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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
NELLA PICCOLA CHIESA DELL’OSPEDALE SAN CARLO DI NANCY

Domenica, 16 marzo 1986

 

Carissimi fratelli e sorelle.

1. Sono venuto volentieri tra di voi per porgere a tutti, con profondo affetto, un saluto e un augurio. Vorrei che la mia visita dicesse chiaramente che i malati sono sempre presenti nella mia preghiera e nel mio pensiero. Sono perciò lieto di trovarmi con voi oggi in questo ospedale “san Carlo” sulla via Aurelia, e di porgervi gli auguri più affettuosi per la vostra salute, per il bene che desiderate. Insieme con voi saluto il cardinale vicario e mons. Fiorenzo Angelini, pro-presidente della Pontificia Commissione per la pastorale degli operatori sanitari, delegato per l’assistenza religiosa agli ospedali di Roma. Saluto altresì la comunità delle Suore di san Carlo di Nancy, che dirige questo istituto con la presidente suor Jean Baptiste Meyer.

Il mio deferente pensiero va anche al presidente dell’Unità Sanitaria Locale dottor Sandro Staccioli, ai medici, al personale paramedico, ausiliario, amministrativo e tecnico di questa casa di cura e a tutti coloro che prestano un servizio a conforto dei sofferenti e a sostegno delle loro cure.

Desidero infine salutare tutti i parenti e gli amici dei malati, coloro cioè che guidati dall’affetto e da un grande senso di responsabilità, volontariamente assistono chi soffre, e collaborano per le cure e il loro conforto.

La presenza qui di tutti voi, a contatto con problemi e patimenti attesta con chiarezza che voi apprezzate il grande impegno umano di dedicarsi al fratello provato dal male: voi sapete, perciò, che ogni ammalato è degno di considerazione, di rispetto, di amore, perché creatura di Dio, redenta da Cristo e più vicina alla sua croce.

2. Ma il mio primo pensiero deve essere per voi, cari malati, e vuole tradursi in una parola di conforto, di fiduciosa e viva speranza. Il primo augurio, ovviamente, riguarda la vostra guarigione; infatti voi siete qui per questo e perché confidate nell’efficacia delle cure che vi vengono offerte.

Però io vi invito anche a confidare nel grande amore di Cristo verso chi soffre. “Questa vita - che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2, 20). Dio “mi ha amato”, e, ricco di misericordia, ha voluto stabilire una più intima comunione con noi, proprio là dove la nostra natura umana riscontra il suo limite e la sua fragilità, nella sofferenza, e lo ha fatto mediante il suo Figlio crocifisso. Dio ama, dunque, chi è povero e malato e, mentre l’uomo sarebbe tentato di considerare degna di essere vissuta solo la vita che produce, che trasforma il mondo, che è efficiente, egli nel Figlio suo ci istruisce sull’amore verso chi soffre; e ci aiuta a considerare, in tal modo, che l’uomo nella sofferenza si dimostra maggiormente capace di esprimere i valori umani dello spirito, come l’amicizia, l’affetto, la cooperazione nell’amore, tutte quelle qualità, cioè, che nel dolore e nel bisogno sono maggiormente esaltate e più profondamente capite. Io desidero perciò chiedervi di considerare i momenti della vostra sofferenza come una misteriosa vocazione. “La sofferenza è anche una chiamata a manifestare la grandezza morale dell’uomo, la sua maturità spirituale” (cf. Salvifici Doloris, 22); ma è altresì un invito della Provvidenza ad avvicinarsi di più al Crocifisso, a capirlo, a condividerne il mistero. Sentitevi vicini a Dio nelle vostre croci e sappiate offrirle con Cristo a Dio Padre perché il reale contributo del vostro sacrificio generi preziosi momenti di grazia per l’umanità e per la Chiesa. Con la meditazione della passione di Cristo troverete la forza di trasformare il momentaneo peso della malattia in un’oblazione santificante.

3. Il secondo pensiero va ai medici e a tutto il personale curante di questo ospedale. Il mio è un pensiero di gratitudine e di ammirazione per quello che fate a favore dei vostri pazienti. La vostra professione è incombenza difficile e laboriosa, se si considera come siete presi, simultaneamente, dalla dedizione al malato e dagli impegni di studio e di aggiornamento continuamente imposti dal rapido evolversi della scienza medica. Tuttavia è proprio questa fatica che genera quasi ogni giorno nuove speranze e nuove ragioni di impegno, perché vi trovate così ad essere i protagonisti del processo terapeutico. Voi infatti conoscete bene la gioia di poter risolvere in senso positivo le vostre ricerche e le vostre applicazioni. Io desiderio esprimere a tutti voi l’augurio che la vostra opera sia sempre sostenuta da confortanti frutti.

La vostra vocazione medica vi appassiona, perché voi sapete che il malato è il motivo primo dei vostri studi e del vostro lavoro. Ogni relazione con lui, infatti, si fonda su una reciproca confidenza e su un’ampia fiducia che investe la vostra persona. Egli vi chiede solidarietà, come un fratello che non è solo ricettore di cure, ma bisognoso di calore umano e di sostegno per lo spirito. Nello stesso tempo tutti sappiamo che anche il malato può condurre effettivamente chi lo assiste verso una più profonda ricchezza umana e spirituale, poiché egli consente a coloro che lo avvicinano di maturare e di crescere nella virtù di essere uomini, capaci di carità e generosità.

4. Desidero, ancora, rivolgere un pensiero alla comunità delle suore di san Carlo di Nancy, che reggono questo Istituto. Esse furono chiamate a Roma dal mio predecessore Pio IX nel 1862, per istituire, allora, un ospizio per anziani e malati proprio vicino alla Basilica di San Pietro, dentro le mura del Vaticano. In seguito, le mutate circostanze dei tempi consigliarono l’istituzione di un moderno ospedale e si costruì il presente edificio sulla via Aurelia, non molto lontano dalla prima sede.

La Congregazione delle Suore di san Carlo è nata nel secolo XVII, nella Lorena, in tempi particolarmente afflitti dall’epidemia della peste. La comunità religiosa nei suoi primi anni di vita si dedicò agli appestati e le suore di san Carlo aggiunsero ai voti di povertà, castità e obbedienza anche il voto perpetuo di carità e perseveranza nella cura degli infermi. Come allora anche oggi vi siete imposte con coraggio l’obbligo morale e il compito sociale di stare personalmente e con costanza vicino a chi soffre, qualunque sia la gravità del male. Mi compiaccio con voi, care sorelle, per questo singolare impegno. Come i fondatori e le prime suore della vostra congregazione voi testimoniate, con tale voto, che la vita, quando è spesa con eroica generosità a favore degli altri, è potenziamento di vita, anche quando si arriva al dono della propria esistenza. Voi siete convinte che non è mai lecito liberarsi del fardello della responsabilità derivante dalle malattie del prossimo, anche le più gravi e disperate; ma avete scelto di donarvi a chi soffre mediante una presenza diuturna, costante, fino all’ultimo. Il vostro voto è un forte appello contro la mentalità di morte che spesso emerge nel nostro tempo, e io vi auguro che la presenza amorosa accanto all’infermo, anche nei momenti più difficili, possa sempre esprimere un riflesso della carità di Cristo e del suo amore per i più poveri.

5. Questa mia venuta coincide con l’approssimarsi della festa di Pasqua: oggi è l’ultima domenica di Quaresima, e nella prossima domenica delle Palme inizia la Settimana Santa. Saremo invitati a ricordare in quei giorni la passione e la morte di Gesù per rivivere insieme con lui il mistero della risurrezione e parteciparne la grazia.

La croce è il segno dell’avvicinarsi continuo di Dio ad ogni uomo, la testimonianza misteriosa del modo con cui Dio in Cristo ha preso su di sé tutti i dolori dell’umanità: “Cristo vi ha amati, e ha dato se stesso per voi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave dolore” (Ef 5, 2).

Dobbiamo percorrere con la nostra coscienza questo itinerario di Cristo, che porta la sua croce. Fatelo voi, cari malati, che cercate sollievo: tale riflessione vi aprirà il cuore verso una più ricca comprensione del valore del vostro patire, e vi sarà di conforto, perché potrete comprendere che, in Cristo sofferente, Dio vi è vicino e condivide la vostra pena. Fatelo voi medici, infermieri, suore, tutti voi che per qualsiasi motivo siete accanto a chi soffre. Se la malattia del fratello si trasforma per voi in fatica e stanchezza, meditando il dramma della passione comprenderete che Cristo vi domanda generosa dedizione, nel silenzio e nel sacrificio, affinché possiate riprodurre in voi l’immagine della sua offerta e del suo amore.

La Pasqua ci fa ricordare che proprio da questa tormentosa esperienza della croce è nata la vittoria della vita sulla morte. Tale festa ci riporta non solo una memoria passata, ma un evento sempre vivo e sempre attuale. Nella Pasqua Cristo, vincitore della morte, attesta che sul tronco della croce, irrorata dal suo sangue, è spuntata la vita della gloria. Con queste parole, che vogliono essere per tutti un sincero augurio, un conforto e un incoraggiamento io saluto voi, cari malati, i medici e operatori sanitari e le suore del san Carlo, mentre ben volentieri imparto la mia benedizione apostolica, estensibile a tutte le persone che vi sono care.

 

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