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DISCORSO DI PAOLO VI
PER L'ECCIDIO A MONACO DI BAVIERA,
SEDE DELLE OLIMPIADI

Mercoledì, 6 settembre 1972

 

Nono possiamo prendere la parola in questa bella riunione, fraterna e serena, senza sollevarci quasi un peso dal cuore: è quello delle notizie, che non potrebbero essere più tristi e più gravi, giunte questa notte e questa mattina da Monaco. Sapete tutti come è finito in una tragedia, in un eccidio miserabile e dolorosissimo, l’episodio degli atleti israeliani e, dall’altra parte, dei guerriglieri arabi, venuti apposta per scontrarsi, in tale misura, nella violenza e nel sangue.

Noi deploriamo questo fatto, che veramente disonora il nostro tempo, un tempo che era teso verso la pace, verso la fraternità; fatto accaduto in un luogo e in un momento che è celebrativo della fraternità umana e che è adesso interrotto - speriamo che possa riprendere - è sospeso da questo terribile avvenimento. Si calcolano a diciotto le vittime di questa triste tragedia. E dinanzi a questi morti, parte caduti per il dovere, senza avere la minima colpa, e parte caduti per la propria violenza, non possiamo non essere molto tristi noi stessi e non esprimere il nostro turbamento con la nostra forte deplorazione. Prima di tutto perché il sangue umano rende sempre tristi e fa sempre ribrezzo; e poi perché il tragico episodio porta il turbamento sopra una scena bella, giovanile, quella sportiva, che si stava celebrando con tanto ordine e con tanta tensione di animi in tutto il mondo. E guardiamo anche lontano - lontano, ma non al di là delle previsioni possibili - e cioè alle ripercussioni che questo ha sul mondo. Non è un episodio che resta isolato. Tutti gli spettatori - milioni - che sono sparsi sulla terra restano tristemente feriti e vulnerati nel loro spirito da questo inesplicabile scontro. E Dio voglia che non si producano altri simili episodi, come tristemente lo comporta la natura della nostra debolezza umana. L’odio genera odio; il sangue vuole il sangue; la vendetta, la vendetta. Dove si va? Si riaccendono tanti sentimenti cattivi, gravi, che lacerano la pace negli animi.

E questo non possiamo non deplorare, ripeto, con grande dolore, con grande veemenza. Sì, ancora; ma veemenza di amore. Poveri noi! Poveri noi, che siamo ancora a questo grado di insipienza e di inciviltà. Noi deploriamo poi il modo - che adesso diventa comune, quasi di moda - proditorio, perché va contro persone che non se l’aspettano, che non si difendono. Non possiamo anche noi non lanciare la nostra voce e l’onda dei nostri sentimenti, che vogliono ancora essere quelli della fraternità, quelli della pace, quelli dell’amore in un mondo che resta così disturbato da questa scena di violenza e di sangue.

E poi, andiamo, sì, al di là, ancora, col pensiero. Perché? Quali le cause? E anche queste non possono non rattristarci. Se c’è questa smania di esplodere in simili episodi, è segno che c’è un grande male, una grande sofferenza negli animi, che diventano ciechi e si concedono queste esplosioni di vendetta, di risentimento.

Tanto abbiamo pregato, tanto abbiamo fatto anche noi per cercare di sopire, di eliminare le cause che adesso hanno queste espressioni così cattive e così dolorose.

E ci raccomandiamo a che cosa? Ancora alla bontà degli uomini, alla bontà di Dio. Cerchiamo di essere più buoni, di perdonare, di amarci, di ritornare ai pensieri che devono essere i programmi dell’umanità e della civiltà: quello della fraternità, quello dell’aiuto e, diciamo pure grandi parole cristiane, quello del perdono e della speranza.

E innalzando al Signore il nostro grido, che ci perdoni tutti e ci aiuti ad essere più buoni; e lanciando il nostro augurio e la nostra commiserazione per quanti sono colpiti da questo tristissimo episodio, noi inviamo al mondo e al luogo di questa tragedia il nostro voto di pace e di benedizione.

                                                



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