DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI GIOVANI DELL’«UNIV ’89»
Cortile San Damaso - Pasqua di Risurrezione
Domenica, 26 marzo 1989
C’è una parola che si ripete in questi giorni e durante tutta l’ottava di Pasqua: “Haec dies quam fecit Dominus”. Si potrebbe meditare a lungo sui possibili contenuti di questa breve frase, su questa parola pasquale della Chiesa: “Questo è il Giorno che Dio ha fatto”. Questo giorno, questo tempo, anzi, questa pienezza dei tempi venuta da Dio si è manifestata nella Risurrezione di Cristo. É chiaro che questo evento, questa Risurrezione non poteva venire dall’uomo, non poteva venire dal creato. Vediamo che il creato tende alla morte ed anche l’uomo è destinato a morire, in questa terra, perché è sottomesso alle leggi del creato. Rovesciare queste leggi, e causare una vita dopo la morte non poteva farlo che Dio. Così si spiega più semplicemente il contenuto di questa parola pasquale: “Dies quam fecit Dominus”.
Ma questa parola raccoglie tanti altri contenuti, che si potrebbero trovare ripetendo, meditando, contemplando questo Giorno in cui si vede l’iniziativa di Dio. Noi, vivendo i nostri giorni, possiamo pensare che tutto venga dalle leggi della natura e che poi tutto sia lasciato alle iniziative dell’uomo, alla creatività dell’uomo: “Opus humanum”, tutto il mondo, tutta la civiltà, la cultura, la scienza, la tecnica, tutto questo è l’uomo.
Invece, davanti a questo evento pasquale che è la Risurrezione, l’uomo deve fermarsi e confessare sinceramente quanto lui stesso non è in grado di fare. Questo evento supera la capacità dell’uomo. Che cosa è quindi questo evento? Se l’uomo non sa pronunciare la parola “Dio”, certamente per lui è difficile; cercherà diverse spiegazioni per non accettare di fatto l’evento. Ma, se ha la buona volontà, se ha la fede, alla fine dirà: “questo è opera di Dio”, “Opus Dei”.
Questo Giorno è pienezza dei tempi; è pienezza di tutti i giorni, di tutti i tempi e di tutti i secoli; questo Giorno della Risurrezione è il giorno in cui l’uomo è quasi costretto a pensare su tutto, su tutta la creazione e su se stesso come sull’“opera di Dio”. Questa è la forza e la profondità della giornata odierna.
Questa giornata sconvolge il nostro modo di pensare, il nostro ritmo di vivere e di agire e domanda a noi di vedere anche tutto ciò che è “opus naturae”, o “opus humanum” alla luce dell’“opus divinum”.
Questo sconvolgimento, che porta con sé questa giornata di Risurrezione, spiega la tremenda conversione di Saulo di Tarso, e non solamente la sua conversione, ma anche quella di tanti altri. Se l’uomo, la persona umana, con la sua riflessione e con la sua sensibilità, si trova davanti a questo evento, a questo fatto che è la Risurrezione di Cristo, allora deve essere sconvolto. Deve cominciare, deve entrare in una conversione, deve cominciare a pensare su tutto: sul creato e su tutto ciò che è umano. Deve pensare con le categorie della attività di Dio, dell’opera di Dio, dell’“Opus Dei”.
Non faccio propaganda per l’“Opus Dei”. Cerco soltanto di capire e di spiegare quale poteva essere la prima intuizione di questo nome, di questa denominazione. Poi mi spiego perché voi giovani di tutte le parti del mondo, di diversi continenti, università, nazioni e lingue, vi date appuntamento a Roma durante il periodo prepasquale.
Vi ringrazio per questa vostra annuale presenza. Vi auguro di continuare con quella intuizione di fondo che ci porta la giornata odierna: vedere sempre più, sempre più profondamente ciò che è creato e segue le leggi della natura: ciò che è umano, ciò che è mio, personale, come “Opera di Dio”, come iniziativa di Dio, presenza di Dio, grazia di Dio.
Vi auguro questa conversione, questo sconvolgimento, questa conversione profonda che non diminuisce niente del creato, dell’umano, anzi lo aumenta, lo approfondisce, lo pone in tutta la sua piena dimensione, perché tutte le cose create, le dimensioni umane hanno la loro pienezza in Dio e da Dio.
Vi auguro di continuare su questa strada. Voi siete venuti qui a Roma durante questa settimana santa, che ci prepara alla giornata di oggi, per essere insieme, meditare insieme, pregare insieme, per avvicinarvi tra voi, per approfondire le vostre amicizie, la vostra comunione umana e cristiana. Ogni anno vi incontro e sono molto lieto per questo incontro. Vi ringrazio per tutto quello che portate. Portate sempre un frutto delle vostre riflessioni, delle vostre preghiere e, nello stesso tempo, della vostra giovinezza. Portate al Papa anche un po’ di divertimento.
Dovrei ringraziare tutti. Ogni vostra testimonianza è giunta da una parte del mondo, in lingua diversa e rappresenta un’altra cultura, un’altra tradizione; rappresenta altre sofferenze di popoli e di giovani.
Tutto ciò che avete testimoniato è vero e voi l’avete portato insieme in questo cortile di san Damaso per mettere in rilievo tutto ciò che è opera dell’uomo e deve diventare opera di Dio. Tutto ciò che è bellezza, pensiero, scienza, inventività, creatività, università, tutto questo è alla fine “Opus Dei”, “Opera di Dio” e quando viene vista così, trattata così, attinge la sua piena dimensione.
Attraverso voi voglio anche salutare e abbracciare tutti i giovani dei vostri ambienti, delle vostre scuole, delle vostre università, delle vostre famiglie. Vorrei esprimere questa mia preghiera e questa mia simpatia, questo mio abbraccio a tutti i vostri coetanei, alle vostre famiglie, ai vostri professori, maestri, educatori, a tutti coloro che prendono parte alla vostra formazione; alla vostra prelatura che conosce bene questa vocazione educativa ed ama i giovani, ama gli universitari e cerca di contribuire alla loro cultura e soprattutto alla loro fede, alla loro conversione, al loro incontro con Cristo: incontro che è sempre fruttuoso e creativo di un giorno nuovo da creare e da convertire in senso metafisico, ontologico. Vi auguro un buon ritorno alle vostre case, ai vostri ambienti, nei vostri paesi.
Il Signore vi guidi e vi assista sempre.
Sia con tutti voi la sua grazia.
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