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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DEL CIAD
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Venerdì, 14 ottobre 1988

 

Cari fratelli nell’episcopato.

1. Sono lieto di ricevervi qui per la vostra visita “ad limina”, e ringrazio di cuore Monsignor Charles Vandame, presidente della Conferenza episcopale del Ciad, di essersi fatto gentilmente vostro portavoce. Salutandovi cordialmente, raggiungo con il pensiero le vostre quattro comunità diocesane di N’Djamena, Moundou, Pala e Sahr, per le quali formulo, nel ministero che ci accomuna, ferventi auspici di speranza, benessere e pace.

Questo pellegrinaggio alle tombe degli apostoli ravvivi ancor di più la vostra fede personale e rinnovi il vostro zelo di pastori al servizio del Popolo di Dio che è nel Ciad!

Espressione visibile del movimento vitale tra la Chiesa universale e le Chiese particolari, la visita “ad limina” è un incontro tra i Vescovi di una Chiesa locale e il Vescovo di Roma, ciascuno con una responsabilità insostituibile. In realtà, l’uno e l’altro rappresentano il “noi” della Chiesa, e queste visite segnano un momento privilegiato della comunione che determina profondamente la sua natura.

Nell’ambito degli incontri a Roma tra i pastori, si realizza uno scambio tra ciò che è particolare e ciò che è universale, dove ciascuna delle parti dà alle altre il beneficio dei suoi doni.

2. Tra i doni da voi portati, c’è la testimonianza dell’attaccamento dei fedeli del Ciad. Ne sono molto colpito, tanto più che conosco le prove attraverso cui è passata la vostra popolazione: i lutti e le distruzioni subite a causa della guerra, la degradazione del tessuto sociale che ne è risultata, per non parlare delle sventure troppo abituali dovute alla siccità cronica, alle invasioni di cavallette e alla carestia.

Tuttavia, oggi rendo grazie a Dio perché dalla vostra ultima visita, il Paese gode di una certa tranquillità e di una pace relativa, dopo gli anni di caos e guerre.

In occasione di questo incontro, vorrei dire a voi e alle vostre comunità una parola di incoraggiamento a credere anzitutto all’amore di Dio per il suo popolo e al suo disegno di pace per gli uomini.

Un primo segno di speranza, cari fratelli, è l’unità della vostra Conferenza episcopale; voi avete tra voi rapporti personali, vi consultate per le iniziative pastorali e vi fate visita malgrado le considerevoli distanze e gli in convenienti del viaggiare in questa parte del mondo. La vostra Conferenza riceve il contributo generoso di tre vostri predecessori, ancora attivamente impegnati, cui rendo fraterno omaggio.

Un altro segno di speranza, è il vostro popolo, il cui atteggiamento aperto al bene è incoraggiante e che dà prova di un vero dinamismo, con grande passione per il lavoro.

3. Si nota una crescita del numero delle vocazioni sacerdotali provenienti dal Ciad e, in misura minore, un inizio di sviluppo della vita religiosa.

Aumenta il numero dei candidati che entrano ogni anno in seminario e me ne rallegro con voi. Certo occorre un giusto discernimento per verificare la rettitudine delle motivazioni, e so che voi curate che restino ristretti i criteri di ammissione. In effetti il bisogno di operai per la mietitura è talmente grande che esiste il rischio di cercare di avere dei sacerdoti ad ogni costo, con il pericolo che ciò avvenga a detrimento della qualità del clero.

Voi sensibilizzate le comunità cristiane sull’importante problema delle vocazioni, e vi sforzate di far scoprire il loro ruolo nella crescita e nel sostegno materiale a quelli che rispondono alla chiamata di Dio. Auspico anche che voi continuiate a educare i sacerdoti a una vita di semplicità evangelica e ad evitare ambiguità, nella formazione data, sulla serietà con cui i seminaristi devono affrontare i problemi della castità nel celibato.

Infine, ho appreso con gioia che tutti i vostri seminaristi grandi saranno presto accolti nel grande seminario san Luca di N’Djamena.

4. Leggendo i vostri rapporti quinquennali, mi pare che due campi dovrebbero ricevere in particolare la vostra sollecitudine pastorale: la famiglia e la formazione dei laici.

Come in altri Paesi africani, la famiglia e il matrimonio conoscono delle difficoltà. Si tratta di istituzioni indebolite a causa di diversi fattori, come l’evoluzione della società, il problema della dote e la comparsa di un nuovo genere di poligamia. Conviene ricordare le esigenze del matrimonio per un cristiano, cercare di collocarle nella linea dei valori del matrimonio riconosciuti dagli africani, come la fedeltà, la fecondità, il rispetto della vita, l’educazione dei figli.

Già nel 1980, voi constatavate, con i Vescovi del Centrafrica e del Congo, la necessità di “ridare pienamente posto alla famiglia nella pastorale”. Desidero incoraggiarvi nella fedele promozione dell’insegnamento della Chiesa sul matrimonio. È necessario - come dappertutto - far sì che nel Ciad si veda nella famiglia una comunità d’amore atta, in maniera unica, a insegnare e trasmettere dei valori culturali, etnici, sociali, spirituali e religiosi essenziali per lo sviluppo dell’uomo.

5. Il secondo ambito che dovrebbe attirare la vostra attenzione di pastori è quello della formazione dei laici, per una fede adulta e autentica.

Nel Ciad, la Chiesa è cresciuta piuttosto in fretta senza che, per questo, il messaggio evangelico abbia avuto il tempo di essere assimilato a sufficienza dai battezzati. Così, desidero invitarvi a continuare l’annuncio della buona novella nel Paese e, nello stesso tempo, a dare a tutti i fedeli la formazione integrale, ritenuta una priorità pastorale dal Sinodo dei Vescovi dell’anno scorso.

Comprendano i laici sempre meglio la loro vocazione a una vita di santità e sappiano che, ricevendo il Battesimo, la Cresima e l’Eucaristia, si impegnano a seguire Cristo e rendergli testimonianza nella loro vita quotidiana e professionale! Essi faranno in modo che la luce del Vangelo illumini le loro attività secolari, come la politica, la sanità, la cultura, la scienza o i mezzi di comunicazione sociale, e scopriranno la necessità di lavorare con più giustizia, praticando le virtù di onestà e coscienza professionale, nel reciproco rispetto e nella pace!

Infine, perché i ciadiani si sentano sempre più a loro agio nella Chiesa, è utile rivolgere l’attenzione pastorale alle tradizioni religiose africane del vostro popolo. Molti cristiani, soprattutto nel momento della prova, sono ancora attirati dalle pratiche della religione tradizionale; così è utile che i messaggeri del Vangelo ne abbiano una conoscenza adeguata per meglio identificare i bisogni spirituali fondamentali delle persone e dar loro una risposta evangelica. Secondo le raccomandazioni del Concilio Vaticano II, vi incoraggio a ricercare in quali modi le consuetudini, la concezione della vita e la struttura sociale possono essere conciliati con il costume espresso nella rivelazione divina (cf. Ad Gentes, 22).

6. Tra gli elementi che caratterizzano la mentalità religiosa africana, c’è la visione spirituale della vita e il simbolismo. Non c’è qui forse un invito a sviluppare sempre più una preghiera liturgica di buona qualità, per “far crescere ogni giorno più la vita cristiana tra i fedeli” (cf. Sacrosanctum Concilium, 1)? La liturgia, in effetti, rafforza le energie dei battezzati e, alla scuola dello Spirito Santo, forma quei veri adoratori che il Padre cerca. Attraverso una liturgia degnamente celebrata, secondo la disciplina della Chiesa, il popolo cristiano rinnova la sua vitalità. Continuate, cari fratelli, nella vostra qualità di grandi sacerdoti delle comunità di fedeli a voi affidate, a coinvolgere nella preghiera quelli di cui avete la responsabilità: prima di tutto i sacerdoti, cui dovete assicurare le risorse spirituali necessarie; i religiosi e le religiose, che hanno tanto più bisogno della vostra sollecitudine per il fatto che la vita consacrata non è che agli inizi nelle vostre diocesi; infine i laici cristiani, che manifestano il desiderio di una formazione cristiana più solida, in vista di un miglior impegno missionario.

7. Per quanto riguarda il dialogo con i non-cattolici, vi incoraggio a continuare i vostri sforzi per far vivere cristiani e musulmani in piena armonia. Auspico una reale collaborazione al servizio della società, nella mutua comprensione e benevolenza. Le vostre opere cattoliche siano luoghi di incontro, di scoperta dell’altro, perché sia favorita la pace nella nazione e perché il Ciad, che ha fatto la triste esperienza della guerra, diventi costruttore di pace!

8. Sono lieto di constatare i progressi delle relazioni tra Chiesa e stato, come testimonia, tra l’altro, lo statuto delle “Scuole Cattoliche Associate”, che permette una positiva collaborazione nell’importante campo dell’educazione. I giovani hanno particolarmente sofferto per la guerra: così la cura della loro educazione è una priorità per dare solide fondamenta alla società ciadiana di domani.

“Una delle caratteristiche della Chiesa nel Ciad - notava monsignor Vandame - è il suo forte impegno per lo sviluppo”. Mi rallegro del contributo effettivo dei cattolici a servizio dei loro connazionali, soprattutto nel campo dell’agricoltura e in quello della sanità, e vi incoraggio in questa strada affinché siano superate le conseguenze disastrose della guerra civile.

9. Mentre vi assicuro che vi sono vicino nei vostri sforzi pastorali, prego Dio di confermarvi nella fede e benedico di tutto cuore le vostre persone, tutti quelli che collaborano con voi in ciascuna delle vostre diocesi, e tutto intero il popolo del Ciad!

 

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