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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI GIOVANI DELL’AZIONE CATTOLICA ITALIANA

Sabato, 24 settembre 1988

 

Carissimi giovani dell’Azione Cattolica Italiana.

1. Vi saluto con gioia uno ad uno e vi dico che sono assai lieto di incontrarvi tanto numerosi in questo Palazzo dello Sport.

Vi ringrazio del dono che mi fate con questa vostra visita e confido che l’esperienza di comunione, che oggi vivete, susciti in voi echi profondi, capaci di incidere efficacemente sull’orientamento della vostra esistenza.

Possa questo incontro inserirsi come un momento forte e costruttivo nella vostra storia di giovani e di giovani laici animatori della fede cristiana nelle mille contrade d’Italia, da cui provenite.

Saluto i responsabili dell’associazione, in particolare sua eccellenza monsignor Antonio Bianchin, vostro Assistente Generale, e il suo nuovo collaboratore, don Antonio Lanfranchi, il quale per mandato della Conferenza episcopale assume l’incarico di Assistente Centrale del Settore Giovani dell’Azione Cattolica Italiana, succedendo a monsignor Ignazio Sanna, che ringrazio per il generoso servizio svolto in questi anni tra voi. Ringrazio anche la signorina Maria Campatelli, vice Presidente nazionale del Settore Giovani, per il significativo indirizzo che ha voluto rivolgermi a nome di tutti voi.

2. Il tema che vi raduna è espresso con uno slogan stimolante: “Per una festa senza fine. Il segreto della libertà”: è una frase, questa, che vede accostate due parole chiave della nostra fede e di ogni autentica esistenza umana: festa e libertà.

È importante che sappiate andare oltre la suggestività dello slogan, cogliendo la verità profonda che esso contiene. La proposta cristiana - dicevo recentemente ai giovani di Torino (cf. “Allocutio ad iuvenes in urbe taurinensi habita”, die 3 sept. 1988) - non può dirsi afferrata quando ci si trattiene sull’onda del sentimento, o ci si accontenta di una religiosità vaga e indistinta. Il dispiegarsi di parole impegnative, e perfino affascinanti, non può sostituire il possesso reale di ciò che le parole evocano.

Soffermiamoci dunque un poco sulla parola che, nello slogan, si propone come un obiettivo da raggiungere, cioè una “festa senza fine”. Occorre subito precisare che la festa, per il cristiano, non è una situazione che si annuncia raggiungibile solo in un domani imprecisato. Noi cristiani siamo già in festa, poiché viviamo non a caso in quel “giorno” che, secondo le parole di Gesù, “Abramo vide e se ne rallegrò” (cf. Gv 8, 56).

Per noi la profezia è adempiuta, e la promessa realizzata. La nostra festa nasce dalla presenza del Signore che, da allora e per sempre, riempie i nostri giorni e i nostri cuori. Il cristiano è in festa perché ha già incontrato il Tutto: in un certo senso si può quindi dire che non gli manca nulla. I suoi occhi sono pieni di stupore, nel suo animo abita la speranza che non delude. Egli è nella gioia perché circondato e compenetrato dalla luce che proviene dall’adorabile persona di Gesù. Certo, il cristiano vive contemporaneamente nell’attesa: tutta la sua esistenza terrena è un pellegrinaggio verso quella patria che non è di questo mondo e nella quale abita soltanto la pienezza della gioia. Anzi, in questo pellegrinaggio il cristiano sa di dover camminare al seguito di Gesù, sulla via della croce. E tuttavia egli è già nella gioia, appunto perché cammina col suo Signore.

Il cristiano, in particolare il giovane cristiano, è già dunque in uno stato di festa: avendo scoperto il “tesoro” e la “perla” preziosa, vende per essi ogni altra cosa e se li procura (cf. Mt 13, 44 s). Egli decide cioè di impegnare tutto quello che ha, di impegnare addirittura se stesso, perché la festa non finisca. Rimane aperto al “di più” e diventa capace di scelte ardimentose, al fine di essere sempre più radicalmente in festa. Come la biblica “fidanzata” dinanzi al “diletto” che viene (cf. Ct 2, 8), egli tende le braccia per essere ormai sempre in festa. Possiamo dire paradossalmente che lo stato di festa, mentre fa rivivere sul volto del giovane i segni della figliolanza perduta, cancellando ogni traccia di devastazione e di rovina, contemporaneamente gli apre ulteriori possibilità di festa, amplia sconfinatamente gli orizzonti del suo cuore. Come le vergini del Vangelo attendono nella notte lo sposo, che forma tutta la loro festa, così il giovane cristiano sa vegliare e sacrificarsi per non perdere l’occasione di partecipare alla festa vera (cf. Mt 25, 1-13).

3. Tuttavia, è qui implicito necessariamente un “segreto”, come dice lo slogan del vostro incontro. Si tratta della libertà, o meglio di un certo modo di intendere la libertà. “Che cosa significa essere liberi?”, chiedevo nella “lettera ai giovani”, in occasione dell’anno internazionale ad essi dedicato. E subito spiegavo: “Essere veramente liberi non significa affatto fare tutto ciò che mi piace, o ciò che ho voglia di fare. La libertà contiene in sé il criterio della verità, la disciplina della verità. Essere veramente liberi significa usare la propria libertà per ciò che è un vero bene . . . significa essere un uomo di retta coscienza, responsabile, essere un uomo «per gli altri»” (“Epistula Apostolica ad iuvenes internationali vertente anno iuventuti dicato”, 13, die 31 mar. 1985: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII, 1 [1985] 788). In altre parole, se volete essere in una festa senza fine, è necessario - ed è impresa grandiosa - che investiate la vostra libertà nell’avventura della liberazione dal male e della crescita dell’uomo nuovo che è nato in voi al fonte battesimale. La dinamica della festa nasce nell’abbandono del credente, giorno dopo giorno, alla grazia dello Spirito Santo che abita nel suo cuore.

È vero che l’andare verso Dio non esige che si voltino le spalle al mondo: la fede in Cristo - dicevo ai giovani di Torino - non aliena dalla modernità, dalla creatività. Ma a patto che immediatamente si aggiunga l’altro aspetto di questa verità, cioè che il vero modo per non girare le spalle al mondo è quello di correre verso l’incontro col Signore.

Una festa vera e sovrabbondante la sperimenterete già qui in terra se, imboccando la strada di un robusto e coerente radicalismo evangelico, farete quello che Gesù ha comandato ai suoi amici di fare: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato” (cf. Gv 13, 34-35).

4. Desidero aggiungere una parola riguardo al metodo di lavoro che vi siete dati per questo incontro. So infatti che i giovani di Azione Cattolica di ciascuna diocesi hanno stabilito un gemellaggio con i colleghi giovani di un’altra diocesi e, nello stesso tempo, con i giovani di una parrocchia romana.

È uno stratagemma simpatico che vi fa cogliere, facendone l’esperienza, una realtà profonda e gioiosa - festosa, si potrebbe dire - quella dell’unità che vi raccoglie tutti, simultaneamente e in ogni direzione, nella Chiesa.

Dalle vostre diverse comunità ecclesiali di appartenenza avete sentito il richiamo, anzi, l’attrattiva che esercitano la città e la Chiesa di Roma, e siete venuti. Ora che siete qui, percepite la tensione doppiamente apostolica che già i padri dei primi secoli riconoscevano a questa città, centro di irradiazione missionaria e nel contempo riferimento privilegiato per l’unità ecclesiale (cf. S. Irenaei “Adv. haereses”, 3, 3, 2). Qui infatti c’è la tomba dell’apostolo a cui il Signore affidò il servizio primaziale nella Chiesa. Qui c’è la Cattedra di verità, sulla quale si perpetua il compito assegnato a Pietro: “Conferma i tuoi fratelli” (Lc 22, 32).

Ebbene, con le iniziative che avete in programma in questi giorni, voi date risalto proprio al legame che unisce la Chiesa di Roma con tutte le Chiese sparse in Italia e nel mondo. In primo luogo, voi potete meglio comprendere come “la Chiesa che è in Roma debba sempre misurare se stessa con il metro della comunità universale, in mezzo alla quale il Signore l’ha posta” (“Homilia ad Missam in a. D. 1987 conclusione”, 5, die 31 dec. 1987: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 [1987] 1673). L’accorrere dei fedeli e dei pellegrini, al pari del vostro accorrere odierno, sta a dire che “la Chiesa romana deve guardare a se stessa non soltanto con i propri occhi, ma in pari tempo con gli occhi di tutti coloro che la guardano . . . e hanno diritto di guardare e di esigere” da essa (“Homilia ad Missam in a. D. 1987 conclusione”, 5, die 31 dec. 1987: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 [1987] 1673). Mi auguro pertanto che, grazie alle parrocchie da cui provenite, Roma sappia essere nei vostri confronti all’altezza della sua vocazione. Che sia ospitale e “servizievole”, partecipe essa stessa dell’ufficio “petrino”, che è anzitutto ministero di servizio.

Ma voi, a vostra volta, con la vostra vivacità di fede, testimoniate che il mistero della Chiesa, “una, santa, cattolica e apostolica”, è presente in ogni Chiesa particolare in tutto il mondo (cf. Lumen Gentium, 26). Da qui proviene la varietà delle esperienze di cui siete portatori e in cui la cattolicità si esprime. Occorre però aver chiaro che, all’interno della cattolicità, “le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa” (Lumen Gentium, 13). Qui si esprime la missione singolare di questa Chiesa di Roma, dove è posta la Cattedra di Pietro, la quale, presiedendo alla comunione universale della carità, “veglia affinché ciò che è particolare non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva” (Lumen Gentium, 13).

Pertanto, il ministero di Pietro e dei suoi successori raggiunge ciascuna delle vostre Chiese particolari e si esprime in esse non “dall’esterno”, quasi fosse una struttura giustapposta e superflua, bensì “dall’interno”, dall’“essenza stessa di ogni Chiesa particolare” (“Angelopoli, ad episcopos Civitatum Foederatarum Americae Septemtrionalis coram admissos”, die 16 sept. 1987: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 [1987] 552 ss). Raggiunge anche voi, carissimi giovani, le vostre persone e le vostre associazioni, con il vincolo dell’amore di Cristo e la sollecitudine del servizio pastorale, in perfetta comunione e reciproca collaborazione con i vostri Vescovi, che guardano a voi con grande speranza e cordiale fiducia.

5. Occorre pertanto che voi prendiate rinnovata coscienza del valore che hanno ed hanno avuto sempre per la vostra associazione il riferimento e l’attaccamento ai pastori. Fin dalle sue origini, l’Azione Cattolica Italiana ha vissuto e operato in stretto legame di speciale collaborazione con i Vescovi e i sacerdoti, fin dall’inizio ha avuto una particolare dedizione al successore di Pietro. Un’intuizione e una scelta che furono profetiche e che ora tocca a voi sviluppare, con sempre nuova fedeltà e sempre nuova intraprendenza apostolica.

Approfondirete così, secondo il modo che vi è proprio, in quanto membri della grande famiglia dell’Azione Cattolica, la vocazione e missione dei laici cristiani, secondo l’insegnamento del Concilio, ora ripreso dall’ultimo Sinodo dei Vescovi. Dice infatti la costituzione Lumen Gentium: oltre l’apostolato che spetta a tutti i fedeli, “i laici possono anche essere chiamati in diversi modi a collaborare più immediatamente con l’apostolato della gerarchia, alla maniera di quegli uomini e di quelle donne che aiutavano l’apostolo Paolo nel Vangelo, faticando molto per il Signore” (cf. Fil 4, 3; Rm 16, 3 ss) (Lumen Gentium, 33). Uno di questi modi, e certamente tra i più significativi, è quello dell’Azione Cattolica. Non esitate dunque a lavorare in stretta e docile sintonia col Papa, con i Vescovi, con i sacerdoti. Date ai vostri fratelli laici l’esempio di un’obbedienza piena, gioiosa, operosa, frutto di libera determinazione. Non abbiate timore di abdicare così a qualcosa della vostra laicità, della vostra dignità e libertà di laici cristiani: chi più direttamente collabora con i pastori, assumendo come proprio fine lo stesso fine apostolico della Chiesa, e agisce per conseguenza sotto la superiore direzione della gerarchia (Apostolicam Actuositatem, 20), non per questo risponde in modo meno pieno alla propria vocazione di laico cristiano. Al contrario, esprime questa vocazione in una forma particolarmente preziosa per l’edificazione della comunità ecclesiale, per l’opera di “implantatio evangelica” a cui oggi, anche in Italia, la Chiesa è chiamata per la testimonianza cristiana in una società ampiamente secolarizzata.

6. Carissimi giovani di Azione Cattolica, desidero terminare queste parole esprimendovi ancora il mio affetto e la mia fiducia. Nello stesso tempo vi chiedo di tenere sempre viva in Italia la genuina tradizione dei giovani cattolici, che tali sono nella vita e col cuore. Vi chiedo di farlo incrementando, singolarmente e in gruppo, lo slancio della missione, perché la “festa” è per sua natura “effusiva”, ha bisogno di espandersi, di coinvolgere e di comunicare. Siate giovani trascinatori di altri giovani nelle vostre comunità.

Maria santissima, che è beata perché ha creduto, vi protegga sempre con la sua materna intercessione e vi assista sempre sulle vie della fede, della preghiera, della missione.

Il Papa vi vuol bene e vi benedice.

 

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