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MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II AI PARTECIPANTI
AL «MEETING PER L’AMICIZIA FRA I POPOLI» DI RIMINI

 

Cari fratelli e sorelle,

1. Con nell’animo sempre vivo il ricordo della visita compiuta a codesto “Meeting per l’Amicizia fra i popoli”, nel non lontano 29 agosto 1982, vi rivolgo, in occasione dell’attuale edizione, il mio beneaugurante saluto, esprimendo compiacimento per un’iniziativa, che ormai da vari anni favorisce l’afflusso di persone desiderose di incontrarsi per aprire un dialogo sereno e rispettoso sui fondamentali valori dell’esistenza umana.

Quest’anno avete scelto di incentrare l’intera manifestazione sul tema della comunicazione, È, questo, un termine che ben esprime una componente essenziale dell’uomo, e configura al tempo stesso una caratteristica peculiare dell’epoca in cui viviamo.

Si può dire, infatti, che in tutta la sua storia l’uomo è sempre stato mosso dal desiderio e dalla ricerca di una sempre più profonda e intensa comunicazione col proprio simile e con l’Essere supremo. Ma è fuori dubbio che questa esperienza di comunicazione è enormemente cresciuta in questo nostro tempo che dopo l’avvento della stampa, della radio, della televisione, sta conoscendo, grazie ai computers, la rivoluzione dell’informatica. Questo deve indurre a riflettere.

2. L’uomo, come essere personale, fatto a immagine e somiglianza di Dio, implica relazione all’altro, e in lui tutto quanto è corporeo e spirituale tende a diventare strumento di comunicazione. Egli esprime, così, la concezione che ha della realtà, manifesta l’intuizione e la consapevolezza raggiunta circa il mistero della sua origine e del suo destino ultimo. E ciò compie col linguaggio quotidiano, con la scienza, con la filosofia, con l’arte, con la preghiera.

Nell’esigenza e volontà di comunicare, il credente riconosce se stesso come creatura, posta nell’esistenza dalla Parola, e avverte la chiamata a divenire egli stesso portatore di un messaggio di vita piena all’uomo.

Dai primitivi graffiti della preistoria alle odierne, molteplici espressioni artistiche e letterarie, nonché alle incessanti innovazioni tecnologiche, che cosa vuol comunicare l’uomo se non l’intelligenza acquisita circa il reale, circa la sua espressione e la sua interpretazione? In ogni comunicazione umana è sempre presente, in modo più o meno palese, la proposta di un significato per l’esistenza. È come se un uomo invitasse l’altro a partecipare di quella bellezza, di quella verità, di quel bene che lo hanno interiormente arricchito.

Come potrebbe tacere il credente, che nella rivelazione della parola di Dio ha potuto conoscere la risposta decisiva agli interrogativi che assillano l’uomo di ogni tempo? Egli deve comunicare ciò che a lui è stato manifestato. Lo deve soprattutto oggi, nei confronti degli uomini e delle donne che condividono con lui questo scorcio di millennio.

3. Che cosa infatti si rivela più necessario in un tempo, in cui aumenta a dismisura la quantità delle informazioni, mentre esse sono sempre più accentrate nelle mani di pochi, sempre più penetrano nelle nostre case e nell’intimità delle nostre coscienze? Che cosa diventa più urgente quando la notizia si presenta non di rado sganciata dalla verità e legata solamente all’utilità? Quando molti messaggi sembrano non essere verificabili, perché si impone l’oggettività dello strumento sulla soggettività del messaggio?

In questa epoca di veloce, rapido cambiamento culturale è possibile essere tentati da due opposti errori: quello dell’accettazione acritica e ingenua di ciò che è nuovo; oppure quello della condanna, della rinuncia, dell’assenza di responsabilità creativa. La rivoluzione informatica e telematica, che sta cambiando il volto del lavoro, dell’apprendimento del tempo libero, richiede alla Chiesa e ai suoi figli un nuovo impegno di conoscenza e di approfondimento di quel linguaggio e di quelle tecnologie, per poter svolgere un adeguato servizio alla verità.

4. È un campo immenso e affascinante, che deve costituire una delle frontiere primarie del compito missionario delle varie comunità ecclesiali e dei singoli credenti. Al tempo stesso, è necessario che di fronte a ogni messaggio, a ogni notizia, ciascuno si chieda sempre quale sia l’esperienza viva che la origina, quale sia l’autorità che la accredita. Occorre, pertanto, “approfondire le cose viste, udite, lette, discutendone con educatori e persone competenti, al fine di imparare a formulare retti giudizi” (cf. Inter Mirifica, 10).

Da questo punto di vista, la Chiesa stessa è un luogo privilegiato di educazione a una comunicazione autentica: in essa la buona notizia per eccellenza - che Dio si è fatto uomo per la salvezza dell’uomo - diventa esperienza di comunicazione, cambiamento verificabile dell’esistenza, urgenza di rinnovato slancio missionario. La Chiesa nulla ha da temere dallo sviluppo dei mass-media, anzi essa vuole che i suoi figli vi siano impegnati in prima fila, affinché ciò che è opera dell’uomo sia veramente al servizio della crescita integrale della persona.

5. Nell’invitarvi a questo nobilissimo compito di comunicazione della Verità incontrata nell’esperienza di fede per costruire così la civiltà dell’amore, vi ricordo che “come la volontà di Dio è operazione e tale operazione riceve il nome di mondo, così il suo progetto è la salvezza dell’uomo, e tale salvezza è chiamata Chiesa” (Clemente Alessandrino, Il Pedagogo”, VI, 41, B: PG 8, 282); e la Chiesa, come acutamente si espresse Papa Paolo VI, è “mistero, cioè realtà imbevuta di divina presenza, che entra in dialogo col mondo contemporaneo . . . guardandolo con profonda comprensione, con sincera ammirazione e con schietto proposito non di conquistarlo, ma di valorizzarlo; non di condannarlo, ma di confortarlo e di salvarlo” (Pauli VI Allocuzione all’apertura della II Sessione del Concilio Vaticano II, die 29 sept. 1963, passim). In questa direzione si orienti la vostra azione, sorretta da una costante preghiera. E mentre invoco su di voi lo Spirito Santo, sorgente di vita e di libertà, perché operi nei vostri cuori con la ricchezza infinita dei suoi doni, auspico che la vostra esistenza sia sempre una credibile testimonianza del Vangelo.

A tanto vi conforti la mia benedizione apostolica.

Dal Vaticano, 6 agosto 1986.

 

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