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DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AL SINDACO E ALLA GIUNTA COMUNALE DI ROMA

Lunedì, 3 gennaio 1977

 

Nel riceverla oggi, Signor Sindaco, unitamente alla Giunta Capitolina, per la tradizionale presentazione degli auguri per il Nuovo Anno, il nostro pensiero va con particolare intensità di affetto alla città di Roma, che a noi fu direttamente affidata sul piano della cura spirituale come elettissima e privilegiata porzione della Chiesa di Cristo, e che di essa è centro universale. Ricambiamo di tutto cuore voti di prospera serenità, di ordinata convivenza, di progresso morale, civile e sociale all’Urbe. E, come non abbiamo mancato di dire negli scorsi anni in questa circostanza, conosciamo i problemi immani di un’amministrazione preposta alle esigenze della crescente popolazione di questa metropoli moderna dal volto antico come la sua storia ultramillenaria: sono problemi di varia e intersecantesi natura, di carattere urbanistico, scolastico, assistenziale, igienico-sanitario, culturale, eccetera; problemi resi ancor più acuti dalle difficoltà generali dell’ora.

E qui prende sostanza e slancio la specifica competenza dei pubblici amministratori: ch’è quella di essere preposti a provvedere a quei problemi, pensando proprio all’uomo, alla persona, che li pone e ne è l’oggetto e il fine: in una parola mirando a quel bene comune, che è prefisso come scopo supremo a ogni attività posta al servizio della collettività, e che è un preciso punto di riferimento della dottrina sociale cristiana. Il Concilio Vaticano II infatti ha definito il bene comune come «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione in maniera più piena e agevole» (Gaudium et Spes, 26); e nel sottolineare l’obbligo che incombe di promuovere tale bene, ha ribadito che «occorre . . . che siano rese accessibili all’uomo tutte quelle cose che sono necessarie a condurre una vita veramente umana, come il vitto, il vestito, l’abitazione, il diritto a scegliersi liberamente lo stato di vita e a fondare una famiglia, all’educazione, al lavoro, al buon nome, al rispetto, alla conveniente informazione, alla possibilità di agire secondo la retta norma della sua coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in materia religiosa» (Gaudium et Spes, 26).

Sono tutti punti sui quali viene chiamata a confrontarsi la vostra posizione di responsabili dell’amministrazione comunale di Roma. Ma si tratta di una Città unica, i cui destini terreni e oltre-temporali sono inestricabilmente congiunti dalla sua incomparabile vicenda storica, che l’ha vista, per divino mandato, e in misteriosa rispondenza con la sua nativa missione di universalità propria della civiltà romana, diventare sede della Cattedra di Pietro, punto centripeto di fede cristiana di tutte le varie comunità che ad essa guardano, e irradiazione di quella stessa fede nel mondo; e allora noi auguriamo che questo suo carattere singolare sia sempre tenuto presente, non dimenticato e tanto meno ostacolato; anzi, proprio da questa simbiosi di vita sacra e profana, che caratterizza nei secoli la vicenda di Roma, si possa attingere forza, ispirazione, motivo per quelle misure che devono continuare a cercare, ripetiamo, il bene comune dei suoi abitanti, specie dei più bisognosi di provvidenze benefiche e oculate.

È pensando soprattutto a loro, come a tutte le componenti della dilettissima Città, ch’è nostra perché affidata in modo particolare al nostro ministero episcopale, che noi eleviamo vive preghiere per la sua costante vitalità civile e spirituale, mentre auguriamo ogni bene per l’anno appena iniziato: a Lei, Signor Sindaco, ai Suoi collaboratori, ai cittadini tutti, e a quanti ne hanno a cuore l’elevazione spirituale e il progresso civile e sociale.

                           



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