vita cristiana” e dell’unità: “Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo” (1 Cor 10, 17).

Perciò la Chiesa è per il credente oggetto di fede e di amore. Uno dei segni del reale impegno verso la Chiesa è il rispetto sincero del suo Magistero, che è alla base della comunione. Non è ammissibile la contrapposizione che si fa, a volte, tra una Chiesa ufficiale, “istituzionale” e la Chiesa-comunione. Non sono di fatto, né lo possono essere, realtà separate. Il vero cristiano sa che la Chiesa è il Popolo di Dio uno e unico, convocato da Gesù Cristo (cf. Lumen Gentium, 13).

Questo carattere di unità cattolica del Popolo di Dio, è dono del Signore, grazie al quale la Chiesa, previlegiando e promuovendo la pace universale, tende costantemente e con efficacia a riassumere in Cristo l’umanità intera, con tutto ciò che c’è di buono in essa. Lo stesso Signore la volle società visibile; e egli stesso la governa per mezzo del Sommo Pontefice e dei pastori (cf. Lumen Gentium, 14). Dunque, la Chiesa-comunione è prima di tutto, comunione nella fede e nelle opere, con la sacra gerarchia.

7. La fede così vissuta in comunione fraterna, nell’unità dello stesso Spirito e sotto l’orientamento dei pastori, dà alla comunità un aspetto di famiglia, la famiglia dei figli di Dio, riunita in nome di Cristo. So che l’idea della famiglia è molto cara al popolo africano; è dunque ben comprensibile che amiate vedere le vostre comunità cristiane vivere come una famiglia unita, dove tutti contano, nella quale nessuno si sente estraneo, dove tutti fanno ciò che possono e sanno, ognuno secondo la propria condizione e la propria generosità.

Ascoltiamo ciò che dice san Paolo: “A uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio della scienza . . . ad un altro il dono di far guarigioni . . . a uno il potere dei miracoli . . . ma tutte queste cose è l’unico e medesimo Spirito che le opera” (1 Cor 12, 8-11). Trasponendo questa varietà di carismi, senza anacronismi ed eccessive semplificazioni, al tempo attuale della Chiesa nel Mozambico, so che i vostri Vescovi, nelle loro lettere pastorali si sono preoccupati: di spiegarvi nel giusto inquadramento, come ognuno di voi deve trarre profitto ed esercitare, al servizio delle comunità, i “doni” ricevuti da Dio (ovviamente diversi da quelli elencati da san Paolo); e di istruirvi sul modo di dare vita e coerenza ai vari “ministeri” non costituiti.

Ciò che distingue alcuni dei membri del corpo della Chiesa, anche se supplemento di dignità, è subordinato all’abilitazione all’“opera del ministero”, al contributo che ognuno deve dare per la crescita organica di tutto il corpo (cf. Ef 4, 16).

8. Il più recente Sinodo dei Vescovi, nelle “Propositiones” conclusive, si è appellato alle piccole comunità vive esortandole ad essere ogni volta sempre più vere espressioni del volto della Chiesa evangelizzata ed evangelizzatrice. Con questo sembra verificarsi dentro di voi il cammino della Chiesa “ministeriale”. Lo sforzo per animare e servire le vostre comunità continua. E tutti cercano di adattarsi alle necessità; anche i pastori e i missionari: i ministri ordinati.

So, amati fratelli, che il vostro contatto con molte comunità, a volte diventa impossibile. Con generosità e grandi sacrifici, fate ciò che potete; e prestate servizi importanti, nel campo dell’evangelizzazione, della vita sacramentale, dell’assistenza spirituale, dell’esercizio della carità pastorale. A quanti rischi andate incontro, per compiere questi servizi e i tanti piani di pastorale, in regioni tanto vaste e tanto provate dalla guerra!

Queste difficoltà non vi fanno desistere; e siete decisi a non privare le comunità del vostro ministero. Di fronte alle sfide incombenti dell’attività socio-caritativa, non cedete per nessun motivo, la gloria è il primo posto del Signore in tutto e in tutti; non soffocate la voce di questo popolo, che ha fame di Dio, che oggi come i discepoli allora, vi dice “insegnateci a pregare” (cf. Lc 11, 1).

9. Il lavoro apostolico e caritativo degli “animatori”, che si svolge in tante comunità cristiane, non sostituisce totalmente né dispensa il “ministero gerarchico”. Questo, simbolo sacramentale di Cristo pastore e capo della Chiesa, è il principale responsabile nell’edificazione della Chiesa stessa, nella comunione e nella dinamicità della sua attività evangelizzatrice (cf. “Puebla”, 659).

Risalendo alle radici della Chiesa, sappiamo che il “ministero ordinato” e gerarchico appartiene alla struttura essenziale della Chiesa, per volontà del Signore Gesù; appartiene alla sua configurazione e visibilità, con carattere perpetuo, garantendo la continuità della “missione” e il legame fra Cristo e la comunità. E non dimentichiamo che le strutture ministeriali - destinate a santificare, insegnare e governare - di per sé, sono strutture di comunione.

10. Ancora una breve parola sull’importante ruolo dell’animatore della liturgia domenicale, senza la presenza del sacerdote. Questa celebrazione costituisce, per molti cristiani, l’unico mezzo per vivere la comunione con Cristo attraverso la liturgia. Tuttavia, è una “forma di culto che non è destinata - lo ripeto qui - a sostituire la Messa; ma deve portare ad essa” (cf. “Notitiae”, 23 [1987] 1012).

Si tratta del modo migliore per celebrare il giorno del Signore, di cui dispongono i fedeli consapevoli dell’importanza della domenica, ma privi della presenza del sacerdote (cf. Congreg. pro Cultu Divino “Directorium”, die 2 iun. 1988). Per questo, con i vostri Vescovi, voglio manifestarvi il mio apprezzamento per l’“attività generosa” che svolgete in questo senso, come in relazione agli altri sacramenti e sacramenti (cf. CEM “Vida crista no momento presente”, Maputo, 1980).

11. La Chiesa, cari fratelli, è come un corpo vivo, con molte funzioni (cf. 1 Cor 12, 13). Per esercitarle non è sufficiente una sola persona, anche se è un sacerdote; è necessario l’intervento di molti che, sentendosi parte integrante della famiglia di Dio, in comunione con i fratelli, mettano le proprie capacità al servizio di tutti. Voi qui, avete dato prova di buona volontà in questo senso, con dedizione e sacrificio.

Ma bisogna continuare a pensare al sacerdozio ministeriale, senza il quale nessuna comunità può ottenere tutto ciò di cui ha bisogno, per natura. Nel Mozambico c’è un’enorme sproporzione tra le necessità dei cristiani e l’esiguo numero dei sacerdoti ordinati e che saranno ordinati nel prossimo periodo. Quando avremo sacerdoti mozambicani, diocesani e religiosi, in numero sufficiente?

E qui, mi sia permesso sottolineare: è principalmente dal clero locale diocesano - e anche dalla vita consacrata locale - che dipendono il consolidamento e la garanzia del futuro di una Chiesa locale. Per questo il ritmo e le prospettive di ordinazione del clero diocesano nel Mozambico non possono lasciarci indifferenti. È necessario pregare di più per le vocazioni e, lasciando libertà di opzione a quelli che possiedono una vocazione, creare loro un ambiente favorevole nella famiglia e nelle comunità.

12. Per concludere, cari fratelli e sorelle, voglio esortarvi
- a impegnarvi, come Popolo di Dio pellegrino, perché la Chiesa qui diventi sempre più segno di salvezza, essendo ed aiutando gli altri ad essere adoratori di Dio “in spirito e verità”;

- ad annunciare la buona novella di Gesù, il salvatore, alle comunità, alle famiglie, ai giovani e ai bambini, esaltando la sua forza santificatrice e liberatrice dal peccato e dal male, per la comunione con Dio;

- a costituire e aiutare a formare focolai cristiani, dove regnino la pace, l’amore e la gioia, con la glorificazione di Dio e Signore;

- a difendere la dignità e i diritti inalienabili e sacri di ogni persona umana, in tutti i momenti dell’esistenza; uomini, donne, bambini e anziani;

- ad esercitare con coraggio e perseveranza, ma senza violenza e secondo i buoni propositi del Vangelo, la dimensione profetica del vostro essere cristiani, fino alla denuncia di ciò che disintegra, rende disumano e degrada l’uomo-fratello (cf. Is 62, 1-2);

- a promuovere la riconciliazione e l’unità e ad aprire ovunque spazi di speranza e di vita, in mezzo alle atrocità della violenza e della guerra e di fronte allo scandalo della miseria e della fame;

- a favorire e a contribuire al dialogo, per un Mozambico sempre più degno dell’uomo: dialogo per lo sviluppo nella giustizia e nella pace;

- a invitare all’unione degli sforzi per la promozione dell’identità culturale e nazionale del vostro Paese, salvaguardando le “sementi del Verbo”, qui poste dal Signore, e servendo il Regno di Dio e la sua giustizia (cf. Mt 6, 33).

In tutte queste cose, il Signore Gesù vuole continuare - attraverso di noi, il suo corpo visibile, attraverso la Chiesa che formiamo - la sua missione di redentore dell’uomo: dell’uomo integrale e di tutti gli uomini. Sono venuto qui per confermarvi nella fede e nel servizio di questa missione, poiché “servire è regnare”!

Con Maria, Madre di Gesù, il “servo di Jahvè”, con Maria, nostra Madre, la “serva del Signore”, con Maria, Regina del mondo e Regina della pace, chiediamo la pace per il Mozambico: “Salve Regina . . .”.



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