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LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
AL PADRE JUAN M. LASSO DE LA VEGA, PER IL III CENTENARIO
DELLA NASCITA DI SANT'ALFONSO MARIA DE' LIGUORI

 

Al Reverendo Padre JUAN M. LASSO de la VEGA
Superiore Generale della Congregazione del SS.mo Redentore

1. La ricorrenza tre volte Centenaria della nascita di sant’Alfonso Maria de’ Liguori (27 settembre 1696) è motivo di intensificata azione di grazie al Signore per la “copiosa redemptio”, il cui annunzio agli abbandonati e specialmente ai poveri costituì il segreto della vita del santo Dottore. Contemporaneamente essa stimola tutti i Redentoristi a rinnovare la loro fedeltà al carisma, attualizzandolo con coraggio e fiducia alla luce delle sfide che la Chiesa si trova ad affrontare alle soglie del terzo millennio.

Come già ebbi occasione di fare nel secondo centenario della morte di s. Alfonso, è con grande gioia che oggi mi unisco a tutti i Redentoristi nel “ricordo attuale di un santo che fu maestro di sapienza al suo tempo e con l’esempio della vita e con l’insegnamento continua a illuminare, come luce riflessa di Cristo, luce delle genti, il cammino del popolo di Dio” (Giovanni Paolo II, Spiritus Domini: AAS 79 [1987] 1365).

In quella circostanza, ricollegandomi a quanto affermato dai miei Predecessori, dopo aver ricordato i tratti fondamentali della proposta alfonsiana a livello spirituale, morale e pastorale, ho voluto richiamare “i desideri di sì grande padre per la sua eredità” espressi “nella sua vita, nella sua azione pastorale e nei suoi scritti: la fedeltà a Cristo e al suo Vangelo, la fedeltà alla Chiesa e alla sua missione nel mondo, la fedeltà all’uomo e al nostro tempo, la fedeltà al carisma del vostro Istituto” (Ivi, l. c., 1374).

Quanto ho allora affermato merita di essere ripreso e ulteriormente sviluppato nella prospettiva dell’imminente terzo Millennio, che chiede a tutta la Chiesa un rinnovato slancio per l’evangelizzazione, nutrito di sincera conversione a livello personale, comunitario e sociale.

2. La vita e l’insegnamento di s. Alfonso costituiscono, al riguardo, uno stimolo prezioso. Dal momento della sua “conversione” nel 1723, egli visse senza riserve l’ansia evangelizzatrice, secondo le parole dell’apostolo Paolo: “Non è per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo” (1 Cor 9, 16). Questa tensione apostolica s. Alfonso indicò come caratteristica fondamentale e intento specifico anche della sua Congregazione. La vitalità e la dinamicità della Comunità redentorista, lungo i suoi due secoli di storia, si radicano nella fedeltà al dinamismo missionario. Ne è stato testimone eloquente, tra gli altri, Gennaro Maria Sarnelli (1702-1744) da me recentemente iscritto nel numero dei Beati. È in questa prospettiva che l’intera Congregazione ed i singoli religiosi devono continuare a camminare: il bisogno di Vangelo nel mondo è oggi ancora più forte.

Occorre annunziare con forza la pienezza di significato che Cristo apre alla vita dell’uomo, il fondamento incrollabile che offre ai valori, la speranza nuova che introduce nella nostra storia. È una predicazione che bisogna incarnare nella concretezza delle sfide che l’umanità oggi si trova a dover affrontare e dalle quali dipende il suo stesso futuro. Solo così potrà prendere corpo quella civiltà dell’amore che è da tutti auspicata.

3. Le forme di questo annunzio vanno costantemente rinnovate alla luce delle possibilità e delle esigenze dei diversi contesti. Tale rinnovamento è reso più urgente oggi dalla rapidità dell’evoluzione sociale e culturale. Questo vale in maniera particolare per la “missione popolare”, che in questi due secoli ha contrassegnato la predicazione redentorista. La fedeltà alle fondamentali indicazioni alfonsiane dovrà fondersi con il coraggio di opportuni adeguamenti perché tale metodo apostolico possa continuare a rispondere alle attese del Popolo di Dio.

Occorre inoltre avvalersi degli altri mezzi moderni con i quali è possibile portare agli uomini e alle donne d’oggi la verità. Tra gli aspetti che colpiscono nell’opera di s. Alfonso v’è il suo impegno per la stampa: il numero dei suoi scritti, il succedersi delle edizioni e delle traduzioni, la capacità di dire in linguaggio semplice e accessibile a tutti anche le verità più impegnative della fede e della morale hanno diffuso il suo insegnamento in tutti gli strati del popolo cristiano. È proprio da questo esempio che i Redentoristi di oggi devono essere stimolati a un uso sempre più competente di tutti i mezzi di comunicazione sociale, restando però fedeli ad uno stile semplice, sostanziale, chiaro.

L’annuncio è autentico se, seguendo la pedagogia di Cristo, si concretizza nell’accompagnamento paziente della coscienza di ognuno nel graduale cammino verso il vero e il bene. S. Alfonso testimonia con forza che la franchezza della predicazione deve farsi accoglienza di padre e pazienza di medico - soprattutto nel sacramento della riconciliazione - perché ogni persona possa aprirsi all’azione di Cristo Salvatore. La fedeltà al Fondatore chiede in maniera particolare ai Redentoristi tale capacità e tale impegno, indispensabili per quella “generale mobilitazione delle coscienze e comune sforzo etico” che non mi stanco di indicare come risolutivi delle problematiche anche più gravi, come quelle concernenti la vita (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 95).

4. L’approfondimento della teologia morale si colloca in questa prospettiva. S. Alfonso si è particolarmente prodigato perché in tutti gli strati del popolo di Dio venisse colmata la separazione tra fede e vita. La praticità del Fondatore deve continuare a stimolare i suoi figli nella loro opera pastorale, specialmente in ordine al rinnovamento del sacramento della Riconciliazione. Occorre non fermarsi mai alla sola enunciazione dei principi, ma illuminare con essi la quotidianità, in maniera da permettere alla coscienza di ogni battezzato un cammino sicuro. Questa praticità alfonsiana esige essenzialità e concretezza, in risposta agli interrogativi che effettivamente contano per il popolo, nella fedeltà al Vangelo e alla Tradizione vivente nella Chiesa. Essa spinge alla maturazione di coscienze capaci di illuminare con la saggezza dello Spirito la complessità delle diverse situazioni della vita.

Con s. Alfonso occorre ribadire la centralità del Cristo come mistero di misericordia del Padre in tutta la pastorale. I Redentoristi non devono mai stancarsi di annunciare la “copiosa redemptio”, cioè l’infinito amore con il quale Dio in Cristo si piega verso l’umanità, cominciando sempre da coloro che hanno più bisogno di essere guariti e liberati, perché più segnati dalle conseguenze nefaste del peccato. Possa valere per i figli di oggi quanto il Fondatore affermava di se stesso e dei suoi compagni: “Da noi non si parla d’altro che della passione del Redentore, affin di lasciare le anime legate con Gesù Cristo” (Sant'Alfonso Maria de' Liguori, Opere, vol. III, Torino 1847, 289). Possa l’impegno pastorale dell’intera Congregazione continuare a portare il popolo all’incontro con il Cristo crocifisso, cioè con “l’amore ch’esso ci ha dimostrato sulla croce” (Pratica di amare Gesù Cristo: Opere ascetiche, vol. 1, Roma 1933, 5).

5. Per questo occorre non stancarsi mai di proclamare la misericordia divina. Resta tuttora attuale per tutta la pastorale il richiamo di s. Alfonso: “Bisogna persuadersi che le conversioni fatte per lo solo timore de’ castighi divini son di poca durata... se non entra nel cuore il santo amore di Dio, difficilmente persevererà”. Perciò “l’impegno principale del predicatore” dovrà essere “lasciare in ogni predica che fa i suoi uditori infiammati del santo amore” (Opere, vol. III, Torino, 1847, 288).

Da questa conversione centrata sull’amore scaturisce la costante tensione alla santità. Facendo sperimentare l’intensità della misericordia con cui Dio si piega verso l’uomo, per guarirlo e liberarlo, s. Alfonso riesce a far riscoprire a tutti, anche ai più umili e ai più poveri, la chiamata e il cammino della santità: “Il religioso da religioso, il secolare da secolare, il sacerdote da sacerdote, il maritato da maritato, il mercadante da mercadante, il soldato da soldato, e così parlando d’ogni altro stato” (Pratica di amare Gesù Cristo, cit., 79). Al tempo stesso, egli dà a questa santità una chiara tensione evangelizzatrice che porta a farsi carico del proprio ambiente.

L’impegno per la promozione di un laicato sempre più consapevole della dignità e delle responsabilità battesimali è essenziale per una Chiesa che voglia rispondere alle sfide del terzo millennio. I Redentoristi sono sempre stati in profonda comunione con il popolo. Oggi da parte dei laici, soprattutto dei giovani, si fanno più forti le istanze per una partecipazione maggiore alla vita e alla missione dei consacrati. Esse hanno già trovato una prima risposta nelle indicazioni decise dall’ultimo capitolo generale della Congregazione. È un cammino sul quale procedere con coraggio, pur nel rispetto della specificità sia della vita laicale che di quella religiosa.

6. S. Alfonso non si stanca di insistere sulla necessità della fedeltà alle scelte e alle modalità in cui il Redentore è stato tra noi il vangelo di Dio. Nelle regole primitive della Congregazione viene affermata come legge fondamentale il “seguitare l’esempio” del Redentore. Il Verbo incarnato condivide la nostra condizione, si fa per noi presenza e esperienza di Dio, si pone poi come annunzio franco e deciso, fino alla croce e risurrezione. Lo Spirito continua a guidare la Chiesa sullo stesso cammino (cf. Lumen gentium, 8). S. Alfonso chiede ai suoi figli di testimoniare in maniera più chiara e decisa la necessità di continuare sulle stesse strade del Cristo: incarnazione e condivisione, testimonianza trasparente, franchezza e significatività di annunzio, generosa partecipazione alla spogliazione della Croce, sono essenziali a chiunque voglia evangelizzare con efficacia apostolica.

Soprattutto occorre restare fedeli alla scelta del Fondatore per gli abbandonati. Fu proprio da tale scelta che nel novembre del 1732 nacque la Congregazione. Fu una scelta radicale in favore di coloro che la stessa pastorale relegava ai margini: il mondo degli abbandonati diventava il mondo di s. Alfonso. Deve restare il mondo di ogni Redentorista, come frutto di un discernimento continuo nel vivo delle diverse situazioni ecclesiali per poter rispondere con prontezza alle urgenze che si vanno delineando.

Tutto questo è significativo per l’intero popolo di Dio nell’impegno di nuova evangelizzazione e di conversione da intensificare in preparazione al terzo millennio. Di fronte alle vecchie e alle nuove situazioni di abbandono, la Chiesa deve continuare il gesto del buon Pastore che lascia le novantanove al sicuro e si mette in cerca della pecora sperduta (cf. Lc 15, 4-7).

7. Un tale impegno è impossibile senza un rinnovamento spirituale costante. S. Alfonso non si stancava di ripeterlo con toni carichi di profondo amore e fiducia: “Chi è chiamato alla Congregazione del SS. Redentore non sarà mai vero seguace di Gesù Cristo, né si farà mai santo, se non adempirà il fine della sua vocazione e non avrà lo spirito dell’Istituto, ch’è di salvar le anime più destituite di aiuti spirituali, come sono le povere genti della campagna. Questo già fu l’intento della venuta del Redentore, il quale si protestò: Spiritus Domini . . . unxit me evangelizare pauperibus” (Opere, vol. IV, Torino 1847, 429-430). E per questo confidava sulla intercessione potente di Maria, alla quale aveva affidato se stesso e la sua Congregazione.

Volentieri faccio mie le parole e la preghiera del Fondatore, confidando che il suo esempio ispiri non solo ai Redentoristi e alle Redentoriste, ma a tutto il popolo di Dio un più vivo anelito per la pienezza della santità nel servizio generoso ai fratelli.

Con tali auspici imparto a Lei ed all’intera Congregazione, quale pegno di costante affetto, una speciale Benedizione Apostolica.

Da Castel Gandolfo, 24 settembre 1996.

IOANNES PAULUS PP. II

 

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