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VISITA PASTORALE NEL BELICE E A PALERMO

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON GLI OPERAI DEI CANTIERI NAVALI RIUNITI

Palermo - Sabato, 20 novembre 1982

 

1. Con grande gioia mi incontro con voi, dirigenti e lavoratori dei Cantieri Navali di Palermo, a cui desidero porgere il mio cordiale saluto ed insieme l’augurio sincero di prosperità nel Signore. Ho ascoltato con viva attenzione, condividendo le vostre ansie e le vostre aspirazioni, le parole che mi sono state rivolte; ringrazio vivamente il professor Romano Prodi, Presidente dell’IRI, che da poco ha assunto la responsabilità di questo importante gruppo industriale, e sono grato, altresì, al vostro Collega, che tanto efficacemente ha saputo interpretare i sentimenti di voi tutti. Ma con voi, qui riuniti all’interno di questi ambienti, in cui si svolge la vostra quotidiana fatica, io vedo idealmente presenti tante altre schiere di lavoratori non solo di questa Città nobilissima, ma dell’intera ed illustre Regione siciliana. In questo momento voi rappresentate ai miei occhi tutti i vostri colleghi, sicché, salutando voi, il mio saluto va agli operai delle varie industrie e stabilimenti, ai contadini che con sacrificio traggono dalla terra l’indispensabile per vivere, ai pescatori che svolgono tra molte incertezze la loro attività, agli artigiani che con l’abilità delle loro mani producono beni pregiati, che sono anche esportati in altre regioni e nazioni.

Con voi rivolgo un saluto altrettanto cordiale alla classe imprenditoriale di tutti i luoghi di lavoro, grazie alla quale è possibile trovare nel mercato interno ed estero le commesse necessarie al lavoro di migliaia di operai.

2. So bene che i Cantieri Navali di Palermo, fin dalla loro origine, cioè già dalla metà del secolo scorso, sono stati e sono all’avanguardia per le attrezzature tecniche di cui dispongono, per la qualità delle opere, per la capacità professionale delle maestranze, che nel tempo hanno dato rinomanza e prestigio a questo centro industriale del Mediterraneo. I vostri Cantieri sono sempre stati e, come spero, saranno anche in futuro un coefficiente di crescita per l’economia di questa città e di altri centri vicini, e tutto lascia pensare che, mediante la vostra costante applicazione e la necessaria collaborazione con i dirigenti, siano destinati ad ulteriori sviluppi.

È questo un dato positivo, di cui mi congratulo vivamente, perché da esso dipende, almeno in parte, la sicurezza del posto di lavoro e, di conseguenza, la serenità vostra e delle vostre famiglie. Ma dobbiamo anche ricordare le difficoltà economiche che travagliano al presente molte Nazioni del mondo, anche quelle più industrializzate e più ricche. Tali difficoltà finiscono, immancabilmente, per far risentire i loro effetti sulle aree più deboli. Purtroppo, certi effetti negativi si avvertono già in Sicilia, anche nella stessa Palermo e, componendosi e intrecciandosi con altri fattori strutturali e ambientali, stanno determinando o accentuando il grave fenomeno della disoccupazione.

A motivo di un’economia insufficiente ai bisogni dell’intera comunità isolana, molti lavoratori hanno già lasciato questa terra, cercando altre città e paesi ospitali, assoggettandosi a fatiche ed umiliazioni, mentre molti altri - giovani e meno giovani - conoscono, anzi soffrono il travaglio frustrante e penoso della mancanza di un lavoro sicuro.

3. Sono problemi umani tanto concreti quanto delicati, ai quali la Chiesa siciliana ha guardato e guarda con preoccupazione, studiandosi - per quanto le è possibile - di apportare un proprio contributo in ordine alla loro auspicata soluzione. L’incertezza del lavoro, infatti, e tanto più la forzata mancanza di esso, come anche l’emigrazione, hanno risvolti morali e religiosi estremamente complessi: per questo, in collaborazione con gli organismi della Chiesa in Italia, l’Episcopato regionale ha dato vita ad uno speciale Segretariato per l’emigrazione (SERES), che cerca di mantenere i contatti con i siciliani all’estero e si interessa presso le Autorità competenti per una legislazione sempre improntata alle ragioni di un’effettiva giustizia sociale.

D’altra parte - ed è questo un secondo dato altamente positivo - il vostro lavoro in Sicilia ed il lavoro di tanti corregionali al di fuori dell’isola sono molto apprezzati, costituendo la prova più convincente che il vostro è un popolo di autentici lavoratori. Se gli accennati pericoli mi trovano sensibile e compartecipe, questo dato o - dirò meglio - questa dote della vostra tenace e geniale laboriosità mi suggerisce una parola di fiducioso incoraggiamento: siate sempre fedeli a questo costume onorato! Tenete alta questa tradizione! Impegnati con puntualità e dedizione, sentitevi responsabili fino in fondo del lavoro, che vi viene affidato; applicatevi con assiduità e diligenza, facendovi apprezzare in campo nazionale ed anche all’estero per il tipo di produzione, che esce da questi cantieri e, più in generale, da tutti gli opifici di Sicilia.

4. La laboriosità! Il discorso - vedete - dalla sfera economica e tecnica sta passando direttamente alla sfera culturale e morale. Per questo, vorrei ora ricordarvi quanto scrissi, circa un anno fa, nella lettera enciclica Laborem Exercens intorno alla dignità del lavoro: questo - io dicevo - “è un bene dell’uomo, è un bene della sua umanità, perché mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, «diventa più uomo»”. Dobbiamo, dunque, tutti sentirci impegnati, “affinché nel lavoro, mediante il quale la materia viene nobilitata, l’uomo stesso non subisca una diminuzione della propria dignità” (Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 9), ma piuttosto la sviluppi e la innalzi.

Prima ancora che una necessità, il lavoro, anche se faticoso e difficile, corrisponde ad un’esigenza primaria, insita da Dio creatore nella nostra natura umana; da questo punto di vista, ancora più grave appare la situazione in cui versano i disoccupati e i giovani in cerca della prima occupazione, perché sono come bloccati in questa linea di sviluppo né possono formarsi una famiglia, come sarebbe loro desiderio e diritto. Per questo, rivolgo un rinnovato appello alle Autorità, affinché vogliano sempre preoccuparsi di tale questione vitale.

Nel lavoro l’uomo afferma se stesso, sperimenta la propria debolezza, ma anche la propria capacità creativa. Ricordatelo sempre, voi che quotidianamente vivete queste sensazioni. All’inizio, dovete lottare contro la materia che resiste alla vostra volontà di trasformazione; ma poi quando, dopo anni di fatica, assistete al varo di una nave, provate una soddisfazione che vi ripaga di tanti sacrifici. In quel momento pensate a come l’avete vista crescere sotto i vostri occhi e individuate le parti costruite da ciascuno di voi, mentre, ripercorrendo un cammino di lunghi anni, vi sentite appagati nel dire a voi stessi: “Questo l’ho fatto io”.

Il lavoro - chi non lo sa? - acquista dignità anche per le motivazioni che lo animano. Voi tutti lavorate per non far mancare nulla alle vostre famiglie, per portare a casa il pane necessario al sostentamento dei figli, per costruirvi anno dopo anno la prospettiva di una serena vecchiaia e di un meritato riposo. Quante volte, mentre attendete al lavoro, il vostro pensiero vola alle vostre case, alle vostre spose, che con amore vi attendono, ai vostri bambini, che sono a scuola, o ai figli già grandi e, forse, essi stessi in cerca di occupazione? Allora, tutto diventa più facile e vi sentite come dotati di una nuova forza, vi sentite rinvigoriti, pur in mezzo alle perduranti difficoltà. Ecco l’ulteriore dignità, che è inerente al lavoro, quando è vissuto in funzione del bene da procurare alla famiglia. Così, costruendo una nave, o riparandola, voi costruite la vostra personalità, la vostra famiglia, la società tutta: è una duplice costruzione - vorrei dire - che procede di pari passo, coordinandosi in essa gli elementi materiali e gli elementi morali, cioè umani.

5. Ma il discorso sulla laboriosità non può finire qui, non deve finire qui. Se il lavoro è mezzo di sviluppo personale, se è presidio della famiglia, se è fonte di vita morale, come potrebbe esser distaccato da Dio? Può esserci laboriosità senza religiosità? Può esserci opposizione tra questi due termini? No, non deve esserci!

Dio creatore - leggiamo nel primo libro della Bibbia - fin dall’inizio aveva fatto l’uomo, perché lavorasse la terra e la rendesse feconda (cf. Gen 2, 5. 15; 3, 23), realizzando così una sorta di dominio, che è ad un tempo “spirituale signoria” e “prova di regalità”. Sì, è volontà del Creatore che l’uomo, proprio mediante il lavoro, si affermi come re del creato. Non la negazione, dunque, non la ripulsa e l’opposizione a Dio ed al suo provvidenziale disegno dovrà levarsi dal mondo del lavoro, ma piuttosto il riconoscimento, la venerazione, la gratitudine. L’uomo del lavoro, come col lavoro si innalza, così deve saper abbassarsi, curvando umilmente la fronte dinanzi all’opera del suo Creatore ed alla nobile, regale funzione, a cui l’ha chiamato.

Ciò facevano - ne abbiamo come stampata l’immagine nella nostra fantasia - gli uomini delle antiche età, quegli umili coltivatori della terra ed allevatori di bestiame, vissuti in semplicità e povertà. E perché non potrebbero, non dovrebbero farlo gli uomini, certo più evoluti e riflessivi, della nostra età? Al contadino di un tempo che, deposta la zappa, sapeva levare grato e ammirato il suo sguardo al cielo ed al Signore del cielo, perché non potrebbe affiancarsi il moderno operaio che, trattando del pari e trasformando la materia secondo le più scaltrite tecnologie, scopre leggi mirabili, utilizza forze recondite, tocca sperimentalmente l’ordine stesso, iscritto nella realtà dal Creatore? Anche egli può e deve elevarsi a Dio con la mente e col cuore!

6. Io confido, cari lavoratori del Cantiere Palermitano e di tutti gli Stabilimenti di Sicilia, che non vi siano estranei, né indifferenti questi pensieri. So infatti quanto radicato sia in voi, anche per il vigore di una nobile tradizione etico-culturale, l’attaccamento alla fede di Cristo. Proprio domani la Liturgia tutti ci invita a celebrare Cristo col titolo di Re: è, questo, un titolo assai significativo, che non si riferisce soltanto alla sua persona come Creatore e Redentore, ma riguarda anche noi uomini credenti in lui. Se come uomini abbiamo già un titolo di regalità sul creato, come cristiani noi partecipiamo, mediante il battesimo, alla regalità di Cristo, la quale configura - come scrissi nella Redemptor Hominis (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 21) - una “particolare dignità della nostra vocazione”.

Segno della vostra fede in Cristo è anche la peculiare venerazione verso la sua Madre santissima, la cui immagine accogliete ogni anno proprio in questi Cantieri, invocandola come “Madonna Addolorata”. So che siete pure devoti di san Giuseppe, patrono di tutti i lavoratori, e che non manca nelle vostre case l’immagine della Sacra Famiglia, modello e presidio delle vostre stesse famiglie.

Ebbene, siano questi tratti di religiosità altrettante espressioni della vostra fede convinta, matura e profonda, da vivere non solo all’interno del focolare domestico, ma da testimoniare anche nel luogo di lavoro e nell’ambito delle rispettive parrocchie e comunità di quartiere. La fede, infatti, è la luce e, se è luce, non può non diffondersi! Con l’augurio che nel prossimo futuro, grazie all’impegno solidale delle varie componenti sociali, ci sia per tutti in Sicilia un lavoro dignitoso e sicuro, vi do la mia santa benedizione, estendendola ai vostri familiari, amici e corregionali.

 

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