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SANTA MESSA PER LA CONCLUSIONE DELL’ASSEMBLEA SPECIALE
PER IL LIBANO DEL SINODO DEI VESCOVI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Giovedì, 14 dicembre 1995

 

1. “Beato il popolo fondato sull’amore”.

A conclusione dei lavori dell’Assemblea Speciale per il Libano del Sinodo dei Vescovi, giungono molto appropriate queste parole dell’odierna liturgia, che abbiamo cantato poc’anzi come ritornello del Salmo responsoriale. Sembra infatti che esse rispondano nel modo migliore alla finalità, che ha orientato i nostri lavori durante le scorse settimane. Le Assemblee sinodali, che riguardano la vita della Chiesa in una nazione o in un continente, per loro natura proprio questo si propongono: cercare i punti d’incontro tra gli uomini, i gruppi sociali e le nazioni per fondarli sulla carità.

Questo sembra essere particolarmente importante per il vicino Oriente, e specialmente per la vostra Patria. Sappiamo bene che il Libano è una terra ricca di varie tradizioni religiose e culturali. Vi abitano cattolici appartenenti a varie Chiese orientali e alla Chiesa latina, insieme a cristiani di altre Chiese e Comunità; con essi vi risiedono musulmani. Per tutti il Libano è un “compito comune”. Tutti hanno bisogno di quella dimensione sociale della carità, che permette agli uomini di costruire insieme. E sappiamo bene quanto il Libano abbia bisogno di costruire e di ricostruire, specialmente in seguito alle dolorose esperienze di molti anni di guerra, nella ricerca di una giusta pace e di sicurezza nei rapporti con i Paesi limitrofi.

Il Concilio Vaticano II ha ricordato al Popolo di Dio i compiti che la Chiesa, e specialmente i fedeli laici, sono chiamati a realizzare nella comunità sociale e politica. Nell’adempiere questi compiti i credenti traggono ispirazione anche dalla fede: in essa trovano specifiche e validissime motivazioni per impegnarsi nel servizio al bene comune della città terrena. È evidente quanto tale dimensione dell’impegno cristiano sia importante nel Libano, le cui radici storiche sono di natura religiosa. Ed è proprio in forza di tali radici religiose dell’identità nazionale e politica libanese che, dopo il doloroso periodo della guerra, si è voluto e potuto avviare l’iniziativa di un’Assemblea sinodale in cui cercare insieme la via per il rinnovamento della fede, una miglior collaborazione ed una più efficace testimonianza comune, oltre che per la ricostruzione della società. Questa nostra convinzione – ne sono certo – è condivisa anche dai nostri fratelli cristiani non appartenenti alla Chiesa cattolica, come pure dai musulmani.

2. Ora che siamo riuniti intorno all’altare nella Basilica di San Pietro, per rendere grazie a Dio del dono del Sinodo, la Liturgia ci ricorda che un giorno i vostri avi, carissimi Fratelli della Chiesa che è in Libano, si trovarono tra le folle che circondavano Gesù per ascoltare il suo insegnamento. Scrive infatti san Luca: “C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie... Alzati gli occhi verso i suoi discepoli Gesù diceva: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete. Beati voi quando gli uomini vi odieranno... a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli»” (Lc 6, 17-23).

I vostri avi di duemila anni fa ascoltarono queste parole di Cristo. Ma non furono esse pronunciate anche per noi, per gli uomini del nostro tempo, per i cristiani di oggi, per il Libano dei nostri giorni?

In queste parole di Cristo non è forse contenuta anche una sorta di programma fondamentale, a cui l’Assemblea del Sinodo dei Vescovi per il Libano ha dovuto ispirarsi? Rimaniamo in ascolto di questo brano del Vangelo, e proviamo a confrontarlo con quanto è stato detto nei giorni scorsi nell’aula sinodale.

Lo facciamo ripensando con commozione al fatto che una volta sulla vostra terra camminarono i piedi del Redentore del mondo (cf. Mt 15, 21-28; Mc 7, 26-36), che i suoi occhi ne ammirarono la bellezza. A questo ci fa pensare la prima Lettura dell’odierna Liturgia, tratta dal Cantico dei Cantici. Vorrei che lo sguardo del Redentore, colmo d’amore, accompagnasse tutti voi, che avete preso parte all’Assemblea sinodale, ed anche tutti i fratelli e sorelle che voi rappresentate.

3. “Aspirate ai carismi più grandi” (1 Cor 12, 31).

Così scrive l’Apostolo nella prima Lettera ai Corinzi. Nel momento in cui concludiamo il Sinodo per il Libano, anche queste parole di Paolo le sentiamo come indirizzate a noi. L’Apostolo così termina il suo “inno alla carità”: “Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità” (1 Cor 13, 13). E poco prima aveva detto, con espressioni che non finiremo mai di leggere e di meditare: “La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità... non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode della ingiustizia... Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13, 4-7). Sì, l’amore è proprio così!

San Paolo, nel proclamare ai discepoli della comunità di Corinto la verità sull’amore, insiste sui molteplici frutti che esso è in grado di produrre e che si manifestano non soltanto nella vita delle singole persone o delle famiglie, ma anche nella vita di intere nazioni.

“Beato il popolo fondato sull’amore”, ci ha detto il Salmo responsoriale. E per noi, reduci da alcune settimane di lavoro sinodale, queste parole suonano con una particolare ricchezza di senso: esse ci dicono che dobbiamo riflettere bene sull’inno alla carità della Lettera ai Corinzi, se vogliamo operare con frutto per la ricostruzione del Libano, contribuendo alla ricomposizione del tessuto spirituale e morale di una società dalle tradizioni così nobili ed antiche.

Non abbiamo bisogno per questo di una grande pazienza? L’amore è paziente. Non è forse necessario dimenticare il male subito sotto tante forme? L’amore non tiene conto del male ricevuto. Non si richiede forse per questo una grande perseveranza? L’amore sopporta tutto. E, infine, non è indispensabile una grande speranza? L’amore ci spinge a varcare continuamente la soglia della speranza.

Venerati e cari Fratelli e Sorelle, rimangano in voi la fede, la speranza e la carità. Rimangano queste tre virtù teologali su cui si regge la vita cristiana. Ma non dimentichiamo che di tutte più grande è la carità. In cima a tutto ponete l’amore!

Amen.

 

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