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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI SACERDOTI IMPEGNATI NEL MINISTERO DELLE CONFESSIONI
DURANTE L'ANNO GIUBILARE DELLA REDENZIONE

Lunedì, 9 luglio 1984

 

Cari fratelli nel sacerdozio.

1. Sono lieto di vedervi qui riuniti sotto la guida di monsignor Luigi Dadaglio, pro-penitenziere maggiore. Mi è veramente gradito questo incontro con voi, che durante l’Anno Giubilare avete esercitato il ministero della Riconciliazione come penitenzieri o come confessori aggiunti nelle basiliche patriarcali e in altre chiese di Roma. Esso mi offre l’occasione propizia per dire a voi e a tanti generosi sacerdoti, che si dedicano al ministero delle confessioni, alcune cose che porto nel cuore.

Anzitutto desidero ringraziarvi per l’opera veramente preziosa che avete compiuta per mesi e mesi nel silenzioso, paziente e costante adempimento di un compito che si collocava al cuore stesso dell’Anno Santo, perché attraverso di esso - e attraverso di voi - avvenne per innumerevoli pellegrini l’accesso alle fonti della divina misericordia. A questo mirava anzitutto e soprattutto l’intenzione e l’organizzazione dell’Anno Giubilare, del quale pertanto voi siete stati in certo senso i principali ministri.

Ma in voi mi piace vedere rappresentati e spiritualmente presenti tanti altri venerandi e diletti sacerdoti che nelle varie diocesi di ogni continente durante l’Anno Santo hanno svolto lo stesso ministero, assecondando senza dubbio la spinta interiore dello Spirito, che li portava a rispondere alle nuove, più intense, a volte insospettate richieste dei fedeli che volevano riprendere questa pratica sacramentale. E il mio pensiero si dilata e vorrebbe raggiungere le folte schiere di nostri confratelli, che di generazione in generazione si sono succeduti nei confessionali, in Roma e in tutte le Chiese locali del mondo, per accogliere persone di ogni età e condizione che lo stesso Spirito attirava al sacramento della purificazione e del perdono. Essi costituiscono una magnifica schiera di portatori di grazia, di insegnamenti, di consigli, di comprensione, di consolazione e d’incoraggiamento al bene, alla quale si deve, oltre la conversione e la santificazione dei singoli, la formazione, la salvaguardia e la trasmissione di quel costume cristiano che in molte nazioni è il patrimonio più ricco e importante della civiltà ispirata al Vangelo.

Sentiamoci oggi uniti e partecipi di questa “comunione santa” di sacerdoti e pastori d’anime di tutti i tempi, associati non solo nel vincolo della fraternità ecclesiale, ma anche nella continuità di un ministero che permette a tanti sacerdoti umili, buoni e sapienti di essere gli artefici del rinnovamento delle coscienze, del ringiovanimento della comunità cristiana, dell’infusione di un “supplemento d’anima” alle stesse società e istituzioni umane sempre bisognose del soffio vivificante dello Spirito.

Nella comunione ecclesiale che ci unisce come “un cuore solo e un’anima sola” (At 4, 32), in qualsiasi tempo e in qualsiasi luogo, oggi mi faccio interprete della Chiesa nel far giungere a tutti la sua approvazione e il suo plauso; mi faccio interprete vostro nel rendimento di grazie al Signore per tutti i doni di misericordia e di perdono che Dio ha concesso anche per mezzo di tanti umili suoi servi a innumerevoli uomini, sempre, e specialmente nell’Anno Giubilare da poco concluso.

2. Tutti siamo stati testimoni di ciò che Dio ha operato durante la celebrazione giubilare della redenzione; tutti, e voi forse anche più degli altri, possiamo dire col salmista che veramente il Signore “mirabilia fecit” (Sal 98, 1).

Queste “opere mirabili” hanno avuto anche certi risalti esterni, specialmente negli ultimi mesi dell’Anno Giubilare, come per un’esigenza di espansione della carica di vita soprannaturale accumulata nell’anima dei fedeli. Specialmente i giovani hanno fatto esplodere, si direbbe, ciò che tutta la Chiesa aveva in cuore. Ma voi sapete che le cose più stupende sono quelle avvenute per tante anime al livello della coscienza, dove il pentimento umano e il perdono divino le hanno portate alla vita nuova attraverso la grazia sacramentale. Questo cambiamento, questa conversione dell’anima sotto l’azione della grazia giustificatrice, è “l’opera più grande quanto alla grandezza dell’opera, che Dio compia nel mondo”, come spiega san Tommaso d’Aquino (S. Thomae Aquinatis, Summa Theologiae, I-II, q. 11, a. 9), facendo eco a sant’Agostino che scriveva: “Maius est quod ex impio fiat iustus, quam creare coelum et terram. Coelum enim et terra transibit: praedestinatorum autem salus et iustificatio pernanebit” (S. Augustini, In Ioannem, tract. 72: PL 35, 1823). Anzi, san Tommaso mostra come abbia ragione sant’Agostino di aggiungere: “Iudicet qui potest, utrum maius sit iustos angelos creare quam impios iustificare. Certum, si aequalis est utrumque potentiae, hoc maioris est misericordiae” (Ivi).

Nella Confessione, dunque, si compie e si rinnova continuamente, come nel Battesimo, quello che possiamo chiamare il miracolo della divina misericordia. Non possiamo lasciare che si disperda questo frutto dell’Anno Santo. Se la celebrazione giubilare ha confermato l’importanza, anzi la necessità vitale, per gli uomini e per la Chiesa, del sacramento della Penitenza; se ci ha permesso di constatare che moltissimi credenti sono sensibili e docili al richiamo della Chiesa verso questo sacramento, perché esso tocca un loro bisogno interiore e in molti casi un desiderio reale anche se molte volte inespresso o forse addirittura soffocato dalle preoccupazioni e distrazioni quotidiane; se la vittoria del buon seminatore vi è stata e voi, più di ogni altro, avete potuto raccogliere tanta messe: ora occorre continuare a impegnarsi nel ministero della Riconciliazione con nuovo slancio pastorale, cioè con nuova disponibilità, con nuova generosità, con nuovo spirito di sacrificio e con nuova intelligenza della sua funzione nell’economia della salvezza come mezzo di raccordo e canale di comunicazione tra il cuore di Gesù Cristo crocifisso e i singoli uomini, tutti bisognosi di redenzione (cf. Rm 3, 23).

3. In questo incontro con voi, cari e venerati padri penitenzieri e confessori romani, desidero ribadire questo punto fondamentale di qualsiasi programma pastorale che voglia essere conforme all’istituzione, allo spirito di Cristo e alla tradizione della Chiesa.

Come successore di Pietro, il Papa sente l’obbligo di provvedere anzitutto e più direttamente alla diocesi di Roma, dove la tradizione della Chiesa ha il suo filo conduttore anche su questo punto. Ma io sono sicuro che i vescovi di tutto il mondo, partecipi anch’essi della successione apostolica, continueranno a procurare in tutti i modi possibili che il prezioso ministero delle confessioni abbia il posto che gli compete nella stima, nell’impegno, nel tempo e nella stessa ascetica personale di tutti i sacerdoti in cura d’anime.

In particolare desidero raccomandare che a tutte le chiese parrocchiali e a quelle dei religiosi sia assicurata la presenza di sacerdoti idonei per l’amministrazione del sacramento della Penitenza in sedi convenienti e con gli orari più adatti, tenendo conto delle norme disciplinari e pastorali del diritto canonico e delle legislazioni particolari. Specialmente le cattedrali e i santuari assumano sempre di più questa funzione di “luoghi della misericordia”, dove è sempre possibile trovare facilmente la grazia del perdono. Né si ometta l’antica consuetudine di indire predicazioni straordinarie - in forma di “missioni”, esercizi, ritiri, eccetera, oltre alle predicazioni che solitamente si tengono nelle chiese - assicurando in tali circostanze la presenza di confessori straordinari.

4. Il ministero della Penitenza esige da noi sacerdoti non solo una donazione generosa di tempo e di fatica, ma anche uno zelo ardente e sincero per la salvezza delle anime, che si traduce nella pratica delle piccole e grandi virtù di un buon pastore: per esempio la pazienza, la puntualità, il riserbo, la finezza di tratto e di parola, la disponibilità al colloquio, la larghezza di mente e di cuore, e tutte le altre qualità e virtù necessarie per il buon adempimento di questo delicatissimo ufficio.

Solo questa ricchezza spirituale libera dal pericolo di cadere in quelle mancanze di delicatezza, di bontà, di rispetto alle coscienze, di affabilità, di dedizione, che a volte possono indisporre coloro che ricorrono al sacramento con la speranza e la fiducia di trovarvi una manifestazione concreta di colui che conoscono come “ricco di misericordia” (Ef 2, 4). Noi dobbiamo essere sue immagini, suoi riflessi soprattutto in questo! Poveri di tutto, la nostra ricchezza può e deve essere la misericordia! Essa completerà anche e soprattutto in questo campo la giustizia, che pur dobbiamo praticare; essa ne attenuerà il rigore e ne addolcirà le prescrizioni.

A questo riguardo, sarà bene meditare spesso sul fatto che noi non siamo i padroni né del sacramento né delle coscienze: siamo invece e dobbiamo sforzarci di essere, in modo sempre più adeguato, degli umili “servi dei servi di Dio”, dei “ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio”, come dice san Paolo. “Ora - prosegue l’apostolo - quanto si richiede, negli amministratori, è che ognuno risulti fedele” (1 Cor 4, 1-2). Fedeli a Cristo sacerdote eterno, fedeli alla Chiesa, fedeli al sacramento, fedeli alle anime che vengono a chiederci l’elargizione della divina misericordia!

5. A questo scopo sarà sempre utile e necessario possedere una pedagogia pastorale, maturata nella preghiera e nell’esperienza. Essa presuppone certe doti di intuizione, di finezza, di bontà, ma si rassoda e perfeziona col prudente esercizio del ministero e con i carismi concessi dallo Spirito Santo a chi si fa suo docile strumento: soprattutto il dono del consiglio, destinato specialmente ai pastori e direttori di coscienza, i quali, se sono fedeli, possono giungere a meritare il titolo che veniva attribuito a sant’Antonino di Firenze, cioè di “vir consiliorum”.

Anche nel nostro tempo abbiamo dinanzi agli occhi figure mirabili di confessori, come san Leopoldo Mandic, che ho avuto la gioia di canonizzare. In lui la Chiesa ha voluto onorare anche tanti altri, noti e ignoti, che si trovano si può dire in ogni diocesi, in ogni famiglia religiosa, e sono punti di riferimento per i fedeli e per gli stessi sacerdoti. Quante volte, cari confratelli, ci è stato concesso il dono di incontrare e di ricevere da qualcuno di questi venerandi uomini di Dio l’indicazione di cui avevamo bisogno, e che sentivamo provenire dall’alto!

Ecco: al confessore occorre una luce che viene dall’alto, e quindi una pedagogia della fede che tutto vede e aiuta a vedere in quella luce, tutto cioè nel riferimento a Dio supremo legislatore, amico, padre di misericordia infinita. Una pedagogia della fede che in quella luce considera e tratta le virtù e i peccati, e soprattutto accosta i penitenti infondendo in loro, anche nel caso di qualche delicato e leale richiamo da esprimere, il senso dell’eterno amore di Dio, che rivive nel cuore del sacerdote.

A nessuno, come ai confessori, si attaglia l’esortazione di san Paolo ai Colossesi, che mi permetto di rivolgere a voi e a tutti coloro che esercitano questo salutare ministero in tutta la Chiesa, come un ricordo di questo felice incontro e di tutto l’Anno Santo: “Rivestitevi, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza . . . Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Al di sopra di tutti poi vi sia la carità, che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori!” (Col 3, 12-15).

Fede, amore, misericordia e pace sono le basi spirituali indispensabili di una pastorale del sacramento della Penitenza che permette di affrontare tanti problemi e casi particolari, ma soprattutto di realizzare ciò che nelle intenzioni della Chiesa deve essere il sacro ministero, come lo è stato, grazie a Dio, nell’Anno Santo e dovrà continuare ad esserlo sempre più e sempre meglio: un’espansione della grazia redentrice, che dal cuore di Cristo crocifisso giunge a tutti coloro che su tutte le vie del mondo aspettano e cercano la “beata speranza” della salvezza.

Con questo auspicio, pieno di speranza, vi benedico di cuore.

 

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