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SOLENNE CELEBRAZIONE NELLA CHIESA PARROCCHIALE
DI CASTEL GANDOLFO

OMELIA DI PAOLO VI

Festività di Maria SS.ma Assunta in Cielo, 15 agosto 1967

 

SALUTO ALLE AUTORITÀ E AL POPOLO

Ringraziamo il Signore - così il Santo Padre all’inizio della sua Esortazione - che ancora Ci dà la letizia di celebrare con voi l’odierna festa, tanto ricca di significato teologico e così aderente al cuore del popolo cristiano, poiché interessa sia la nostra esperienza, sia la nostra speranza nella suprema mèta che dobbiamo raggiungere.

Cogliamo perciò molto volentieri questa occasione per il ricorrente duplice incontro: con quanti in Castel Gandolfo circondano il Papa e sono a Lui più vicini; e meditando alcuni punti di riflessione che la grande solennità Mariana ci offre.

Il primo pensiero del Papa va al diletto Cardinale Pizzarda, che ha il titolo della Diocesi di Albano, nel cui territorio è Castel Gandolfo; quindi al Cardinale di Jorio, presente al sacro Rito, che tanto interessamento dimostra per il bene della comunità cittadina; al Vescovo Diocesano, che ha ricevuto il Santo Padre all’ingresso del tempio; al Parroco e al Clero tutto di Castel Gandolfo e della Diocesi di Albano; al Seminario; ai Religiosi e alle Religiose; alle associazioni dell’Azione Cattolica ed agli altri sodalizi di militanti.

Un saluto speciale il Santo Padre di quindi alle autorità civili: al Sindaco - esemplarmente fedele a questi incontri - e a coloro che lo coadiuvano nella amministrazione della città: al Direttore delle Ville Pontificie; a tutte le brave persone che esercitano un’attività o un impiego a vantaggio del popolo. Tale saluto, infine, l’Augusto Pontefice desidera estendere a tutto il territorio, assai vasto, della parrocchia, sino al nucleo di Pavona; anzi all’intera diocesi di Albano, invocando sulle singole persone e famiglie le più copiose grazie del Signore.

AVVICINARSI ALLO SPLENDORE DI MARIA

Ed ora - prosegue Sua Santità - dobbiamo guardare in alto: impegnare per alcuni istanti la nostra mente sul tema della festa odierna: l’Assunzione di Maria Santissima in Cielo. Il prodigio ci attrae come una vivida luce accesa sopra di noi; ma essa, appunto perché tanto splendida ed alta, sembra essere inaccessibile nel suo significato vero. Ne deriva una incolmabile distanza tra noi e la Madonna, il cui trionfo intendiamo onorare e celebrare.

E la distanza che corre fra terra e Cielo; fra noi, umili mortali, e la Tutta Santa, la Privilegiata, della quale non esalteremo mai abbastanza le fortune, le virtù, le grandezze, i misteri, poiché in Lei si svolge il disegno dell’Altissimo per la salvezze del mondo.

Chi è, dunque, questa Eletta, che è stata l’oggetto di così eccezionale scelta, per cui è la «benedetta fra tutte le donne»? È Maria.

Ed ecco che, solo a pensare la sua vittoria sulla natura, ci sentiamo smarriti al cospetto di tale incommensurabile grandezza. Avvertiamo l’immenso divario tra la nostra povera umana miseria e il suo incomparabile fulgore; tra la nostra insufficienza e la pienezza di grazia in Lei profusa, e anche il suo destino finale - unico al mondo dopo quello di Cristo - di conseguire la sorte singolarissima, mentre dura la storia del mondo e non è ancora venuto l’ultimo giorno, di essere associata, in anima e corpo, al Figlio suo nella gloria misteriosa del Paradiso.

GLI ACCENTI SUBLIMI DEL «MAGNIFICAT»

È ovvio porsi una domanda: che cosa sappiamo noi di questo Cielo, di questo Paradiso? Possediamo, sì, delle nozioni certe e profondamente dense di significato. Però, quando la nostra mente cerca di misurarle, si rivela incapace; e perciò la festa odierna potrebbe originare quasi timidezza e confusione, a meno che noi riusciamo a considerarla un po’ più da vicino.

In che modo? Il brano del Vangelo testé letto - P quello disposto nella liturgia dell’odierna festività dall’alta mente di Pio XII di v.m. - applica alla Assunzione l’alto commento che Maria stessa ne ha fatto, anticipando profeticamente l’epilogo meraviglioso che stiamo meditando.

La Madonna, nel cantico Magnificat, ha già aperto il Cielo sopra di Sé e ci lascia vedere in qual modo Ella abbia meritato una ventura singolare, unica, sì da sconfiggere tutte le misure, i limiti, la caducità della nostra povera esistenza umana, e di entrare subito, in pienezza, nella ineffabile vita futura, eterna; gloriosa, che il Signore le ha assegnato.

È chiaro, quindi, che noi dobbiamo concentrare il nostro spirito sul mistero d’origine e massimo: la Maternità divina di Maria. L’Onnipotente l’ha prescelta per dare vita umana al Figlio di Dio: qui è la spiegazione d’ogni portento.

Ed ecco: proprio Maria Santissima ci invita ad avvicinarci a tanta grandezza.

Si tratta dell’aspetto umano che il Signore ha voluto riconoscere nella elezione di Maria. La Madonna stessa lo dice: «Exaltavit humiles». Ha sollevato l’umiltà, ha innalzato chi si riconosce e si dichiara piccolo dinnanzi a Dio. Da ciò consegue che se noi facciamo molto bene a lodare la gloria abbagliante della Madre Celeste, non dobbiamo trascurare di appressarci con fiducia alla realtà umana, storica, di Lei.

Come era la Madonna? Ella medesima si è collocata tra gli umili, i poveri, i semplici: al nostro stesso livello; anzi, all’ultimo posto.

UNA LEZIONE CHE SUPERA IL MONDO

Altra lezione per quanti sono usi a considerare le cose con occhio freddo e superficiale: il suo stato sociale era modestissimo, una donna del popolo, diremmo. Non possedeva qualità esteriori che la distinguessero, pur se una dinastia regale era finita proprio nella sua persona. Apparteneva alla moltitudine più comune. Perciò se ci avviciniamo a Lei e la guardiamo nel cuore, notiamo che d,avvero la Madonna sente di Sé una profondissima umiltà: «Ecce ancilla Domini»: ecco la serva del Signore.

Nell’epopea del Magnificat, scorgiamo aspetti di umiltà ancor più profonda. La potremmo definire umiltà di pensiero, umiltà filosofica. C’è evidente il concetto sostanziale, vissuto, della dipendenza, della derivazione assoluta da Dio: per cui quanto noi siamo ed abbiamo viene definito non quale merito nostro, bensì esclusiva benignità del Signore. Oggi, invece, è assai diffuso il costume di vantare la propria personalità e indipendenza, il proprio giudizio, al punto da volersi sottrarre al dominio, ai voleri del Creatore. In tal modo si cade nell’assurdo, a causa dell’orgoglio e della vanità. Peggio ancora quando l’uomo, che è una piccola unità nel creato, attribuisce a sé ciò che possiede; e dimentica d’essere debitore, poiché, ripetiamo, ogni cosa a lui assegnata è dono di Dio.

Riconoscendo tale verità, dobbiamo sentire una gratitudine fondamentale; e la dipendenza assoluta da un eterno principio, da una sorgente unica, da un Padre, dal quale tutto deriva. Perché nel mondo contemporaneo c’è l’insofferenza, l’incredulità, l’irreligiosità verso Dio? Perché non pochi uomini si ritengono sufficienti, emancipati, padroni di se stessi.

La Madonna, al contrario, ci insegna che veniamo da Dio ed a Lui siamo soggetti e tributari: «Respexit humilitatem». Il Signore ha guardato questa piccolezza: l’ha colmata di favori e sollevata a sublime gloria.

LA REGINA CLEMENTE E BENIGNA

La sintesi dell’esempio di Maria è molto importante. Anzitutto per stabilire la facilità del rapporto tra noi e la Madonna. Sì, Ella è nel Cielo, è unica, e tutti noi sorpassa in maniera incalcolabile. Nondimeno la Madonna è umile; è una Regina misericordiosa, che ama discendere tra i poveri e dispensare il bene: è quindi accessibile. Nessuno di noi è messo alla porta; nessuno può considerarsi escluso, perché Maria, appunto, ci dà il senso della fratellanza e solidarietà delle dimensioni umane, alle quali partecipiamo.

Inoltre la Madonna suscita in noi grande confidenza e speranza. Se la sorte di Maria è stata quella che oggi celebriamo, non può essa diventare anche la nostra? Non possiamo forse noi aggrapparci al manto di gloria di tanta Madre e dire: perché, o Maria, non concedi a ognuno di noi la stessa letizia? Sì che lo possiamo, anzi lo dobbiamo. La gloria di Maria non è un abisso, che ci separa da Lei, ma una sorgente di speranza che a Lei ci conduce. Noi dobbiamo coltivarla intensamente questa speranza, per imprimere una nota religiosa alla nostra psicologia. Potremo davvero ritenerci quel che siamo: candidati alla vita eterna. Accogliere degnamente la pioggia di grazie riversata dal Signore su di noi; e, accettato e riconosciuto tale beneficio, amarlo e desiderarlo sempre, ponendoci così, per quanto è possibile, nella stessa disposizione della Madonna. Suo è il grande insegnamento: sentire alla perfezione la magnificenza dei doni di Dio e la propria piccolezza: «Fecit mihi magna qui potens est». Grandi cose di me ha fatto il Signore, ma le ha largite alla umiltà della sua Ancella.

In proporzioni certamente minori, minime, anche noi possiamo inneggiare a tanta realtà, E, anzitutto, si riaccenda nel nostro cuore la speranza di imitare un po’ la Vergine Santissima, con l’essere buoni, umili, sinceramente cristiani, autentici seguaci del Signore. Tutto ciò è sorretto dalla speranza .- e molti devono riaccenderla - della vita futura ed immortale, della sorte che ci attende al di là del tempo; la speranza che trasforma le ansie del mondo. C’è, oggi, un grande travaglio nelle vicende umane, perché non si accetta come si dovrebbe il Regno di Dio; e gli stessi ideali del civile consorzio, la pace, la liberti, la giustizia, sono in decadenza.

«TU SEI LA NOSTRA SPERANZA, O MARIA!»

Orbene, la devozione alla Madonna, innalzata sopra di noi nella luce delle sue virtù, segnatamente della sua umiltà - che tutto riconosce da Dio e perciò tutto da Dio riceve - deve rifiorire più che mai nella nostra anima.

Proprio questo rifiorire di speranza filiale, commossa, e quasi profetica - aggiunge il Supremo Pastore - abbiamo sentito or è qualche settimana, visitando Efeso.

La città del terzo Concilio Ecumenico Ci è particolarmente cara, poiché in quel Concilio Maria fu riconosciuta ed acclamata Madre di Dio. Gesù Cristo è Dio, quindi la Madonna è Madre di Dio, per il Mistero della Incarnazione.

Adunque, tra le rovine dell’antichissima basilica, ove per la prima volta echeggiò la stupenda conquista del pensiero cristiano, la proclamazione del dogma della Madonna Madre di Dio, abbiamo cantato la Salve Regina. Il Papa è certo che quanti erano con Lui in quel momento hanno avvertito che qualche cosa di misterioso, di grande passava sulle loro anime nel rivolgere alla Madre di Dio la fiduciosa invocazione. Con Lui tutti i redenti saranno felici di ripeterla, quale segno di totale rinnovamento: «Spes nostra, salve» : Tu sei la nostra speranza; noi Ti celebriamo, noi Ti salutiamo, o Maria!

                                                



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