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DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AL CLERO DELLA DIOCESI DI ROMA

Venerdì, 25 febbraio 1977

 

«Ut unum sint»: è questo il primo pensiero affidato dal Papa all’attenzione dei presenti, e quindi di tutta la Chiesa di Roma, che appare oggi enormemente dilatata nella superficie urbana nella stessa popolazione, e profondamente modificata nella sua composizione etnica. «Diventiamo tutti romani - dice il Papa - vogliamo tutti essere cittadini, non forestieri; figli, membra di questo corpo che è la Chiesa degli Apostoli Pietro e Paolo; vogliamo essere comunità, che vuol dire un Cuor solo e un’anima sola». Si tratta di trasformare un’unione di fatto in una unità spirituale di sentimenti e di propositi.

Il centro materiale di questa comunità è la sede del Laterano, che per secoli fu deserta e abbandonata, e che oggi rivive nella sua pienezza di sede originaria della Chiesa di Roma. Il Papa ricorda il valore ideale del palazzo lateranense e degli altri edifici, a cominciare dal Battistero, culla della nascita del popolo cristiano, per finire all’università e al seminario. «Abbiamo una piccola città di Dio - dice - nella città di Roma». La comunità ha il suo punto di convergenza nel Cardinale Vicario, che rappresenta il Santo Padre e agisce in suo nome, con la collaborazione dei Vescovi Ausiliari che cooperano secondo una ripartizione organica di zone alla diffusione dell’azione pastorale in tutta la città. La nuova regolamentazione del Vicariato ha voluto dare all’attività dei vari uffici una solennità d’impegno, di dovere, di amore. Le nuove disposizioni contribuiscono a rendere la Chiesa di Roma un corpus organico e ordinato, pur nella distinzione delle competenze e nella ripartizione territoriale che vede la presenza di ben 283 parrocchie. «Carissimi parroci – dice il Papa - sappiate che vi segue la nostra affezione e la nostra fiducia, sappiate che siamo esigenti, che vi vogliamo davvero tesi a un lavoro che vi dà la partecipazione alla responsabilità pastorale del benessere cristiano e della fede in Roma; che perciò onoriamo quanto è possibile questa fiducia che la Chiesa vi confida e questo peso che mette sulle vostre spalle. Sapere che essere parroci vuol dire essere pastori ed essere pastori vuol dire sottostare ad esigenze che possono costare anche la vita, che possono annullare il tempo, il sonno, l’agiatezza e la tranquillità dell’esistenza».

Rivolgendosi poi con speciali parole di incoraggiamento ai collaboratori dei parroci, Paolo VI dice ai giovani sacerdoti: «non potreste essere meglio impegnati nel regno di Dio sul rettifilo che conduce dalla vita umana vissuta, dall’esperienza così profana e così pagana tante volte, e così peccatrice, al Vangelo, a Cristo, alla convergenza verso la salvezza che non è immaginaria, ma è anche presente, vivente se voi davvero sapete condurre il popolo di Dio a godere all’appartenenza alle nostre parrocchie». Siano esse, auspica il Papa, vivaci nell’attività pastorale e ordinate in armonia consonante, pur nella relativa libertà delle loro responsabilità dirette, per fare della Chiesa di Roma un corpo unito non soltanto urbanisticamente ma anche spiritualmente, un corpo solo in Cristo.

Il Santo Padre ha poi parole di particolare incoraggiamento per l’università del Laterano, che assume un valore quasi emblematico di centro di pensiero e di studio, e per il seminario, che si desidererebbe sempre pieno di giovani generosi decisi a seguire la via del Signore. Il Papa ricorda a questo proposito il suggerimento di un Vescovo di chiedere ad ogni diocesi italiana di inviare a Roma un sacerdote: un’ipotesi forse utile, ma artificiale. «Le vocazioni - dice il Papa - devono nascere dal popolo di Roma, da questa popolazione nuova e ancora instabile, senza radici nella storia, nella tradizione del luogo. Deve essere questa stessa popolazione che fa germinare le vocazioni e che dà i figli migliori, i suoi rappresentanti più preziosi alla Chiesa di Roma». Ai giovani aspiranti al sacerdozio Paolo VI dice: «Saremo esigenti con voi, non saremo facili alle indulgenze; quelle che a volte oggi si concedono ai seminaristi in forme incompatibili con lo stile, l’impegno di vita e l’esempio che deve dare un seminario. Domandateci quel che volete; vi daremo tutto ciò che sta in noi, ma vi daremo principalmente questo: l’impegno di seguire Cristo con tutto il cuore, l’amore, la capacità di sfidare le difficoltà che gli anni lunghi e amari e logoranti della vita portano con sé. Dovete essere portatori di una virtù sovrumana che si chiama la fedeltà. Abbiamo votato il nostro cuore al Signore e non avremo altro amore, altra speranza che poter corrispondere alla nostra vocazione».

Riferendosi alle altre componenti della comunità ecclesiale romana, il Papa ha parole di particolare gratitudine per i religiosi, che costituiscono una parte tanto rilevante del clero romano, sottolineando come il loro apporto non sia di carattere straordinario, quasi imposto da una necessità incombente, ma connaturato alla sollecitudine per la salvezza delle anime cui essi hanno donato la loro vita ed affidato i loro sogni. Riferendosi alle religiose il Papa ricorda il significato del recente documento che ha ribadito l’impossibilità per le donne di essere elevate al sacerdozio, ma ha confermato il ruolo insostituibile della componente femminile nella Chiesa, nelle sue strutture, nelle sue attività.

Paolo VI ribadisce poi la necessità di una sempre maggiore valorizzazione dei laici, compaginandoli più organicamente e meglio utilizzandoli con incarichi di fiducia nel quadro della pastorale della Chiesa, in linea con quanto il Concilio ha insegnato e disposto in proposito.

A fronte di queste forze così generosamente impegnate, ci sono i bisogni, i grandi bisogni della Chiesa di Roma. Per sovvenire alle necessità, occorre che le parrocchie sollecitino un maggior contributo, anche materiale, tra le componenti della comunità. Un’iniziativa sta particolarmente a cuore al Santo Padre: la istituzione a Roma di una «Casa della carità», finalizzata a garantire un’assistenza più organica, più qualificata, a quanti hanno bisogno di aiuto: i disoccupati, gli handicappati, gli zingari, gli anziani e tutti coloro che non sono altrimenti in grado di risolvere le difficoltà esistenziali. La Chiesa di Roma deve dimostrare di essere carità vivente; occorre un ufficio che si occupi specificamente delle varie necessità e che dimostri come da un cuore ricco di sentimenti ma povero di mezzi possa comunque sgorgare una fonte di aiuto, di conforto, di appoggio presso gli eventuali organi messi a disposizione della società.

Roma si trova di fronte perentoriamente anche il problema della scuola. Paolo VI esorta a conservare, consolidare, perfezionare le scuole cattoliche, sia perché quelle pubbliche continuano ad essere insufficienti, sia perché cresce di giorno in giorno la richiesta di istituti che garantiscano una formazione solida e sicura basata sui principii pedagogici e spirituali dell’educazione cattolica. Più in generale, Roma ha di fronte il grave problema dei giovani. «Non abbandonateli - dice il Papa -; trovate lo spazio per loro». In fondo, forse, hanno bisogno di poco, di sentirsi amati e seguiti, di avere accanto qualcuno che condivide le loro ansie. Molto spesso le impressioni ricevute negli anni giovanili negli oratori e negli altri luoghi d’incontro messi a disposizione dai sacerdoti, dalla comunità parrocchiale sono le più forti, le più decisive per tutta una vita. «Cerchiamo di fare quel che si può - aggiunge il Papa -, ma ricordiamoci che sono figli nostri, della nostra Chiesa, battezzati e figli di Cristo».

Al termine dell’incontro, il Santo Padre accenna alle principali virtù necessarie ai sacerdoti per vivere la vita pastorale. Il pastore è un consacrato alla carità, ha una responsabilità dura e pesante, quella della vita religiosa, morale, civile dei cittadini affidati alle sue cure spirituali; anzi è corresponsabile, con loro, della crescita della comunità. Virtù indispensabile è la pazienza, la cui importanza si rivela principalmente nel ministero della confessione, silenzioso ma tanto fruttuoso, momento di ascolto, di conversione, di fioritura delle vocazioni, ministero difficile e arduo che richiede la capacità di conoscere le anime e di curarle nella loro interiorità con un’arte che deriva dalla sapienza e dal Vangelo. Poi, la virtù del perdono: bisogna saper perdonare, bisogna essere generosi di pietà, bisogna rimettere i nostri debiti nella consapevolezza della gravità dell’impegno che deriva dal sicut et nos del «Pater Noster». E poi la carità, la solidarietà, l’interesse per gli altri e tutte le altre virtù che sono necessarie a chi si pone al servizio delle anime. Con la preghiera, con la solidarietà, con la stima il Papa, Vescovo di Roma, segue da vicino il suo clero.

                                   



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