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VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA
(1°-9 GIUGNO 1991)

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI RAPPRESENTANTI DEL LAICATO POLACCO

Cattedrale di Olsztyn - Giovedì, 6 giugno 1991

 

Cari fratelli e sorelle!

1. Ha parlato San Pietro Apostolo nella sua prima lettera. Sono lieto di poter essere in mezzo a voi testimone delle sue parole. Esse hanno in sé particolare forza della verità. Si può dire che rispecchino ciò che una volta Cristo disse proprio a Pietro: “Tu sei Pietro (cioè roccia) e su questa pietra edificherò la mia Chiesa (Mt 16, 18). Le parole dell’Apostolo Pietro contengono la fondamentale verità sulla Chiesa, sull’edificazione della Chiesa. Costantemente ritornano nella liturgia. Sono diventate anche il riferimento chiave dell’ecclesiologia del Concilio Vaticano II.

Proprio le parole che oggi sono state qui ricordate.

2. “Voi siete . . . il popolo che Dio si è acquistato” - scrive l’Apostolo - cioè “la nazione santa”, “la stirpe eletta”. “Siete . . . il Popolo di Dio . . . avete ottenuto misericordia” (cf. 1 Pt 2, 9-10). Dio “vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce” (Ivi, v. 9). Siete dunque il Popolo di Dio grazie all’iniziativa salvifica di Dio stesso: del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Siete il Popolo di Dio per quell’amore con cui il Padre vi amò eternamente in Cristo, suo Figlio unigenito: siete il Popolo di Dio poiché quel Figlio, fattosi Uomo, Figlio di Maria Vergine, vi ha riscattati a prezzo della morte ignominiosa sulla croce, e, in seguito vi ha resi partecipi della sua risurrezione: di “una nuova vita” nello Spirito Santo. Siete il Popolo di Dio per opera di questo Spirito di verità, il Paraclito. Egli vi è stato dato dall’amore di Dio, che, come dono dello Spirito Santo, è “riversato nei vostri cuori” (cf. Rm 5, 5).

Siete dunque il Popolo di Dio per iniziativa e per dono del Dio vivente. Questa non è una proprietà che l’uomo e la società umana avrebbe ereditato in senso etnico per natura stessa.

Non è soggetta alle verifiche della sociologia empirica. È frutto dell’Emmanuele cioè del Dio con noi. Questa è una realtà concepibile soltanto in categorie di grazia, di rivelazione e di fede.

3. Allo stesso tempo, nella realtà “Popolo di Dio” è contenuto tutto ciò che costituisce l’apice dell’umanità: la pienezza della vita e della vocazione di ognuno e di tutti.

L’appartenenza al Popolo di Dio si realizza mediante la partecipazione creativa alla missione e alla autorità di Cristo stesso. Dobbiamo dunque “proclamare le opere meravigliose di colui che ci ha chiamato” partecipando alla missione profetica di Cristo. Come “sacerdozio regale” (cf. 1 Pt 2, 9) dobbiamo partecipare al suo sacerdozio: unico e irripetibile, unendoci al suo sacrificio, che è il sacrificio della croce e dell’Eucaristia, e costantemente si rinnova mediante il servizio sacerdotale dell’altare. Infine dobbiamo, a somiglianza di quel re che è il Cristo, compiere un servizio multiforme per il rinnovamento di tutto l’ordine temporale secondo il salvifico disegno di Dio stesso - “servire infatti vuol dire proprio regnare” (cf. Lumen Gentium, 36).

Cari fratelli e sorelle! Bisogna che sovente leggiate e meditiate le parole dell’Apostolo Pietro nel contesto del Concilio, specialmente di quello contenuto nella Costituzione sulla Chiesa, nel decreto sull’apostolato dei laici e in tutti gli altri documenti. Questo lavoro in terra polacca iniziò venticinque anni fa (insieme alla conclusione del Concilio) e continua. Il rinnovamento della Chiesa nello spirito del Vaticano II è un compito a misura di generazioni.

4. Rendiamo grazie a Dio per questa grandezza dell’impegno apostolico e della responsabilità per la Chiesa che i cattolici laici hanno manifestato e manifestano in Polonia. Nel nostro Paese la fede viene realmente trasmessa a milioni di nostri bambini e della gioventù. Questo è merito prima di tutto dei genitori e dei parenti di questi bambini.

Poiché infatti il sacerdote, il catechista o la catechista faranno poco durante la lezione di religione, se i genitori e i parenti non saranno i principali testimoni della fede, i suoi principali annunciatori.

Pure il livello abbastanza alto di pratiche religiose - per esempio il fatto che la maggioranza dei cattolici polacchi frequenta ogni domenica la Santa Messa - lo dobbiamo al fatto che da noi la fede non cessò di essere una questione comune, specialmente una questione di tutta la famiglia. Del resto dobbiamo molto vigilare su questo carattere cristiano delle nostre famiglie, perché oggi il mondo è attraversato da correnti individualiste - ed esse non evitano la Polonia. Mirano a formare un modello nell’interno delle famiglie in cui la fede diventi un problema talmente privato quasi nascosto davanti agli altri membri della famiglia. Tanto più dunque cerchiamo di rinnovare nelle nostre famiglie il ricordo delle parole di Cristo: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20).

Occorre ancora sottolineare la consapevolezza piuttosto alta dei cattolici di Polonia, che la Chiesa è un nostro grande bene sociale. Nello spazio dell’ultima metà del secolo tale consapevolezza costituì quasi uno scudo di difesa, che aiutò la nostra Chiesa a sopravvivere, e perfino a consolidarsi e a svilupparsi. Da essa proviene anche l’alta generosità dei fedeli; lo spirito di generosità in ogni campo, anche in quello materiale. Può darsi che la coscienza che la Chiesa è il nostro grande bene comune, venga attualmente esposta ad una nuova prova.

Qua e là vengono espresse, in modo a volte suggestivo, i timori e le paure e le critiche sulla Chiesa, come se essa tendesse al dominio e minacciasse la legittima autonomia dei diversi settori della vita sociale e statale.

Il Concilio Vaticano II insegna che “La Chiesa, che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme segno e salvaguardia del carattere trascendente della persona umana. La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane” (Gaudium et spes, 76).

La Chiesa desidera dunque partecipare alla vita delle società come testimone del Vangelo, soltanto come testimone del Vangelo e le sono estranee oggi le tendenze di impadronirsi di un qualsiasi settore della vita pubblica, che ad essa non appartenga.

Parlando dei lati positivi dell’impegno dei laici cattolici nella vita della Chiesa, vorrei anche ringraziare Dio per le migliaia e migliaia di autentici testimoni della fede, presenti nei più svariati posti della nostra vita sociale. Siano rese grazie a Dio per queste migliaia di infermiere e di medici, di operai e di ingegneri, di insegnanti e di uomini di cultura, per migliaia e centinaia di migliaia di persone che esercitano diversi mestieri, che cercano di colmare con la luce della fede il loro lavoro e il loro rapporto verso il prossimo. Tutti questi cristiani, per i quali l’amore costituisce la legge fondamentale della loro vita sono in un modo speciale autentici testimoni di fede.

5. Nel periodo postconciliare sono stati intrapresi da noi non pochi sforzi miranti ad un più profondo inserimento dei laici nella vita della Chiesa e nel suo apostolato. Si è moltiplicato il numero delle persone laiche che studiano la teologia. Inoltre sono stati organizzati numerosi corsi di teologia per laici. I laureati in questi studi e i diplomati in questi corsi, in gran numero aiutano i sacerdoti nella missione docente della Chiesa.

Nella Chiesa polacca si è sviluppata la pastorale specifica e professionale. Grazie a questo, molti si sono consolidati nella loro fede e hanno ritrovato un ambiente che vive autenticamente di fede; grazie a questo molti hanno potuto inserirsi in un comune modo di pensare e di agire nello spirito cristiano, cioè nel modo di pensare e nell’agire pervaso dalla fede e dalla preghiera. Sembra che la pastorale specifica viva oggi una certa crisi, ma questa può essere anche una crisi di crescita, può costituire una chance per ritrovarsi nuovamente: per lasciare quello che è antiquato e ricercare ciò che è migliore e più profondo.

Cari Fratelli e Sorelle, cerchiamo di discernere questa chance e di non sciuparla. Oggi un particolare segno dei tempi è un crescente bisogno di appartenenza a qualche comunità. Specialmente in una grande città spesso l’uomo si sente tremendamente solo e quasi privo della possibilità di un’attiva cooperazione alla formazione della vita sociale, quasi forzato alla passività. Entrare in un’autentica comunità lo aiuta a superare questa carenza e a ritrovare se stesso attraverso un più profondo essere con gli altri e per gli altri. Anche la Chiesa in Polonia si è arricchita di molte nuove comunità. Certamente - potrebbero essere più numerose, ma già ora - grazie allo Spirito, che domina in esse, e anche grazie alla loro diversità - queste comunità formano un nuovo stile di essere cattolici e un nuovo stile di responsabilità per la Chiesa e per la fede: lo stile caratterizzato dalla gioia della fede, dalla partecipazione attiva nella vita della Chiesa, dall’impegno apostolico e da una più profonda sensibilità caritativa.

6. Si può tuttavia rischiare l’affermazione che fino a quando questo nuovo stile di essere membro della Chiesa non scenda nella parrocchia (possibilmente in ogni parrocchia), la maggior parte dei fedeli non lo noterà neppure. Nonostante tutti i grandi successi che ho elencato qui, ritengo che la Chiesa polacca necessita di un rinnovamento, un rinnovamento a misura del Terzo millennio della fede cristiana che sta per giungere. La chiave per questo rinnovamento sta certamente nella formazione di un nuovo stile di essere cattolici.

Cerchiamo di conservare tutto ciò che c’è di buono, ma allo stesso tempo cerchiamo quello che è migliore e più profondo. Godiamo dunque per un relativo alto livello di pratiche religiose ma non ci contentiamo di questo. Cerchiamo di rompere lo stile consumistico e passivo del nostro usufruire dei doni spirituali elargitici dalla Chiesa. È falsa un’immagine della Chiesa nella quale gli ecclesiastici si occupano della distribuzione dei doni spirituali, e ai laici invece spetta soltanto di accettarli.

Non vi è neanche un membro nella Chiesa che Dio non vorrebbe rendere capace di elargire spiritualmente qualcosa agli altri. Dobbiamo solo imparare a discernere questi doni concessi a ognuno di noi perché siano da noi elargiti ad altri, e adoperarci per ottenerli.

Appartenere alla Chiesa vuol dire formare la “communio”, cioè una comunità di persone credenti in Cristo che elargiscono reciprocamente qualcosa. Non si tratta di formare tra i sacerdoti e i laici certi rapporti di partner nel senso negativo della parola. Non si tratta di cancellare la differenza tra sacerdote e laico. Si tratta di scoprire, tutti e ciascuno separatamente, i nostri carismi secondo la propria vocazione. Si tratta di trasformare la Chiesa e ogni parrocchia in una comunità di fratelli e di sorelle, che assumano una responsabilità attiva per la Chiesa e per la causa del Vangelo.

7. Voleste solo, fratelli e sorelle, comprendere ciò che ho appena detto, in uno spirito veramente cristiano. Tutto il tesoro della fede cristiana è Gesù Cristo. Solo quando con tutto il cuore aderiremo a Cristo, il nostro impegno attivo nella Chiesa non sarà un vuoto attivismo di cui nessuno ha bisogno. L’Apostolo Pietro così scrive riguardo a questo: “Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo” (1 Pt 2, 4-5).

Pietra viva. Pietra angolare - Cristo. Si sa che è stato rigettato dagli uomini al momento del Golgota, ma proprio per mezzo del Golgota, per mezzo della croce, è divenuto quella pietra angolare dell’umanità che si sta edificando come cosmico tempio del creato per il Creatore, sconfinato nel tempo e nello spazio. Per dire la verità nel corso di tutta la storia nelle diverse generazioni Cristo è stato rifiutato, rifiutato come “segno di contraddizione” (cf. Lc 2, 34) - e tuttavia continua in questa storia.

Permane nella storia formando la sua essenza e pilastro - proprio quel pilastro attraverso il quale la storia umana, nonostante tutte le diserzioni e negazioni - si eleva verso Dio: verso quei destini eterni che l’uomo e l’umanità hanno in Dio, e solo in Dio. Si innalza a somiglianza di una costruzione sacra. Noi tutti siamo chiamati a diventare “pietre vive” di questa costruzione. “Pietre vive”: tutti coloro che hanno la vita da Cristo. Tutti coloro che elargiscono agli altri la vita che è in Cristo.

Pietre vive” - la definizione biblica di ciò che l’Apostolo chiama il “Popolo di Dio”, e la Chiesa dei nostri tempi intende nel nome “laicato” (dal greco laos, popolo), oppure nella chiamata all’apostolato dei laici.

Cari fratelli e sorelle! Ho meditato insieme a voi le parole di San Pietro che esprimono il germe apostolico stesso di questa chiamata.

E qui finisco anche se so che ci sarebbero molti problemi particolari che si impongono, che si aprono di fronte a noi. Aggiungo solo che sono stato molto strettamente legato alla attività apostolica dei fedeli laici sia in Polonia che presso la Santa Sede. Penso che oggi ci siano nuove possibilità, che sia forse necessaria anche una nuova e molteplice attività. Alcuni campi della vita sociale, dei quali parla chiaramente ad esempio la Costituzione Gaudium et spes - “magna charta” della pastorale e dell’apostolato della Chiesa - erano stati in precedenza chiusi davanti alla Chiesa come laicato. Al massimo alcuni gruppi avevano delle concessioni per fingere che la Chiesa è libera. Oggi, giudicando dai principi della III Repubblica, che sono ancora in continua formazione, ma che già sono stati definiti nelle intenzioni fondamentali, questi diversi campi devono venire aperti davanti alla Chiesa, nel suo significato di Popolo di Dio, cioè davanti ai laici. Oggi deve assolutamente scomparire la situazione di ghetto, che ricordo così bene nei tempi in cui ero io stesso in Polonia e come membro dell’Episcopato Polacco lavoravo soprattutto con i laici.

Esisteva una situazione di ghetto cattolico. Certo questo richiede iniziativa, in modo simile alla vita economica e alla vita spirituale. Qui è necessaria l’iniziativa. Il Signore Gesù rimprovera anche i suoi discepoli, dice frasi come: “I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce” (Lc 16, 8). Ciò è anche per noi un appello, in un certo senso anche un ammonimento. Ci è indispensabile questa iniziativa apostolica molteplice, nei diversi campi che prima erano chiusi e che oggi devono aprirsi, e che ancora, continuamente, così sembra, non sono abbracciati dalla Chiesa, in quanto Popolo di Dio, dalla Chiesa come laici. Auguro oggi che tutte queste questioni, che qui non ho toccato in tutta la loro ampiezza vengano conosciute, ben esaminate e con l’aiuto di Dio sviluppate e realizzate. In ogni caso questa visione della Chiesa, che ci ha lasciato il Concilio Vaticano II è una visione che attribuisce un enorme peso al laicato. Devo riconoscere che ci sono state a volte delle voci sul fatto che ciò avvenga con un certo danno del clero. Non è proprio così in realtà, ma a volte si dice così.

È quindi una grande possibilità storica nella Chiesa dovunque, ed ugualmente nella Chiesa in Polonia, che questa “magna charta” del Popolo di Dio, quale è il Concilio Vaticano II in complesso ed in particolare alcuni documenti, diventino oggetti di intensa riflessione e in seguito di molteplici iniziative, che permettano a tutti i nostri fratelli e sorelle laici, ai cattolici laici di realizzare la parabola di Cristo sul lievito: “Il regno di Dio è simile al lievito”. È proprio questo lievito ad essere necessario nella nostra vita nazionale, in questa nuova vita nazionale. È necessario questo lievito evangelico molteplice.

Ve ne è già moltissimo, ma tanti sono i campi in cui ancora manca. Forse manca in conseguenza dei tempi passati, della situazione che creava condizioni sfavorevoli, ma forse manca anche perché noi non ci siamo aperti in quelle direzioni. Quindi auguro di tutto cuore e per questo motivo ci siamo qui riuniti, e per questo preghiamo, che la parabola del lievito si muti sempre più in realtà nella Chiesa polacca e nella società polacca. Questo è allo stesso modo un compito per l’apostolato. È anche una chiamata per la Chiesa, nel suo significato fondamentale di Popolo di Dio, per queste pietre vive, vive e vivificanti. E fondate sempre sulla pietra angolare che è Cristo.



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