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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO NAZIONALE PER LA
PASTORALE SOCIALE E DEL LAVORO DELLA CEI

Giovedì, 30 agosto 1984

 

Carissimi.

1. A voi il mio saluto, la mia simpatia e il mio plauso per l’impegnativo tema riguardante: “La comunità cristiana e le associazioni dei laici”, che vi ha tenuti riuniti a convegno in operosa ed attenta riflessione non molto lontano da questa mia sede estiva. Vorrei, anzi, sottolineare la felice intuizione di aver voluto affrontare il fenomeno delle “organizzazioni ecclesiali laicali” e il loro rapporto con la “comunità cristiana”, per farne una descrizione più puntuale e per darne un’interpretazione più compiuta. Auspico che dal vostro convegno e in vista della vostra azione pastorale maturi una sempre migliore comprensione del problema.

Il vostro convegno costituisce pure una significativa e utile tappa di quel cammino pastorale avviato dal programma “Comunione e comunità” dei vostri vescovi, che vedrà, il prossimo anno, tutte le Chiese che sono in Italia convocate a riflettere su “Comunità cristiana e riconciliazione degli uomini”.

Nel contempo, a causa di una felice coincidenza tematica, mi piace pensare al vostro convegno come a un’iniziativa che già si pone nella prospettiva del prossimo Sinodo dei vescovi, il cui tema sarà proprio l’apostolato laicale. Il vostro incontro può quindi offrire fin d’ora un contributo a quella preparazione che il popolo cristiano deve compiere in vista del grande evento ecclesiale.

2. Voi sapete che il fenomeno delle aggregazioni ecclesiali, dei movimenti e dei gruppi di laici, nella sua vastità e complessità, è un dato caratterizzante l’attuale momento storico della Chiesa. E si deve altresì constatare, con vera consolazione, che la gamma di queste aggregazioni copre tutto l’arco delle modalità di presenza del cristiano nell’attuale società.

Tuttavia il fenomeno delle aggregazioni è fatto oggetto di contrastanti valutazioni: c’è chi vede in esso e nella sua vitalità l’elemento più dinamico della storia della Chiesa e c’è chi lo vede come l’espressione di esigenze, alle quali la comunità cristiana non sa rispondere e lo giudica in opposizione al nascere e al crescere delle Chiese locali attorno al vescovo. Tali valutazioni vanno attentamente prese in considerazione, perché entrambe possano offrire quel contributo di verità che vi aiuta nel vostro lavoro teologico e pastorale. Sono convinto che il fenomeno ha e avrà grande rilevanza nel futuro della Chiesa ma, proprio per questa fiducia, deve essere reso più intenso lo sforzo perché siano tolti tutti quei motivi di disagio e di insoddisfazione nei rapporti tra comunità e aggregazioni ecclesiali. Sono convinto che un più solido e perseverante riferimento all’ecclesiologia del Concilio Vaticano II, possa costituire un valido aiuto per il rinnovamento e per l’orientamento della vita pastorale.

Alla luce di tale magistero conciliare, il quale afferma con chiarezza che tutti i fedeli sono chiamati, in forza del loro Battesimo, a partecipare all’unica e globale missione della Chiesa (cf. Lumen Gentium, 33.38 e Apostolicam Actuositatem, 3), e che ha inteso assegnare al laicato un ruolo fondamentale, devono essere superati, nella carità, tutti i motivi di incomprensione e tutte le difficoltà.

Bisogna piuttosto alimentare, come affermano i vostri vescovi, “l’urgenza di partecipare alla missione evangelizzatrice e di mostrarsi Chiesa in dialogo col mondo e al suo servizio, nella comunione articolata delle sue membra e nella concorde varietà dei suoi ministeri, antichi e nuovi” (Cei, Evangelizzazione e ministeri, 18). Si deve anzi lodare il Signore se i “carismi laicali”, che trovano nelle associazioni e aggregazioni una loro originale operatività, si distribuiscono, al giorno d’oggi - come ancora ha rilevato il documento - in “un’infinita varietà di grazie e di compiti al servizio dell’uomo nella famiglia, nel lavoro, nella società, con l’annuncio della fede e con l’assunzione di responsabilità ecclesiali e civili” (Cei, Comunione e comunità, 48).

3. Dalla vita e dall’esperienza cristiana delle aggregazioni ecclesiali e laicali risultano vari aspetti positivi di grande rilevanza ecclesiologica, che devono perciò essere tenuti in considerazione. Tra di essi la concezione di Chiesa, tesa a modellarsi sulle comunità apostoliche valorizzando la fraternità e l’amicizia, la condivisione e la creatività evangelizzatrice, liturgica e missionaria: una Chiesa colta nei suoi aspetti fondamentali di comunione. Un altro aspetto positivo, che va doverosamente sottolineato, è la promozione del laicato da essa favorito a partire da una visione di Chiesa “tutta ministeriale”, come si usa dire al giorno d’oggi. Tali aggregazioni ecclesiali sono autentici luoghi di promozione del laicato non solo perché si fondano sullo statuto specifico dei laici nella Chiesa, ma perché possono garantire a tutte le varie forme di operoso impegno cristiano, presenti nella comunità cristiana, la loro consistenza ecclesiale, non in forza di una delega, ma a motivo del titolo nativo posseduto da ogni credente battezzato.

In questa prospettiva le aggregazioni ecclesiali di laici sono ambiti in cui, da una parte deve essere sottolineata l’unità battesimale, eucaristica e spirituale di tutto il popolo di Dio, e dall’altra va sottolineata la varietà di ministeri e carismi presenti al suo interno.

Non posso tuttavia non attirare l’attenzione delle aggregazioni dei laici su alcuni pericoli, che potrebbero compromettere il senso ecclesiale.

C’è infatti il pericolo di un certo autocompiacimento, da parte di chi assolutizza la propria esperienza, favorendo in tal modo da una parte una lettura in chiave riduttiva del messaggio cristiano e dall’altra il rifiuto di un sano pluralismo di forme associative. Altro pericolo potrebbe essere nello straniamento dalla vita pastorale delle Chiese locali e dei pastori, privilegiando il rapporto con la sola associazione e i suoi dirigenti.

Questi pericoli possono essere superati se le aggregazioni di laici vivono nella piena comunione ecclesiale col vescovo “principio visibile e fondamento dell’unità della Chiesa particolare” (Lumen Gentium, 22). Non c’è comunione ecclesiale senza comunione con il vescovo; egli infatti consente la verifica quotidiana della comunione nella fede alle aggregazioni, stimolandole a un confronto costante con la realtà storica, confermandole e raccogliendole nell’unità, creando spazi sempre nuovi per una comunicazione autentica e sincera.

4. Di fronte a fenomeni così vasti e complessi desidero incoraggiare il vostro impegno generoso e la vostra intelligente ricerca specialmente per quanto riguarda il tema del laicato, che, alla luce della Lumen Gentium e della Apostolicam Actuositatem del Concilio Vaticano II, è attualmente interessato a un significativo approfondimento teologico e pastorale.

Mi pare che debba essere approfondita la rilevanza ecclesiale dei laici che, in quanto pietre vive della Chiesa, non sono solo oggetto delle sue cure pastorali, ma sono soggetti attraverso i quali opera la stessa forza salvifica e la stessa speranza messianica del Signore risorto. Anche i laici quindi edificano la Chiesa e contribuiscono al suo storico servizio al regno di Dio.

Dall’altra parte la feconda unità fra ministero della Chiesa e figura ecclesiale del laico ci porta a pensare alla comunione e alla missione concretizzate attorno ai carismi e ai ministeri, in modo da superare la contrapposizione tra vivere nella comunità e vivere nella storia. L’inserimento in Cristo, a seconda del dono ricevuto, porta frutto all’interno della vita pastorale, familiare, economica e sociale, in modo che sia edificata la Chiesa nella ricchezza dei doni dello Spirito.

A questo proposito rimangono sempre fondamentali per la vita spirituale personale e comunitaria le parole programmatiche dette da Gesù agli apostoli nell’ultima Cena: “Non chiedo (o Padre) che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché anch’essi siano consacrati nella verità. Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola” (Gv 17, 15-20). Sono parole di un’estrema serietà, che danno luce e conforto: Gesù ha pregato anche per quanti avrebbero creduto alla parola degli apostoli, al messaggio della Chiesa. Dovete rimanere nel mondo; dovete amare questo mondo, ma per salvarlo! E l’unico modo per realizzare tale salvezza è la “consacrazione” alla verità. La prima e fondamentale preoccupazione di ogni associazione di laici è l’unità nella verità, e perciò il vostro impegno deve essere la conoscenza metodica e profonda delle verità della dottrina cristiana, senza dubbi, senza incertezze, senza confusioni, alla luce della rivelazione di Cristo e del magistero perenne della Chiesa.

L’unità nella verità porta logicamente al giusto spirito di disciplina e all’impegno nella carità, secondo il detto di san Giovanni: “Se Dio ci ha amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri” (1 Gv 4, 11). “Non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità” (1 Gv 3, 18). Di qui sorge la necessità dell’impegno ascetico, perché l’amore esige sacrificio, comprensione, pazienza, equilibrio nei giudizi e nelle scelte, lungimiranza nei programmi, autocontrollo.

E nasce qui l’esigenza che le comunità cristiane rinnovino la pedagogia della fede e la catechesi in particolare.

Incoraggiandovi ancora nel vostro generoso impegno impartisco a voi, a tutti gli operatori della pastorale del lavoro e a tutti i membri delle aggregazioni cristiane di laici l’apostolica benedizione.

 

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