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INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON S. E. IL SIGNOR FRANCESCO COSSIGA,
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA*

Venerdì, 4 ottobre 1985

 

Signor Presidente,

1. Le sono vivamente grato per la visita con cui Ella oggi mi onora. Essa si svolge nel contesto della tradizione di buoni rapporti tra lo Stato e la Chiesa in Italia, che la recente revisione dei Patti Lateranensi ha confermato. Ella, Signor Presidente, ha voluto riservarmi la sua prima visita ufficiale fuori dei confini dello Stato italiano; è un’attenzione che ho molto apprezzato e di cui La ringrazio.

Ella è oggi qui in nome del Popolo italiano, i cui legittimi rappresentanti nel giugno scorso si sono trovati a larga maggioranza concordi nel designarLa alla suprema carica dello Stato. Nel porgerLe, anche in questa circostanza, le mie felicitazioni per l’alta investitura conferitale, desidero far giungere attraverso la Sua persona a tutti i cittadini italiani, che Ella degnamente rappresenta, una speciale parola di saluto e di augurio. L’ormai settennale permanenza in Roma e i viaggi pastorali che in questi anni ho potuto compiere nelle varie Regioni d’Italia - tra qualche giorno, come Lei sa, conto di recarmi pure nell’isola illustre che le ha dato i natali - mi hanno consentito di conoscere sempre più a fondo e di amare con intensità crescente questa terra a Dio particolarmente cara.

Con profondo affetto esprimo, perciò, l’auspicio che l’Italia abbia sempre chiara coscienza dell’incomparabile patrimonio, umano e cristiano, che ne ha reso ammirato il nome fra i popoli. Sappia essa vedere nelle tradizioni civili e religiose, che formano la trama della sua storia, una fonte sempre fresca di nuove energie per ulteriori progressi sulla via della civiltà e della pace.

2. Nel formulare questo augurio il pensiero va spontaneamente alla figura luminosa di quel figlio della terra italiana che il calendario oggi ricorda: San Francesco d’Assisi! È un pensiero che si trasforma in augurio per Lei, Signor Presidente, che di questo Santo porta il nome. Ed è pensiero che si allarga, inoltre, ad abbracciare tutti gli italiani. Difficilmente si potrebbe trovare un’altra figura che incarni in sé in modo altrettanto ricco e armonioso le caratteristiche proprie del genio italico.

In un tempo in cui l’affermarsi dei liberi Comuni andava suscitando fermenti di rinnovamento sociale, economico e politico, che sommuovevano dalle fondamenta il vecchio mondo feudale, Francesco seppe elevarsi tra le fazioni in lotta, predicando il Vangelo della pace e dell’amore, in piena fedeltà alla Chiesa di cui si sentiva figlio, e in totale adesione al popolo, di cui si riconosceva parte.

3. Alla fascinosa figura dell’Assisiate desidero oggi fare riferimento, Signor Presidente, perché in lui vedo il sicuro interprete e il valido assertore di quei valori spirituali che del popolo italiano costituiscono l’anima vera e la durevole ricchezza.

Certo, il contesto dei rapporti sociali e, in particolare, quello delle relazioni fra istanze religiose e civili, fra Chiesa e Stato, sono, dai tempi di Francesco, notevolmente cambiati. Oggi si sottolinea giustamente l’autonomia dello Stato, nel quale devono potersi pienamente riconoscere tutti i cittadini, nonostante le loro differenti convinzioni religiose e ideologiche. Parimenti, oggi si afferma con rinnovata consapevolezza la libertà della Chiesa, che il Concilio Vaticano II qualifica come il “principio fondamentale nelle relazioni fra la Chiesa e le potestà pubbliche” (Dignitatis humanae, 13).

Oggi, però, non meno di ieri, la Comunità politica e la Chiesa, pur “indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo”, devono sentirsi “tutte e due, anche se a titolo diverso . . . a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane” (Gaudium et spes, 76). Per parte sua la Chiesa è pienamente convinta che “predicando la verità evangelica e illuminando tutti i settori dell’attività umana con la sua dottrina e con la testimonianza resa dai cristiani”, contribuisce a far rispettare e a promuovere “anche la libertà politica e la responsabilità dei cittadini” (Ivi).

Se essa, pertanto, rivendica la propria libertà, non lo fa in disconoscimento delle legittime competenze dell’autorità civile, che essa anzi doverosamente riconosce e rispetta. Nell’affermare la propria libertà, la Chiesa non intende chiedere privilegi, ma solo di poter liberamente servire il bene della Nazione, come sottolineavo in occasione del Convegno di Loreto, ricordando il contributo che la Chiesa “può e deve dare, nel Paese d’Italia, alla costruzione della “comunità degli uomini”, adempiendo ad una componente irrinunciabile della sua missione” (Giovanni Paolo II, Allocutio Laureti in Piceno ad Italiae Episcopos, quosdamque presbyteros et laicos simul congregatos habita, 11 aprile 1985: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII/1 [1985] 999). L’unica preoccupazione della Chiesa è di tutelare la possibilità di riferirsi, in piena autonomia da ogni istanza terrena, a Cristo e all’uomo: sono questi, infatti, i due “poli” tra i quali si muove tutta la sua azione nel mondo e nella storia.

Ma proprio per questo costante riferimento all’uomo nella concretezza del suo esistere, la Chiesa sa che il suo cammino non può non incontrarsi con quello di altre istanze umane e, in particolare, col cammino percorso dallo Stato. È quindi in vista dell’uomo e del servizio da rendere al suo pieno benessere che la Chiesa offre e chiede collaborazione: ciò, ovviamente, nel leale rispetto della reciproca indipendenza e dei rispettivi ruoli.

4. Un campo nel quale tale collaborazione sembra oggi presentare prospettive particolarmente promettenti è quello del volontariato. Questo aprirsi ai bisogni dell’altro, in atteggiamento di gratuito dono del proprio tempo e delle proprie energie, ha per il cristiano motivazioni evangeliche molto chiare ed eloquenti. L’esempio di Cristo, venuto “per servire e non per essere servito” (Mt 20, 28), ha parlato al cuore dei credenti in ogni epoca della storia e ne ha ottenuto risposte tali da suscitare l’ammirazione anche di chi non condivideva la loro fede. La testimonianza di Francesco d’Assisi, per tornare a parlare di lui, si colloca precisamente in questa linea di servizio “volontariamente” prestato al fratello, al di fuori di ogni prospettiva di umana ricompensa.

Le presenti condizioni del vivere sociale, le nuove forme di povertà, i bisogni emergenti in vasti settori della popolazione, fino a ieri diversamente soddisfatti, sembrano rendere particolarmente utile anche per le strutture dello Stato questa forma di contributo da parte dei cittadini. Appare quindi molto importante che la pubblica amministrazione prenda atto delle disponibilità che si manifestano a livello di singoli e di gruppi, ne assecondi l’impegno, ne promuova il coordinamento con le iniziative già in atto, per favorirne l’armonico convergere là dove più urgenti sono i bisogni. Ciò suppone un effettivo rispetto per l’autonoma creatività delle forze che entrano in gioco, giacché solo nella libertà possono essere coltivati i valori caratteristici del volontariato.

Sono profondamente convinto, Signor Presidente, che la rigogliosa fioritura di iniziative, promosse dal volontariato anche in Italia, sia uno dei segni più incoraggianti per il futuro della Chiesa e della Nazione. Per parte mia, sono lieto di assicurare la piena collaborazione delle forze animate dal fermento cristiano con quanto le strutture civili opportunamente disporranno soprattutto nel settore dei servizi sociali. È da auspicare che il crescente affermarsi di questo stile di presenza del cristiano e del cittadino nel vasto campo del sociale valga a far maturare progressivamente nella pubblica opinione il senso della condivisione e della solidarietà per i molti problemi che non possono essere delegati, perché sono di tutti. In tal modo il volontariato, come esperienza di gratuità nell’accoglienza dell’altro e nel dono di sé, si pone come stimolo al cambiamento, anticipando spesso, per amore, nell’oggi degli emarginati e dei deboli ciò che la giustizia assicurerà loro soltanto in un non ancora precisato domani.

5. Ho accennato, Signor Presidente, a uno specifico campo di collaborazione fra la Chiesa e lo Stato. Il tempo non consente di fermare l’attenzione su altri settori, in cui la collaborazione si rivela non meno utile e urgente. Non pochi di essi, anche se certo non tutti, sono del resto indicati con valide direttive di azione nell’accordo del 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato Lateranense e che attribuisce un significativo ruolo alla Conferenza Episcopale Italiana. Basti qui rilevare come l’odierno incontro costituisca di per se stesso un’importante manifestazione della volontà che ha guidato e guida le Autorità dello Stato e della Chiesa nella costante ricerca delle opportune forme di intesa in tutto ciò che riguarda la promozione dell’uomo e il bene del Paese. Voglio augurarmi, e sono certo di interpretare in questo anche il Suo desiderio, che i prossimi anni rechino confortanti conferme di questi intendimenti. Il Popolo italiano non potrà trarre da ciò che sicuri vantaggi. Nella fedeltà al ricco patrimonio spirituale, che lo distingue, esso troverà infatti ispirazione e orientamento per risolvere, in unità e concordia, i problemi umani del presente e per camminare fiducioso sulla strada del proprio futuro, che invoco da Dio prospero e sereno.

È questo l’auspicio che formulo per tutti i cittadini di questa amata Nazione, e specialmente per Lei, Signor Presidente, che con unanime plauso ha iniziato la sua missione a servizio del caro popolo italiano.


*AAS 78 (1986), p. 169-173.

Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VIII, 2 pp. 844-848.

L’Attività della Santa Sede 1985 pp. 810-813.

L'Osservatore Romano 5.10.1985 pp.1, 5.



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