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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL COLLOQUIO SUL TEMA
«I CREDENTI IN UNIONE SOVIETICA OGGI»

Sabato, 26 marzo 1988

 

1. Sono lieto di accogliere i partecipanti al colloquio sul tema: “I credenti in Unione Sovietica oggi”, organizzato dal Centro Russia Ecumenica, insieme con l’Associazione Internazionale dei Diritti dell’uomo e con il Comitato Italiano di Helsinki.

Voi provenite da diverse parti del mondo, appartenete a diverse confessioni religiose e portate diverse esperienze di vita. Ma qui vi accomunano la riflessione e l’impegno per un valore che trascende ogni spazio geografico e culturale, un valore di grande rilevanza umana e sociale: la fede in Dio e la libertà di professarla e di praticarla in tutte le sue esigenze.

Oggi i diritti fondamentali dell’uomo costituiscono un patrimonio comune alla maggior parte degli ordinamenti civili ed il principio del loro rispetto e della loro protezione è recepito nelle carte costituzionali, così come in importanti documenti internazionali. È un patrimonio che appartiene in primo luogo e soprattutto alla coscienza di milioni di uomini e donne, i quali aspirano a vivere una vita più libera e più umana, nella giustizia e nella pace.

2. Tra questi diritti fondamentali, tra queste aspirazioni comuni ai fratelli ed alle sorelle di tutto il mondo, la libertà religiosa occupa un posto particolare. Essa risponde alle esigenze più profonde della coscienza personale, tocca nell’intimo il cuore dell’uomo, che nella propria fede trova il senso più alto della sua vita individuale e dei suoi rapporti con gli altri. Possiamo dire che questa libertà è per la vita dello spirito ciò che l’aria è per il respiro del corpo.

Sembra incredibile che un diritto di libertà così alto, così profondamente umano, sia in varie parti del mondo - spesso contraddicendo le stesse formulazioni costituzionali - male interpretato o apertamente conculcato.

In tal modo i credenti diventano oggetto di sospetto, di sfiducia, quasi che fossero meno affidabili degli altri cittadini. Eppure è vero il contrario: proprio perché mette la sua esistenza sotto il segno di Dio, il credente è stimolato a vivere nella bontà, nella giustizia, nella verità. Dal suo intimo rapporto con Dio scaturisce un nuovo rapporto con gli altri, fondato su valori di fraternità e di solidarietà, di senso di responsabilità, di preoccupazione per il bene comune, di rispetto per gli ordinamenti civili. Per i discepoli di Cristo, tutto questo si riassume nel “comandamento nuovo” datoci dal Signore, il comandamento della carità.

Voi rivolgete la vostra attenzione ai credenti che vivono in difficoltà, per un senso di solidarietà umana e, io credo, anche mossi dall’amore fraterno ispirato dalla convinzione religiosa di ciascuno: quell’amore fraterno che, come ho detto nella lettera apostolica Euntes in Mundum, ci fa partecipi e solidali nella gioia anche della Chiesa sorella del Patriarcato di Mosca, che si prepara a celebrare il Millennio del grande evento cristiano del Battesimo della Rus’.

La dimensione della solidarietà, che non conosce distanze né frontiere, è propria della fede religiosa, in particolare di quella cristiana. Al credente, infatti, non basta vivere individualmente il dono della fede. La fede, quando è autentica e vitale, lo pone in relazione stretta con gli altri credenti, assieme ai quali egli forma una comunità. Colui che possiede il bene di una fede in Dio. necessariamente è sollecitato a testimoniarlo nella vita, a condividerlo con gli altri, a farlo crescere nei cuori.

La religione vissuta in piena libertà, in tutte le esigenze personali e comunitarie, contribuisce alla serenità degli spiriti e ad una più forte unità tra gli uomini. Perciò essa è un fattore di pace, di sviluppo, di collaborazione al bene comune, come ho voluto ricordare nel messaggio per la Giornata della Pace del 1° gennaio scorso e, ancora recentemente, nell’enciclica Sollicitudo Rei Socialis.

Sono convinto che ogni iniziativa che tende ad approfondire questo tema, ogni sforzo in difesa della libertà religiosa, ogni gesto di solidarietà verso i fratelli e le sorelle che vi aspirano senza poterne godere pienamente, è un contributo alla pace e ad una più serena convivenza degli uomini e dei popoli. Per questo auguro a ciascuno di voi di essere un costruttore di quella pace vera, ardentemente desiderata ed attesa, che nasce prima di tutto nei cuori e nelle coscienze.

Con la mia apostolica benedizione.

 

© Copyright 1988 - Libreria Editrice Vaticana

 



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