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RITO PENITENZIALE PER L’INIZIO DELLA QUARESIMA
NELLA BASILICA DI SANTA SABINA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Mercoledì delle Ceneri, 13 febbraio 1991

 

Ritornate a me con tutto il cuore” (Gl 2, 12).

1. Così dice il Signore con le parole del profeta Gioele. Lo dice a tutti e al tempo stesso a ciascuno. Fa appello al cuore. Il cuore, cioè l’uomo interiore: l’“io” umano, unico e irripetibile. Proprio questo “io” deve ritornare. È in esso che il processo del ritorno deve avere inizio e compimento.

La penitenza ha, anzitutto, una sua dimensione interiore e personale. Consiste nel “lacerare il cuore”, non soltanto nel “lacerare le vesti” (cf. Gl 2, 13).

E se, secondo le parole del profeta, dobbiamo ritornare al Signore “con digiuni, con pianti e lamenti” (Gl 2, 12), il punto decisivo, però, rimane sempre “il cuore”: l’uomo interiore!

2. Nel discorso della Montagna Gesù Cristo precisa questo aspetto ancora più chiaramente: “non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6, 3-4).

Si tratta proprio di questo “sguardo del Padre”. Si tratta del nostro restare “solo a solo” con Lui. Questo “restare segreto” nello spazio interiore del cuore umano è condizione per la “scoperta” del ritorno.

Per questo ritorno bisogna creare le condizioni. Si deve allargare lo spazio dello spirito umano affinché possa operare lo Spirito Santo. È proprio Lui che continua a “convincere il mondo quanto al peccato” (cf. Gv 16, 8). Il nostro mondo deve sperimentare la grazia di questa convinzione. Deve, quindi, aprirsi. Deve diventare penetrabile allo Spirito di Verità. Soltanto Lui, soltanto lo Spirito di Verità, può compiere in noi l’interiore trasformazione: la profonda trasformazione del nostro cuore.

3. Soltanto Lui può “convincere” il mondo quanto al peccato, mostrando il suo terribile mistero. Proprio questo mistero si trova al centro della penitenza. Esso è anche iscritto in tutto il tempo penitenziale della Quaresima.

Il mistero del peccato è davvero terribile. L’apostolo Paolo ne presenta nell’odierna liturgia le tremende conseguenze. Esortando alla riconciliazione con Dio, egli scrive: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2 Cor 5, 21).

Il peccato è contrario alla santità di Dio. Per togliere il peccato si è impegnata la stessa santità di Dio, la pienezza stessa dell’amore.

Davvero è necessario lo spazio interiore, è necessario un grande “solo a solo” con questo Dio che ha rivelato in Cristo il suo amore “fino alla fine”, perché si possa compiere in noi il ritorno, e così “diventare per mezzo di Lui giustizia di Dio”.

Dobbiamo, quindi, stare con Cristo nel Getsemani, nel mezzo della terribile sofferenza del Venerdì Santo e sul Golgota durante l’agonia, quando Gesù grida: “Perché mi hai abbandonato?” (Mt 27, 46), perché appaia pienamente agli occhi della nostra anima la vera misura del peccato. In Cristo questa misura diventa evidente dalla smisurata immensità del suo amore. E il grido “perché mi hai abbandonato?” è la definitiva espressione di questa misura, di questo amore col quale ci ha amati “fino alla fine”.

4. Così, dunque, il richiamo del Mercoledì delle Ceneri è rivolto all’uomo interiore. Ma nello stesso tempo, questo richiamo ha una risonanza esteriore, comunitaria. La Chiesa, come comunità, è chiamata alla penitenza, al ritorno. L’uomo, infatti, è un essere sociale, e perfino ciò che in lui è più interiore si riflette sulla comunità e influisce su di essa. Basta rileggere, a questo proposito, i rispettivi brani della Esortazione sinodale sulla penitenza: Reconciliatio et paenitentia.

Questa è l’esortazione di cui necessita il nostro tempo. La scomparsa dei sintomi della penitenza, ancor più la scomparsa dello spirito di penitenza, deve renderci inquieti. La penitenza, il ritorno, è la condizione per la salvezza spirituale degli uomini e delle società. La sua necessità non perde mai il suo valore e la sua attualità.

“Rendimi la gioia di essere salvato, sostieni in me un animo generoso”, grida il Salmista (Sal 51, 14). La penitenza è condizione di vera gioia.

La Quaresima consiste nella preparazione alla gioia pasquale. Si tratta qui, davvero, della piena dimensione dell’esistenza umana sulla terra. Non possiamo qui vivere in altro modo, se non ritornando . . . ritornando a Dio.

Perciò in questo giorno, in cui la Chiesa inizia il digiuno di 40 giorni, ripetiamo con l’Apostolo:

“Noi fungiamo . . . da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro”.

Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5, 20).

Amen!

 

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