DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AGLI AMMALATI DELL'OSPEDALE CIVILE «BROZZU»
Cagliari - Domenica, 20 ottobre 1985
Carissimi fratelli e sorelle!
1. Ho molto apprezzato le nobili parole e i profondi sentimenti di fede che uno di voi, a nome di tutti, ha voluto esprimere in occasione di questa mia presenza tra voi.
Sì, io sono qui per portarvi la Parola di Cristo, la sua testimonianza, il suo affetto, il suo conforto.
Queste parole che avete voluto dirmi vanno al di là della mia persona e si rivolgono con fiducia a Gesù redentore e salvatore. Egli stesso scenda nei vostri cuori, vi mandi il suo Spirito, vi dia le sue consolazioni!
2. Saluto cordialmente tutti i presenti: oltre a voi, carissimi malati, saluto il Personale dirigente, medico e paramedico, i Cappellani e le Religiose, che sono fra voi un segno dell’amore di Cristo e della maternità della Beata Vergine Maria, Madre di Dio.
Anche la Sardegna, come ogni regione di questa terra, va soggetta a certe malattie caratteristiche, che ancora resistono agli sforzi condotti contro di esse dalla scienza medica, una di queste, la più grave e diffusa, è l’anemia mediterranea, che colpisce la vita al suo primo sbocciare e tende crudelmente a stroncarla, dopo un lungo e penoso deperimento, nel fiore dell’età o quando la vita dovrebbe essere nel suo massimo rigoglio.
La Sardegna ha trionfato su un morbo antichissimo, così preoccupante, che scoraggiava molti dall’abitare nelle vostre terre e che sembrava aver fatto della vostra bella Isola quasi un luogo di esilio e di pena: la malaria! Sconfitto questo terribile nemico, ora si para innanzi quello già accennato. Ma la scienza non desiste dalla sua nobile lotta in favore della vita: presto o tardi anche questo nemico sarà sconfitto. È l’augurio che sorge, forte e spontaneo, dal mio e dal vostro cuore.
3. La scienza trionfa sulla malattia e sulla morte se conduce la sua lotta con coerenza, promovendo, difendendo e curando la vita in tutte le sue forme e a tutti i livelli, rinunciando a concezioni edonistiche o materialistiche, che tendono a sottovalutare la dignità assoluta della vita umana, in ogni istante del suo processo evolutivo, dal suo concepimento fino all’estremo palpito della vecchiaia.
La scienza trionfa nella sua lotta per la vita e per la salvezza dell’uomo, nella misura in cui essa è aperta alla luce e all’energia di fede e di carità che vengono dal Dio della vita, quel Dio che Gesù chiama il “Dio dei vivi, e non dei morti” (cf. Mt 22, 32).
E questa apertura alla luce e alla forza benefica che vengono da Dio si ottiene, in modo decisivo e incancellabile, nel momento del dolore. La ragione umana non sa spiegare il perché di questo fatto, ma l’esperienza di fede ci dice che è così. Spesso il dolore è il luogo profondamente misterioso e misteriosamente profondo dell’incontro di Dio con l’uomo. È il luogo del riscatto e del perdono. È il momento nel quale la giustizia divina si congiunge con la sua misericordia. Il pentimento fiorisce allora nella speranza. E dall’intimo dell’animo sorge una pace ineffabile e invincibile. È la pace di Cristo. La pace che viene dalla sua Croce.
4. Esorto tutti voi, cari fratelli e sorelle, malati e sani, ad approfondire questo mistero della croce, mistero di luce e di pace, che non s’arrende alla morte, ma che, sia pure dopo pericoli e peripezie, trionfa definitivamente su di essa con la vita eterna.
E voi, cari Cappellani e care sorelle Religiose, voi, in forza del dono ricevuto con la vostra vocazione, siete chiamati in modo speciale a insegnare ai fratelli il mistero della Croce. Sarà questo il vostro modo di essere missionari, secondo l’appello che ci viene dalla Giornata odierna.
Io vi sono vicino in modo particolare nella preghiera perché il Signore vi assista. Come pure sono vicino a tutti voi qui presenti, malati, personale curante, parenti e amici, invocando su tutti la luce e l’assistenza divina.
Sant’Ignazio da Laconi, da voi tanto venerato e invocato soprattutto in occasione della malattia, continui ad assistervi con la sua dolce e potente presenza e vi conduca tutti alla piena accettazione della volontà di Dio, con la fiducia del fanciullo che si abbandona alla guida del padre che ama. Niente dà serenità come il rimettersi al volere di Dio.
E la mia affettuosa Benedizione sia con tutti voi.
Infine, prima di impartire la benedizione conclusiva, il Papa aggiunge alcune parole sul significato e sul valore della Benedizione. Queste le sue parole.
Seguendo l’esempio di questo vostro Santo, Ignazio da Laconi, rivolgo a tutti l’augurio e prego che tutti possano affidarsi, rimettersi nelle mani di Dio che è Padre. Egli ci ha dato suo Figlio, ce lo ha dato anche sofferente, crocifisso, perché sia vicino a tutti coloro che sono in certo senso crocifissi dalla sofferenza e dalla malattia. Poiché egli ci ha dato questo suo Figlio, noi dobbiamo tutti con ancor più grande fiducia rimettere nelle sue mani la nostra vita così come Gesù ha rimesso la sua vita nelle mani del Padre. “In manus tuas commendo spiritum meum”, furono le sue ultime parole.
Con questi pensieri, con questi sentimenti, nello spirito di una comune orazione, vorrei offrire a tutti voi, carissimi fratelli e sorelle, una benedizione della Chiesa, benedizione che viene portata nel cuore e nelle mani del Papa e di tutti i Vescovi. Questa è la nostra missione, il nostro compito, non solamente liturgico, ma anche teologico e teleologico: portare questa benedizione a tutti, questa benedizione che esprime l’amore che Dio ha per tutta la creazione. Sappiamo bene che nel libro della Genesi si ripete questa parola: “et benedixit”, “et benedixit diebus suis”. Dio ha benedetto, giorno dopo giorno, tutta la sua creazione. Vuol dire che egli ha amato, vuol dire che egli ha creato nello Spirito Santo, vuol dire che con questo amore egli continua ad essere tra noi e con noi, specialmente da quando suo Figlio si è fatto uomo per soffrire con noi, per risorgere per noi.
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