Index   Back Top Print

[ IT ]

CELEBRAZIONE EUCARISTICA IN SUFFRAGIO DEL CARDINALE LUIGI DADAGLIO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Venerdì, 24 agosto 1990

 

“A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo Sposo, andategli incontro!”.

Signori cardinali, venerati fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio, autorità, parenti e amici, carissimi fratelli.

1. L’acclamazione gioiosa del Vangelo quasi ci sorprende nella cerimonia che stiamo celebrando e che ci avvolge di mestizia: il nostro amato card. Luigi Dadaglio improvvisamente ci ha lasciati e noi, abituati a vederlo ricco di vitalità e di iniziative, semplice e affabile nel tratto, capace di instaurare un immediato rapporto di cordialità con l’interlocutore, stentiamo a pensarlo ora nell’immobilità della morte e naturalmente l’umana tristezza pesa sui nostri animi.

Eppure quel grido gioioso ben si addice a questo nostro fratello e trova eco di consolazione e di conforto nei nostri cuori. Il card. Dadaglio, pur così impegnato e fervoroso in tante attività, attendeva in pace l’incontro con Cristo. Infatti, il 2 febbraio dell’anno scorso, festa della Presentazione del Signore, avvicinandosi al 75° anno d’età e vedendo approssimarsi il termine dell’esistenza terrena, così scriveva nel “Testamento spirituale”: “È per tutti incerto il futuro e può essere che sia prossimo Colui che deve venire “sicut fur et latro” . . . Attendo serenamente il giorno dell’incontro con il Padre celeste, fiducioso che tutte le imperfezioni e le colpe dovute all’umana fragilità mi siano state perdonate dalla sua infinita misericordia”.

Profondamente riconoscente a Dio per tutte le grazie avute e verso i Sommi Pontefici per la benevolenza dimostrata nei suoi confronti, egli attendeva in pace l’incontro con Dio, professando e praticando quella fede che era sempre stata la guida della sua vita e della sua attività pastorale.

2. E perciò mercoledì mattina, 22 agosto, memoria della Beata Vergine Maria Regina, quando d’improvviso il Signore lo chiamò a sé, egli “corse incontro allo Sposo”, portando ben accesa la lampada della fede, dopo una vita spesa nell’amore di Dio, a servizio del Vangelo, della Chiesa, delle anime.

Intensa veramente è stata la vita del defunto cardinale. Nato a Sezzadio, in provincia di Alessandria, il 28 settembre 1914, ed entrato poi nel seminario di Acqui, ricevette l’ordinazione sacerdotale nel 1937. Dopo un’esperienza di attività parrocchiale, fu inviato dal suo vescovo a Roma, dove si laureò in “utroque iure” nel 1942, per poi iniziare il suo servizio presso la Segreteria di Stato. Molte furono le tappe di questo suo ministero ecclesiale e tutte impegnative ed esigenti. In esse egli poté far valere le sue doti diplomatiche, ma soprattutto la sua profonda sensibilità umana e sacerdotale. Il suo itinerario a servizio della Santa Sede lo portò nelle Sedi di Haiti e Repubblica Dominicana, degli Stati Uniti, del Canada, dell’Australia, della Colombia. Inviato poi in Venezuela, il 28 ottobre 1961 riceveva la nomina a nunzio apostolico e l’8 dicembre veniva consacrato vescovo. Durante la permanenza in Venezuela, oltre il lavoro pastorale per l’erezione di nuove diocesi, portò a termine l’accordo tra Santa Sede e Governo, che pose fine al sistema del “patronato ecclesiastico” in vigore da più di un secolo.

Nel 1967 Paolo VI trasferì l’arcivescovo Dadaglio alla nunziatura apostolica di Madrid: profondi mutamenti politici e sociali avvenivano in quella grande Nazione, e il Nunzio, con l’esperienza acquistata e con l’aiuto del buon carattere e del suo innato equilibrio, mantenne e intensificò i contatti con tutti i settori della vita religiosa e civile, favorendo il dialogo e promovendo con ogni impegno la missione evangelizzatrice e pacificatrice della Chiesa.

Nel 1980 fu chiamato a Roma come segretario della Congregazione per i sacramenti e il culto divino, incarico che mantenne fino all’aprile del 1984, quando lo volli nominare pro-penitenziere maggiore. Nel Concistoro del 25 maggio 1985 lo accolsi nel Collegio cardinalizio e nel 1986 lo nominai arciprete della patriarcale basilica di Santa Maria Maggiore. Come presidente del Comitato centrale per l’anno mariano, il card. Dadaglio svolse un’intensa azione a sostegno della devozione mariana e successivamente si dedicò col suo caratteristico entusiasmo a una vasta opera di restauro della Basilica Liberiana, promovendo varie iniziative internazionali tese a reperire i fondi necessari per riportare il più antico tempio mariano di Roma all’originale splendore.

3. Questo era divenuto ora il suo massimo impegno: intrepido e coraggioso come sempre, lasciata la Penitenzieria, egli attendeva adesso con giovanile energia alla cura della sua basilica, desideroso di fare del tempio illustre un centro di fervida spiritualità in onore della Vergine santissima. Il Signore, proprio nella festa di Maria Regina, da lui venerata con filiale devozione, lo ha chiamato in cielo; “Sono stato fedele alla vocazione del Signore e ho lavorato al servizio della Sede apostolica con assiduità e spirito di sacrificio, con rettitudine e amore per il bene della Chiesa e dell’umanità”: così scriveva nel “Testamento spirituale”, con estrema semplicità e sincerità.

E chiunque l’ha conosciuto, può dargli atto della verità di queste parole e può quindi ripetere con fiducia, ripensando a lui, le parole di san Paolo: “Né morte né vita . . . né alcuna altra creatura potrà separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 38-39). Anche questo nostro fratello dovette talvolta bere al calice dell’amarezza e della sofferenza; ma seppe superare tali difficoltà, trovando nell’amore di Dio e nella devozione alla Vergine Santa la forza per conservare la pace del cuore.

4. Noi ora, ripensando alla sua testimonianza cristiana e sacerdotale, offriamo nella mestizia e nella speranza il sacrificio eucaristico in suo suffragio prima dell’ultimo addio!

Caro card. Dadaglio, sempre così assiduo nei vari impegni e sempre desideroso di amare e di onorare la Chiesa e il Papa! Ogni vita e ogni morte portano un messaggio: che cosa possiamo e dobbiamo imparare noi dall’esperienza di questo nostro fratello? In un mondo spesso confuso e sconcertato, egli ha offerto sempre un esempio di fede profonda, sostenuta da una pietà sobria e severa, ha svolto con tutti una strategia di dialogo e di pace. Profondamente persuaso dell’infinita misericordia di Dio, che supera ogni problematica e ogni angoscia, egli ha cercato di farsene testimone in mezzo ai fratelli. Era convinto che è necessario soprattutto amare, capire le persone, aiutarle, venire incontro alle loro necessità, essere sensibili e premurosi. Comunque vadano le vicende della storia, gli uomini più che di critiche amare e deprimenti, hanno bisogno di bontà e di amore! Egli predicava e testimoniava la fiducia in Dio e il coraggio dell’amore! Questo è il messaggio che dobbiamo ascoltare e portare con noi, mentre continuiamo il nostro cammino col vivo ricordo della sua figura serena e affabile.

Nel gennaio del 1983, conferendo l’ordine del diaconato a due giovani e commentando il “credidimus charitati” di san Giovanni, disse loro: “Abbiamo creduto all’amore; l’apostolo non dice: abbiamo creduto ai miracoli . . ., ma “all’amore” di Gesù. La gente crederà anche a voi, se tratterete i fratelli con amore. Ricordatelo: l’amore, dono dello Spirito Santo, è il segno distintivo di chi rappresenta Dio sulla terra”.

Ricordiamolo anche noi, ora, mentre preghiamo per lui e affidiamo la sua anima alla misericordia di Colui la cui onnipotenza si manifesta massimamente nel perdono.

 

© Copyright 1990 - Libreria Editrice Vaticana

 



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana