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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 17 maggio 1967

 

Perenni e vitali doni della Pentecoste

Diletti Figli e Figlie!

Consentite alla paternità del Nostro ministero di rivolgervi una domanda: come avete celebrato la festa di Pentecoste? avete cercato di meditare come l’avvenimento prodigioso, narrato negli Atti degli Apostoli (c. 2), sta all’origine della Chiesa, non solo come un fatto storico importante, ma come un principio vitale, come l’inizio della animazione soprannaturale della Chiesa, come la sorgente d’un miracolo permanente, quello dell’infusione dello Spirito Santo negli Apostoli e nei credenti in ordine alla formazione di Cristo nelle loro singole vite e nell’intera comunità, unita ma internamente differenziata e gerarchica, che si chiama la Chiesa? avete pensato che quel fatto continua, si distende nel tempo, si estende sulla terra, là dove arriva la fede e la grazia, e che interessa profondamente ciascuno di voi? avete riflettuto che la effusione dello Spirito Santo è arrivata ad ognuna delle vostre anime, è penetrata nel giro interiore della vostra psicologia e vi ha acceso la vita divina?

LA COMUNICAZIONE DELLO SPIRITO SANTO AI FEDELI

 Una delle pagine più misteriose e più meravigliose del nostro catechismo è proprio quella che riguarda la comunicazione dello Spirito Santo ai fedeli, producendo in essi uno stato nuovo, lo stato di grazia con tutto il seguito delle attitudini operative, le virtù infuse, e i doni e i frutti spirituali, di cui quell’animazione divina arricchisce le anime, che hanno l’inestimabile fortuna d’essere invase dall’Amore vivificante e santificante. È pagina difficile, perché tratta di verità, che eccedono la nostra scienza umana e che ordinariamente non sono percepite dalla nostra esperienza, se non per qualche riflesso interiore, che la coscienza avverte, più o meno chiaramente, ma sempre con intimo gaudio e con caratteristico respiro di pace, la pace della coscienza cristiana. Ma è pagina che bisogna conoscere, e che il Concilio ha ripetutamente messo in evidenza. Lo Spirito Santo ha avuto nei documenti del Concilio una posizione d’onore, quella che Gli è dovuta; ci basti qui una sola citazione: «Compiuta l’opera che il Padre aveva affidato al Figlio sulla terra (cf. Io. 17, 4), il giorno di Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per santificare continuamente la Chiesa, e i credenti avessero così per Cristo accesso al Padre in un solo Spirito (cf. Eph. 2, 18). Questi è lo Spirito che dà la vita, è una sorgente di acqua zampillante fino alla vita eterna (cf. Io. 4, 14; 7, 38-39); per Lui il Padre ridà la vita agli uomini, morti per il peccato, finché un giorno risusciterà in Cristo i loro corpi mortali (cf. Rom. 8, 10-11). Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (cf. 1 Cor. 3, 16; 6, 19), e in essi prega e rende testimonianza della loro adozione filiale (cf. Gal. 4, 6; Rom. 8, 15-16 e 26). Egli guida la Chiesa per tutta intera la verità (cf. Io. 16, 13), la unifica nella comunione e nel ministero, la istruisce e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cf. Eph. 4, 11-12; 1 Cor. 12, 4; Gal. 5, 22). 

COME CUSTODIRE IL «DULCIS HOSPES ANIMAE»

 «Con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione con (Cristo) suo Sposo. Poiché lo Spirito e la Sposa dicono al Signore Gesù “Vieni” (cf. Apoc. 22, 17).

«Così la Chiesa universale si presenta come “un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”» (Lumen Gentium, 4). 

Da questa stupenda sintesi dottrinale noi trarremo due semplici, ma importanti conclusioni. La prima riguarda i rapporti della nostra anima con lo Spirito Santo, il culto cioè che dobbiamo alimentare, nel segreto del cuore e nell’espressione della preghiera, con questo ineffabile «dulcis Hospes animae» , soave ospite dell’anima; un culto che comincia con il senso interiore della sacralità, che ogni cristiano, reso dal battesimo tempio dello Spirito Santo (cf. 1 Cor. 3, 16), deve avere di se stesso, con l’affinamento della coscienza, per la quale è «picciol fallo amaro morso» (Purg. 3, 9), e alla quale una cosa preme sopra tutte, l’essere in grazia di Dio, essere vigilante nell’amore e nella fedeltà al Dio presente; e un culto che arriva a riconoscere nello Spirito Santo il principio stesso della preghiera, da Lui derivando a noi la beata possibilità di proferire il nome di Gesù (1 Cor. 12, 3), e la mistica sorgente della più commossa orazione (Rom. 8, 26), e a Lui riconoscendo, come fosse passato sopra la sua Chiesa, il rinnovamento liturgico del tempo nostro (Sacr. Concilium, 43). Fra tutte, la prima devozione nostra dovrebbe essere allo Spirito Santo.

LE GRANDI REALTÀ DELL 'APPARTENENZA ALLA CHIESA

 L’altra conclusione riguarda il nostro rapporto con la Chiesa, intesa come società visibile e gerarchica, dogmatica, sacramentale e canonica. Vi è chi è tentato di pensare questo rapporto ecclesiale esteriore come estraneo, come superfluo: come contrario e quasi abusivo, rispetto al rapporto intimo e «carismatico» dell’anima con lo Spirito Santo. Siamo cauti, Figli carissimi, verso questo problema, e vediamo di risolverlo come si deve: la Chiesa, Corpo mistico di Cristo, non si distingue dalla Chiesa organizzata socialmente, che ci conferisce il nostro titolo di cattolici, che dà alle anime santificate dalla grazia la forma stessa della vita nuova cristiana, e che è lo strumento indispensabile, mediante il quale abbiamo la dottrina, abbiamo i sacramenti, abbiamo la guida che ci portano e ci conservano nella comunione con lo Spirito Santo. Apriamo, sì, la vela dell’anima al vento dello Spirito di Gesù, che soffia dove vuole (Io. 3, 8) libero e misterioso; ma non abbandoniamo il timone della nostra barca, il timone del Pescatore apostolico, che ci governa a buon fine. Sia con questi semplici suggerimenti con voi la Nostra Benedizione Apostolica.

 



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