LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
A MONSIGNOR VINKO PULJIĆ, ARCIVESCOVO DI SARAJEVO
Al Venerato Fratello Mons. Vinko Puljić,
Arcivescovo di Sarajevo.
Venerato Fratello nell’Episcopato!
La preghiera, che abbiamo elevato in Assisi nei giorni 9 e 10 gennaio per la pace nella regione balcanica, ci spinge a sperare che le violenze e le tribolazioni in atto possano cessare quanto prima, per dare luogo alla riconciliazione e alla pace.
Con questa mia lettera desidero testimoniarLe che mi sento particolarmente vicino alle sofferenze dei Pastori e delle popolazioni della Bosnia Erzegovina, su cui gravano le conseguenze disastrose della prolungata devastazione materiale e spirituale. Penso con trepidazione alle condizioni di estremo disagio a cui sono sottoposte molte famiglie e in special modo i bambini, per i quali soprattutto sento il dovere di fare appello alla solidarietà e alla generosità di tutta la Chiesa.
Sarà proprio all’interno delle famiglie, specialmente di quelle colpite dalla perdita di qualcuno dei membri e dall’esperienza di violenze particolarmente efferate, che dovrà ricominciare il faticoso cammino della pacificazione. Non potrà, infatti, non avviarsi dalla famiglia, santuario della vita e dell’amore, lo sforzo di pacificazione sociale, a cui occorrerà dedicarsi non appena le armi avranno cessato di far udire il loro frastuono di morte. Compito dei Pastori è perciò di prevedere fin d’ora opportune iniziative, capaci di incoraggiare le famiglie a porre gesti di riconciliazione, di generosità e di amore cristiano.
In particolare, occorre che i Pastori e tutti i fedeli responsabili della pastorale familiare si facciano carico con urgenza della situazione delle madri, delle spose e delle giovani che, per sfogo di odio razziale o di brutale libidine, hanno subito violenza. Queste creature, che sono state fatte oggetto di così grave offesa, devono poter trovare nella Comunità il sostegno della comprensione e della solidarietà. Anche in una situazione così dolorosa bisognerà aiutarle a distinguere tra l’atto di deprecabile violenza, subito da parte di uomini smarriti nella ragione e nella coscienza, e la realtà dei nuovi esseri umani, venuti comunque alla vita. Quali immagini di Dio, queste nuove creature dovranno essere rispettate ed amate non diversamente da qualsiasi altro membro della famiglia umana.
Con massima chiarezza andrà, in ogni caso, ribadito che il nascituro, non avendo alcuna responsabilità in quanto di deprecabile è accaduto, è innocente e non può, perciò, in nessun modo essere considerato come aggressore.
Tutta la Comunità, pertanto, dovrà stringersi intorno a queste donne così dolorosamente offese e ai loro familiari, per aiutarli a trasformare l’atto di violenza in un atto di amore e di accoglienza. Il Vangelo ci ricorda che alla violenza non si deve reagire con la violenza (cf. Mt 5, 38-41). Alla barbarie dell’odio e del razzismo si deve rispondere con la forza dell’amore e della solidarietà. Ai cristiani di Roma, perseguitati da un potere ostile, non raccomandava forse l’Apostolo Paolo: “Non rendete a nessuno male per male. Procurate di fare il bene dinanzi a tutti gli uomini [...] Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Rm 12, 17. 21)?
Sono certo che anche le altre Chiese, non solo d’Europa ma di ogni parte del mondo, sapranno trovare modi adatti per venire in aiuto delle persone e delle famiglie poste in condizioni di così grave difficoltà materiale, psicologica e spirituale. A tali iniziative benefiche va il mio incoraggiamento più cordiale nel ricordo della parola di Cristo: “Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me” (Mc 9, 37).
Nel caso, poi, di bimbi orfani o abbandonati, desidero rivolgere una parola di apprezzamento a quanti si prodigano per favorire i procedimenti di adozione: quando ai piccoli viene a mancare il sostegno di chi li ha generati, è gesto di grande valore umano e cristiano offrire loro il calore di un nuovo focolare.
Nell’assicurare a quanti sono nella prova la partecipe sollecitudine di questa Chiesa di Roma che “presiede alla carità”, invio a Lei, venerato Fratello, come pure agli altri Presuli della regione e alle popolazioni tanto duramente provate una speciale benedizione apostolica, che accompagno con l’assicurazione della mia assidua, accorata preghiera.
Dal Vaticano, il 2 febbraio 1993.
IOANNES PAULUS PP. II
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