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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì in albis, 29 marzo 1967

 

Incontri del Divino Risorto con gli Apostoli. L’apparizione di Gesù nella Galilea

Diletti Figli e Figlie!

Noi non possiamo dimenticare, parlando a voi dalla tomba dell’apostolo Pietro, la pagina del Vangelo, che Noi abbiamo letta durante la santa Messa, questa mattina, mercoledì dopo Pasqua; pagina impressionante e inebriante, posta a conclusione del racconto evangelico di San Giovanni, nel quale egli ci descrive l’incontro di sette discepoli con Cristo risorto, in una mattina radiosa sul lago di Tiberiade, in Galilea, un Cristo misterioso, ma vivo e reale al punto da provocare su ordine suo una pesca straordinaria, documentata con particolari precisi, e da invitare i discepoli esterrefatti a riunirsi intorno al fuoco, che doveva essere stato acceso dallo stesso Gesù, ed a mangiare con Lui del pane da Lui offerto e del pesce testé arrostito, mentre la presenza misteriosa di Lui teneva gli animi sospesi del piccolo gruppo. «Poi, quando ebbero mangiato - continua il Vangelo - Gesù disse a Simone Pietro: Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu più di costoro?» (Io. 21, 15). Una domanda estremamente carica d’immenso significato, che i conoscitori del Vangelo non cessano d’esplorare e gli amici della psicologia di Cristo non si stancano di indagare. Una domanda affettuosa, ma ammonitrice per Pietro, che aveva con inesperta baldanza professato fedeltà eroica a Gesù, nella notte dell’ultima cena; e poi, poco dopo, tre volte, nel Getsemani, non si svegliò all’accorato invito del Signore di vegliare e pregare con Lui, e tre volte, ancora poco dopo, nell’atrio della casa del sommo Sacerdote, vilmente negò perfino di conoscerlo; e tre volte, singolarissima circostanza, nella storia evangelica, la domanda si ripeté: «Simone di Giovanni, mi ami tu?».

IL PRIMATO DI FEDE E DI AMORE

Che cosa voleva Gesù con quella insolita domanda, proposta all’afflitto discepolo? riabilitarlo? Sì, anche per lui Pietro era necessario un perdono, già accordato forse con lo sguardo dolente a lui diretto da Cristo dopo le sue negazioni (Luc. 22, 61), col ricordo per lui destinato subito dopo la risurrezione (Marc. 16, 7) e con una prima apparizione, di cui abbiamo solo un cenno nel Vangelo di San Luca (24, 34), ma ancora non abbastanza manifestato, non celebrato nell’amore, come poi sempre dovrà avvenire per chiunque desideri ottenere la remissione dei peccati (cf. Luc. 7, 47).

Ma indubbiamente il Signore voleva di più. Egli domandava all’Apostolo, primo confessore della fede nella divina messianità di Gesù (cf. Matth. 16, 16), il complemento che fa viva e operante la fede (Gal. 5, 6), l’amore, la carità; ciò che farà dire a S. Agostino una delle sue memorabili parole sintetizzanti: «Hoc est enim credere in Christum, diligere Christum»; questo vuoi dire finalmente credere in Cristo, amare Cristo (Enarr. in Ps. 130, 1; P.L. 37, 1704). Ma l’intenzione del Signore, palese in questo interrogatorio sull’amore di Pietro a Gesù, termina ad un’altra e definitiva lezione, insegnamento, comando, investitura insieme; termina al trasferimento dell’amore, che l’Apostolo, con umile sicurezza non più smentita, professava per il suo Maestro e Signore, da Gesù al gregge di Gesù. «Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore», tre volte disse il Signore all’Apostolo, ormai dichiarato suo continuatore, suo vicario nell’ufficio pastorale, che Gesù stesso indicò come sua caratteristica e preferita missione: «Io sono il buon Pastore» (Io. 10, 11). Il primato di Pietro, nella guida e nel servizio del popolo cristiano, sarebbe stato un primato pastorale, un primato d’amore. Nell’amore, ormai inestinguibile, di Pietro a Cristo sarebbero fondate la natura e la forza della funzione pastorale del primato apostolico. Dall’amore di Cristo e per l’amore ai seguaci di Cristo la potestà di reggere, di ammaestrare, di santificare la Chiesa di Cristo. Una potestà che non è lecito né contestare, né ingannare (cf. Act. 5); ma una potestà nascente dalla carità, nella carità esercitata e per la carità. Una potestà, di cui Pietro lascerà eredi i suoi successori su questa sua cattedra romana, ed a cui egli darà nel sangue la suprema testimonianza: «Cum autem senueris, extendes manus tuas, et te alius cinget et ducet quo tu non vis»; «quando poi sarai invecchiato, - sono parole di Gesù a Pietro al termine del fatto evangelico ricordato - tenderai le mani, e un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vorresti. Disse questo (il Signore) per indicare con quale morte egli (Pietro) avrebbe reso gloria a Dio. E, detto ciò, gli soggiunse: Seguimi» (Io. 21, 18-19).

INDEFETTIBILE E SUPREMA LA PAROLA DEL MAESTRO: «TU ME SEQUERE»

Sono cose note; ma non fanno palpitare il cuore a ripensarle qui, dove l’apostolo e martire Simone di Giovanni, detto Pietro da Gesù, ebbe il suo umilissimo sepolcro, e sopra questo fu eretta questa Basilica? qui, dove quelle parole di Gesù risuonano ancora, e ancora sono operanti? Le vedete scritte a caratteri cubitali nella grande fascia che gira sopra i pennacchi e sotto i cornicioni interni della Basilica. E non sorge nel pensiero l’idea che ben più grande, ben più potente, ben più bella di questa architettura michelangiolesca è l’architettura, di cui questa vuol essere immagine ed onore, concepita da Cristo Signore, quando disse a Pietro: «Sopra questa pietra costruirò la mia Chiesa» (Matth. 16, 18), edificata nell’amore? Dura ancora l’edificio escatologico, dura ancora la Chiesa, e sempre la carità è la sua vita. Oh! pregate, Figli carissimi, affinché possiamo tutti comprendere questo prodigioso disegno divino; e pregate affinché Chi a Pietro succede possa ancora e sempre dimostrare, anche con l’evidenza esteriore, oltre che con l’intangibile realtà che in Lui si personifica, ch’Egli è quello che è per l’amore che a Cristo Lo unisce, e per la parola che Cristo a Pietro consegnò: Tu seguimi! Pregate! E la Nostra Benedizione Apostolica sia con voi.

                                                     



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