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VISITA PASTORALE NEI PAESI BASSI

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DURANTE LA SOSTA ALL'ARCIVESCOVADO DI MECHELEN

Belgio - Sabato, 18 maggio 1985

 

Cari fratelli nell’episcopato,

1. Sono stato felice di ricevervi a Roma il 18 settembre 1982, in occasione della vostra visita “ad limina”. E lo sono ancor più di ricambiare oggi la vostra visita, di attraversare il vostro Paese, molte località delle quali mi erano già familiari, d’incontrare sul posto il caro popolo del Belgio, di ricevere la testimonianza di fede delle vostre comunità ecclesiali e, con voi, di confermare i vostri sacerdoti, religiosi e fedeli nella loro vocazione cristiana. Il momento più importante di questo viaggio apostolico rimane l’incontro con voi, pastori di questa Chiesa, per porci insieme di fronte al sacro ministero affidatoci dal Signore come successori degli apostoli.

2. Dobbiamo cominciare con il rendere grazie a Dio per tutta l’opera apostolica che lo Spirito Santo ha permesso di realizzare su questa terra belga fin dalla fondazione della Chiesa, i cui indizi certi risalgono al VI secolo con le diocesi di Tongres e di Tournai. Nell’attuale periodo, che riteniamo molto difficile per l’evangelizzazione, ci piace contemplare la fede e l’audacia missionaria dei pionieri, dei fondatori, degli evangelizzatori, che ritenevano le popolazioni di quel tempo - i gruppi originari o i discendenti delle successive ondate d’invasione - capaci di ricevere e di vivere il Vangelo. Citiamo almeno Sant’Amand e San Remacle nel VII secolo, San Norberto e San Bernardo nel XII secolo. I monasteri si moltiplicavano, sviluppando contemporaneamente la fede, la cultura e l’agricoltura, come in molti luoghi della Chiesa latina. E anche i capitoli e le collegiate; poi i conventi dei Francescani, dei Domenicani, nonché quelli di religiose: Norbertine, Cistercensi, Francescane, Beghine. In questo Medioevo, un posto singolare occupavano mistici come santa Giuliana del Mont Cornillon e Giovanni Ruysbroeck.

Le vostre stesse città sono diventate splendidi centri religiosi. Qui è nata e si è sviluppata una civiltà cristiana, in armonia con le Chiese degli altri Paesi, nella comunione cattolica, ma con qualità e tradizioni particolari che hanno segnato le arti e i costumi in ciascuna provincia. Come non pensare alla pittura fiamminga, con il suo senso dell’interiorità, alla fioritura di miniature nei libri delle Ore? Ciò che allora si chiamava Paesi Bassi è stato segnato da un “umanesimo” alleato alla fede cristiana. Fin dal 1425 l’università di Lovanio è il simbolo di questa simbiosi tra fede e cultura. I nuovi istituti religiosi contribuiscono alla rinascita cristiana: i Gesuiti, i Cappuccini, i Recolletti, gli Oratoriani. Quello che più colpisce dal Medioevo ai nostri giorni, è la solidità del popolo cristiano che sa tradurre il suo ideale e il suo impegno in molteplici associazioni.

La storia ci mostra chiaramente l’adesione ferma e coraggiosa delle popolazioni belghe alla fede cattolica. Si è visto bene di fronte alla fede riformata o a provvedimenti di sovrani protestanti, nel XVI secolo e durante una rivolta del 1830. Ma anche quando i cattolici belgi e i loro vescovi si opposero alle dottrine enciclopediste francesi, alle legge antiecclesiastiche austriache e alla politica antireligiosa dell’occupazione francese. L’attaccamento alla fede cattolica fu uno dei cimenti essenziali della nazione belga.

Questa adesione cattolica si è sempre espressa anche con un particolare legame con Roma e con la Sede apostolica, e una fedeltà incondizionata alla persona del Papa, che si manifestò in maniera commovente durante gli avvenimenti del 1870.

In un periodo ancor più vicino a noi, ricordo l’importante contributo di vescovi belgi ai Concili: il cardinale Descamps al Vaticano I, i monsignori De Smedt, Charue, Heuschen, il cardinale Suenens al Vaticano II. Parecchi vostri compatrioti hanno assunto o assumono attualmente grandi responsabilità negli organismi della Santa Sede: mi limito a nominare due amici che sono deceduti: monsignor Uylenbroeck e monsignor Albert Descamps.

Dovrei citare pure, come segni di vitalità cristiana, sia la fioritura di molteplici congregazioni religiose a partire dal secolo scorso, sia l’organizzazione, da parte dei laici, di numerose opere cattoliche. Ma termino con una ricchezza che è cara a tutta la Chiesa: le vocazioni missionarie, ad intra e ad extra. Basti ricordare padre Verbiest, in Cina, padre Lievens in India, padre Damien, nelle isole Molokai (il suo processo di beatificazione prosegue), il fondatore dei padri di Scheut, Teofilo Verbist, con tutti i missionari di questa famiglia religiosa. Senza parlare dei circa tremila missionari, uomini e donne, che sono partiti verso quello che si chiamava il Congo belga e, in un altro senso, il cardinale Cardijn. Perciò il Belgio ha avuto un irradiamento non proporzionato alla limitata estensione del Paese, nella Chiesa universale e nel mondo. In parecchi Paesi dell’Asia, dell’America e soprattutto d’Africa, il cristianesimo è nato in parte grazie ai belgi che hanno lasciato tutto per portare la Buona novella.

Sì, cari fratelli, la Chiesa che è in Belgio può essere fiera, e ho voluto condividere con voi questa fierezza. Una fierezza che prima di tutto è un rendimento di grazie al Signore. E una speranza: i doni di Dio sono senza pentimento. La via è magnificamente tracciata anche se il contesto attuale è tutto diverso. Come possiamo pensare che questa linfa cristiana s’inaridisca, che il soffio missionario venga a mancare, quando lo Spirito Santo è il medesimo sia ieri che oggi? L’ora è venuta, al contrario, d’intraprendere la seconda evangelizzazione che voi auspicate di cuore.

3. Infatti, nel vostro stesso Paese vi trovate di fronte a nuovi bisogni di evangelizzazione. Il compito può sembrare molto inedito, più arduo che mai. Le realtà come “società pluralista”, “secolarizzazione”, laicismo, distanza in rapporto all’istituzione religiosa, indifferentismo religioso, anche ateismo, sono altrettante sfide che scoraggiano alcuni dei vostri sacerdoti e dei vostri fedeli. Lo so che voi, vescovi, volete rimanere lucidi, vigilanti, inventivi, senza capitolare in nessun modo davanti a queste sfide.

Lucidi, ossia vedere i fatti - in base a inchieste e statistiche - e soprattutto essere consapevoli delle cause di una più grande difficoltà a credere in un Dio personale, ad aderire all’insieme del messaggio cristiano e alle sue implicazioni etiche a formare obiettivamente la propria coscienza, a rispettare il carattere sacro dell’amore, e della vita umana, a trasmettere la fede o il Battesimo ai bambini, a partecipare regolarmente ai sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione, a consacrare la propria vita al servizio esclusivo di Cristo e della Chiesa.

Tra le spiegazioni vi sono i mutamenti della società e simultaneamente delle concezioni della vita che sono evidenti. Le correnti di pensiero più diverse colpiscono in pieno, e a volte senza preparazione, i giovani e gli adulti. La società dei consumi e dei piaceri facili - come nella maggior parte dei Paesi occidentali ricchi e liberi - riduce la prospettiva a ciò che è materiale ed abitua a temere gli sforzi. In un senso apparentemente contrario, certi ritmi di lavoro, specialmente per le donne, certi sradicamenti, difficoltà di alloggio e la grave penuria di posti di lavoro, turbano la fedeltà e la pratica religiosa.

Ma il nostro sguardo non deve limitarsi a questi elementi che sono delle condizioni, più o meno sfavorevoli, piuttosto che delle cause: in un certo senso, non sono più gravi delle difficoltà incontrate dagli evangelizzatori dei secoli passati, o degli ostacoli che altre Chiese conoscono oggi nel mondo, soprattutto quando sono prive di libertà e di mezzi.

Bisogna fermarsi piuttosto alle cause spirituali che provengono dall’interno degli uomini, o delle famiglie, specialmente la mancanza di fede, di vigore, di formazione e di sostegno ecclesiale. Questa crisi è importante e profonda. Oggi vi è la tentazione del rifiuto di Dio, in nome della propria umanità. E la secolarizzazione - che, in sé potrebbe essere un aspetto della legittima distinzione tra temporale e spirituale (cf. Gaudium et spes, 36) - è grave nella misura in cui colpisce la Chiesa stessa, persino la vita sacerdotale e religiosa. Il Concilio Vaticano II ha dato alla Chiesa i principi di base e i mezzi per operare un adatto rinnovamento spirituale. Ma, nella misura in cui certuni l’hanno studiato male, male interpretato, male applicato, può avere causato qua o là scompiglio, divisioni e non si è potuto impedire un cedimento religioso. Piuttosto di gemere sulle condizioni difficili, dobbiamo portare rimedio a ciò che provoca la debolezza spirituale dei cristiani: in altre parole, lavorare per formare la loro fede e per annunciare la fede a tutti i nostri contemporanei. E siccome l’uomo non è un individuo isolato, ma è preso in una rete d’influssi sociali che i media amplificano, bisogna rifare il tessuto cristiano della società.

4. Parlare di rifare questo tessuto, significa evocare, tra l’altro, le diverse organizzazioni cristiane. So che esse sono numerose e forti nel vostro Paese, nel quadro delle libertà riconosciute dalla costituzione. Questa è l’espressione normale di una Chiesa viva e libera; non solo queste istituzioni hanno permesso di sostenere la fede dei cattolici, secondo le esigenze della loro coscienza, ma sono state un modo per manifestare la loro testimonianza e il loro benefico contributo alla società, per esempio nel campo dell’insegnamento, della salute, del reciproco aiuto. Esse continuano ad avere la loro ragion d’essere, nel rispetto e nella stima delle altre iniziative, degli altri gruppi sociali, al di fuori di ogni spirito di concorrenza, di settarismo o di ghetto. Questa armonia di rapporti specifici è una ricchezza per una società che ha un’esatta nozione del bene comune, con la libera partecipazione di ciascuno.

Ad ogni modo, le organizzazioni cattoliche non costituiscono delle linee di demarcazione tra i cristiani e gli altri. I cristiani ci tengono a testimoniare e a lavorare anche in altre organizzazioni non confessionali. Gli uni e gli altri possano conservare la preoccupazione di ciò che è onesto e vero, la benevolenza, lo spirito di fraternità e di cooperazione, diciamo l’amore; questi valori sono benefici alla vita in società e si attendono sempre dai discepoli di Cristo!

Ma abbiamo detto che l’essenziale è di formare autentici cristiani, e di trovare i mezzi per sostenerli. A questo proposito, mi piace contemplare con voi la triplice missione che abbiamo ricevuta con l’ordinazione episcopale: insegnare, santificare, governare. So che ne siete consapevoli; io stesso ho ammirato lo zelo di molti vescovi belgi del passato e del presente. Penso soprattutto ai vostri collaboratori che devono essere con voi dei maestri della fede, degli intenditori dei sacri misteri, dei pastori.

5. Il nostro primo ufficio di vescovi è l’insegnamento della fede (cf. Lumen gentium, 25; Christus Dominus, 12-14). “Predicate a tempo e a contrattempo, esortate con una pazienza instancabile e con la cura d’istruire”, ci dice il vescovo consacrante, facendo eco a San Paolo. Non è in nostro potere suscitare l’adesione, che dipende dalla libertà, con o senza molte condizioni favorevoli, e dalla grazia di Dio. Se non altro dobbiamo essere gli “araldi della fede”, i “dottori autentici”, le “guide delle coscienze”, affinché la verità del Vangelo brilli con chiarezza e persuasione. Non dimentichiamo mai che il Vangelo è stato posto al di sopra della nostra testa, durante la preghiera di ordinazione.

Si tratta di annunciare il kerigma - l’essenziale del messaggio che chiama a credere coloro che sono ancora sulla soglia, e sono numerosi oggi - ma anche di approfondire il mistero integrale di Cristo e la conoscenza di tutta la dottrina della Chiesa, di trarne del nuovo e vecchio rispettando l’identità del “deposito” di cui siamo responsabili, rispondendo alla problematica della mentalità attuale con i mezzi moderni posti a nostra disposizione.

La dottrina è quella della salvezza. Si tratta di un grande disegno messianico per l’uomo, con le sue implicazioni etiche, le sue conseguenze sociali per la persona, la famiglia, la società, per la giustizia e per la pace, eccetera (cf. Christus Dominus, 12). Ma i nostri contemporanei, sensibili a questa dimensione, non sempre collegano la morale a un Dio personale; essi separano facilmente i comandamenti verso il prossimo dai comandamenti verso Dio. Noi dobbiamo iniziarli a una prospettiva teocentrica, perché il nostro umanesimo cristiano si basa sul Dio creatore e redentore. Tutte le realtà terrestri sono ordinate dalla salvezza degli uomini.

A Roma vi chiesi di essere voi stessi dei vescovi teologi sul posto, in collegamento con i teologi professionisti che esplorano metodicamente il contenuto della fede, senza formare un magistero parallelo, perché essi insegnano in virtù della missione che hanno ricevuto dal legittimo magistero (cf. Pio XII, Allocutio E. mis Cardinalibus et Exc. mis Antistitibus, qui Romae sollemni canonizationi S. Pii Pp. X interfuerunt: AAS XLVI [1954] 313-314). C’è solo un magistero, affidato agli apostoli uniti a Pietro e ai loro successori. Con questi teologi, siate i promotori di un’intelligenza della fede. Ci sono degli errori che devono essere dichiarati con il loro nome e ci sono delle proposizioni rinnovate della fede da approfondire.

So che, per conto vostro, consacrate i vostri sforzi a questo ministero della parola, nelle omelie e nelle diverse istruzioni, nelle lettere pastorali, nelle dichiarazioni pubbliche e nei molteplici incontri con i vostri cristiani. Ma il problema consiste nel realizzare una profonda educazione della fede in tutto il popolo cristiano e, di conseguenza, di aiutare i vostri sacerdoti, i vostri religiosi e religiose, i vostri insegnanti cristiani, i vostri catechisti laici, che sono numerosi, ad essere autentici formatori della fede. Ponete tutte le vostre cure a procurare ad essi una formazione dottrinale solida, esigente, integrale; a suscitare in essi una grande fedeltà al magistero autentico, perché devono trasmettere la fede che hanno ricevuto, con l’amore della Chiesa e uno zelo illuminato, per presentare la fede di cui essi stessi si sforzano di vivere. Fate in modo che la catechesi sia curata a tutti i livelli: bambini del catechismo, scuola, preparazione ai sacramenti, adolescenti, adulti. Si potrà allora sperare che questi cristiani avranno la maturità sufficiente per non essere sballottati ad ogni vento di dottrina, per essere testimoni di Cristo ed intraprendere essi stessi, con i fratelli separati, con quelli che sono in ricerca e con i non credenti, un “dialogo di salvezza”, con intelligenza e amore, verità e carità (cf. Christus Dominus, 13).

6. Nello stesso tempo abbiamo la missione di santificare il popolo che ci è affidato. La parola di Dio lo consacra già nella verità (cf. Gv 17, 17). Ma bisogna formare questo popolo a pregare, a ben ricevere i sacramenti.

A noi stessi, il vescovo consacrante ha detto: “Intercedete con la preghiera e con il sacrificio”. Le grazie di conversione, di rinnovamento, di santità, sono di un ordine diverso dai nostri metodi d’apostolato; esse saranno date solo a una Chiesa in preghiera. D’altra parte, molti movimenti di giovani hanno riconosciuto questo bisogno di preghiera; al contrario, coloro che si lasciano assorbire da un’azione sociale senza preghiera, rischiano di perdere la loro specificità cristiana e la loro vera efficacia. La contemplazione, l’adorazione, devono ritrovare il loro posto nella vita del popolo cristiano. I vostri collaboratori, sacerdoti, religiosi, religiose, avranno a cuore d’essere dei testimoni e dei maestri della preghiera.

I nostri cristiani devono saper cogliere anche l’importanza capitale dei sacramenti. Non abbiamo molte occasioni di parlarne durante questo viaggio, centrato sul tema principale del “Padre nostro”.

Facciamo comprendere ai genitori la grazia inaudita del Battesimo dei loro figli, che li impegna, naturalmente, ad assicurare l’educazione cristiana. Il fatto che questo Battesimo e l’educazione catechetica siano trascurati in certe famiglie, è un segno preoccupante.

D’altra parte sono al corrente della nostra coraggiosa pastorale per preparare i cresimandi a professare la loro fede ed a prendere il loro posto nella Chiesa, con i doni dello Spirito Santo.

Il senso della domenica, giorno del Signore, quello dell’Eucaristia domenicale, e la grave necessità di riunirsi attorno al corpo del Signore per vivere veramente della sua vita, devono poter essere oggetto di una catechesi più intensiva, più chiara, per non lasciare i fedeli - ed in particolare i giovani - nella condizione di ritenere che si tratti di un atto secondario, facoltativo, che si compie soltanto quando il desiderio, o il bisogno, si fa sentire. Nello stesso tempo vegliamo affinché queste celebrazioni siano degne, vive, oranti, accessibili a tutti, rispettose del mistero della fede. Il Belgio non ha dato forse un notevole contributo al movimento liturgico? Il Concilio ha d’altra parte ricordato ai vescovi che essi sono gli “organizzatori, i promotori e i custodi di tutta la vita liturgica” (Christus Dominus, 15).

Quanto al sacramento della Penitenza o della Riconciliazione, restano da compiere ancora molti sforzi per farne comprendere la portata e la necessità, rinnovando il senso di Dio e il senso del peccato. Su questo argomento ho espresso il pensiero dei padri del Sinodo e il mio nell’esortazione che voi conoscete. La forma personale, essendo la confessione e l’assoluzione individuali, preparate quando è possibile in modo comunitario, rimane la via ordinaria. Questa pastorale si scontra, lo so, con molti ostacoli, pregiudizi e, forse, con pratiche contrarie. È tuttavia a questo prezzo che i fedeli si situeranno nella verità davanti al Signore, ossia in stato di conversione. Ricordiamo ai nostri sacerdoti il posto che devono dare a questo ministero del perdono.

7. Infine, il Signore ci ha chiamati a condurre il popolo di Dio come il Buon pastore. Il Buon pastore è colui che cammina davanti, che indica il cammino, che intuisce le insidie, che conduce il gregge verso ciò che lo può nutrire veramente. Egli ama le sue pecore, le conosce bene, è vicino alle loro necessità.

Tra di esse, egli è a servizio della verità. È come un padre, con l’autorità conferitagli dal suo ufficio, come vicario e legato di Cristo. È a servizio dell’amore e della misericordia, nella verità, come un fratello. È a servizio della comunione.

Questo ministero di unità è particolarmente importante. Dopo il Concilio Vaticano II, i fedeli non hanno seguito lo stesso passo; certi non sono soddisfatti, per nostalgia o per impazienza. Altri si fronteggiano per ragioni di livelli sociali, di metodi apostolici, di culture. Spetta al vescovo, mentre vigila per allontanare i legittimi motivi di dissenso e di scandalo, insegnare ai suoi diocesani a rispettarsi, ad amarsi pur nella diversità, a comprendersi, ad accettarsi ed a collaborare nella complementarità. Lo stesso vescovo deve evitare di lasciare che gruppi particolari esercitino l’apostolato in modo esclusivo, perché l’apostolato è aperto a tutti, può essere opera di tutti, con metodi diversi. Il vescovo è il pastore di tutto il suo popolo. È artefice di pace. Di fronte ai fermenti di sfiducia, di divisione, di rottura, egli assicura il servizio della comunione perché predica l’amore e pone il popolo cristiano al centro delle realtà fondamentali della fede nella verità.

Questa comunione, cari fratelli, sta a cuore viverla anzitutto tra voi, nell’ambito della Conferenza episcopale, malgrado la diversità dei problemi, delle lingue e delle culture. E questa testimonianza ha una grande importanza per la Chiesa e per la nazione belga.

Infine, questa collegialità, affettiva ed effettiva, comprende necessariamente la comunione profonda con la Sede apostolica. Non solo nel senso di un sentimento di adesione. So che l’episcopato belga ha una solida tradizione in questo senso. Ma nella condivisione della sollecitudine della Chiesa universale e nell’adesione a decisioni e orientamenti: “Tutti i vescovi devono promuovere e difendere l’unità della fede e la disciplina comune all’insieme della Chiesa, formare i fedeli all’amore per tutto il corpo mistico di Cristo” (Lumen gentium, 23).

8. Parlandovi così, cari fratelli, non ho smesso di pensare ai vostri sacerdoti. Non ho un incontro speciale con essi, al di fuori della messa a Beauraing. Dite loro il mio affetto, la mia fiducia, la mia speranza. Se ho ricordato le esigenze del loro sacerdozio, in rapporto con le tre missioni del vescovo, è per la verità della loro vocazione, è per il bene del popolo cristiano, specialmente della gioventù, che conta tanto su di essi, come su dei padri spirituali! Che possano liberarsi delle teorie che talvolta hanno tentato di oscurare la loro meravigliosa identità di sacerdoti! E con il pretesto che i laici sono chiamati a svolgere molti servizi ecclesiali, così pure non lascino ridurre il loro sacerdozio a una semplice funzione. I laici stessi adempiranno bene la loro missione soltanto con dei sacerdoti la cui vita, tutto l’essere - corpo, cuore e spirito - è consacrata al Signore e alla sua missione.

So che vi sta a cuore di manifestare loro il vostro amore, di sostenerli come dei figli e degli amici. Auspico che anch’essi mostrino nei vostri riguardi la premura e tutta la disponibilità indispensabile per il servizio coerente al popolo di Dio, perché la direzione della pastorale è affidata a voi.

Ho notato che avete molti diaconi permanenti e me ne rallegro.

Un grande problema rimane quello del cambio dei sacerdoti, del risveglio delle vocazioni, della formazione dei seminaristi e dei sacerdoti. Ne abbiamo parlato durante la visita “ad limina”. Incoraggio quello che fate per le vocazioni dei giovani adulti, senza dimenticare tuttavia che la chiamata al sacerdozio si a sentire spesso fin dall’infanzia. E non bisogna temere di chiamare! La maggior parte delle vostre diocesi hanno il loro seminario, ed è bene così. Le condizioni della vita spirituale, della formazione dottrinale, dello spirito pastorale, della vita comunitaria in questi seminari, costituiscono per voi una responsabilità primordiale.

Evidentemente, dobbiamo fare gli stessi sforzi per risvegliare le vocazioni alla vita religiosa, alla vita consacrata. Sappiamo tutti quanti ragazzi o ragazze sono capaci di consacrarsi con gioia all’amore del Signore, al servizio della sua Chiesa, della quale vedono i bisogni urgenti. E nello stesso modo penso alle vocazioni missionarie, per le quali la Chiesa in Belgio ha brillato con tanto fulgore! Che cosa manca perché sboccino queste vocazioni, perché si realizzino? Noi pregheremo tutti per questa intenzione.

9. So l’importanza che attribuite ad altri temi di pastorale: la collaborazione tra sacerdoti e laici, il ruolo evangelizzatore dei laici, uomini e donne, il bambino e la famiglia, la catechesi, il rinnovamento delle istituzioni cattoliche, il modo di vivere da cristiani la crisi economica, l’invio in missione ad extra.

Sono certamente problemi fondamentali. Penso specialmente alla famiglia. Quando incontrai il cardinale Cardijn, durante il viaggio da Roma alla Polonia, mi disse: “Mettete tutta la vostra cura a preparare famiglie veramente cristiane”. È perciò evidente il vostro assillo.

Gli incontri previsti attraverso il Belgio, particolarmente con i laici, i giovani, i missionari mi permetteranno di affrontare altrove questi problemi; altri, scaturiscono da una riflessione speciale o da una ricerca di mezzi pastorali che spetta a voi.

Ci siamo posti di fronte all’essenziale della nostra missione di vescovi. Che lo Spirito Santo vi assista con la sua luce e con la sua forza! Che vi permetta di condurre il vostro popolo cristiano, con speranza, verso una fede più matura e verso un nuovo slancio missionario!

 

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