ALLOCUZIONE
AD GRAVISSIMUM
DEL SOMMO PONTEFICE
PIO IX
Il Papa Pio IX. Venerabili Fratelli.
Al gravissimo dolore da cui, insieme con tutti i buoni, siamo colpiti per la guerra insorta fra nazioni cattoliche, una grandissima afflizione si aggiunse per la luttuosa rivoluzione e per il disordine di cose che avvennero poco tempo fa in alcune Province del Nostro Dominio Pontificio per l’iniqua opera e per il sacrilego ardire di uomini empii. Voi bene intendete, Venerabili Fratelli, che Noi ci doliamo con queste parole di quella scellerata congiura e ribellione di faziosi contro il sacro e legittimo Principato civile Nostro e di questa Santa Sede. Alcuni uomini assai perversi che abitano in quelle stesse Nostre province non temettero di tentare, promuovere e portare a termine, con clandestine ed inique sette, con vergognosissime pratiche tenute con persone di Stati vicini, con libelli fraudolenti e calunnie, con armi fatte venire da fuori e con moltissime altre frodi e macchinazioni perverse la predetta congiura e la ribellione.
Non possiamo non lamentarci profondamente che questa iniqua congiura sia scoppiata in primo luogo nella Nostra città di Bologna, la quale, colmata dei benefici della Nostra paterna benevolenza e liberalità, due anni or sono, quando vi abbiamo soggiornato, non aveva tralasciato di mostrare e di testimoniare la sua venerazione verso Noi e quest’Apostolica Sede. Infatti in Bologna, il 12 di questo mese, dopo che improvvisamente ne partirono le truppe austriache, subito i congiurati con eccezionale audacia, calpestando tutti i diritti umani e divini, abbandonato ogni freno all’iniquità, non ebbero orrore di tumultuare e di armare, radunare e guidare la guardia urbana ed altri, e recarsi all’abitazione del Nostro Cardinale Legato, ed ivi, tolte le insegne Pontificie, innalzare e collocare in loro vece il vessillo della ribellione, con somma indignazione e fremito degli onesti cittadini, i quali non temevano affatto di riprovare liberamente tanto delitto, e di applaudire a Noi e al Nostro Governo Pontificio.
Poi dai medesimi ribelli fu intimata la partenza allo stesso Cardinale Nostro Legato, il quale, secondo il dovere del suo ufficio, non tralasciava di opporsi a tante scellerate provocazioni e di sostenere e difendere i diritti e la dignità Nostra e di questa Santa Sede. I ribelli giunsero a tal punto d’iniquità e di tracotanza che non temettero di mutare il governo e di chiedere la dittatura del Re di Sardegna; e per questo scopo mandarono deputati allo stesso Re. Non potendo dunque il Nostro Legato impedire malvagità tanto grandi, e sostenerle e vederle più a lungo, pubblicò a voce e per iscritto una solenne protesta contro quanto si era fatto da quei faziosi a danno dei diritti Nostri e di questa Santa Sede, e costretto a partire da Bologna si recò a Ferrara.
Le cose che tanto iniquamente erano state fatte a Bologna vennero compiute con modi altrettanto criminosi anche a Ravenna, a Perugia e altrove, con lutto comune dei buoni, da uomini scellerati, sicuri che i loro assalti non potessero venire repressi e spezzati dalle Nostre milizie pontificie, le quali, essendo poco numerose, non potevano resistere al loro furore e alla loro audacia. Di conseguenza in quelle città si vide, per opera dei faziosi, calpestata l’autorità di ogni legge divina ed umana, e violata la suprema potestà Nostra e di questa Santa Sede, innalzati i vessilli della ribellione, tolto di mezzo il legittimo Governo pontificio, invocata la dittatura del Re di Sardegna, spinti o costretti alla partenza i Nostri delegati dopo pubblica protesta, e commessi molti altri atti di ribellione.
Nessuno poi ignora a cosa principalmente mirino sempre codesti odiatori del Principato civile della Sede Apostolica, né ciò che essi vogliono né ciò che desiderano. Certamente tutti sanno come, per singolare consiglio della divina Provvidenza, è avvenuto che in tanta moltitudine e varietà di Principi secolari, anche la Chiesa Romana avesse un dominio temporale soggetto a nessun’altra potestà, affinché il Romano Pontefice, Sommo Pastore di tutta la Chiesa, senza essere sottoposto a nessun Principe potesse con assoluta libertà esercitare in tutto l’Orbe il supremo potere e la suprema autorità, a lui data da Dio, di pascere e reggere l’intero gregge del Signore, e nello stesso tempo propagare più facilmente di giorno in giorno la divina Religione, e sopperire ai varii bisogni dei fedeli, e prestare opportuni aiuti a coloro che chiedono, procurare tutti gli altri beni, i quali secondo i tempi e le circostanze fossero da lui riconosciuti capaci di portare maggiore utilità a tutta la repubblica cristiana.
Dunque gli acerrimi nemici del dominio temporale della Chiesa Romana per questo tentano d’invadere, far crollare e distruggere il suo Principato civile, acquistato per celeste Provvidenza con ogni più giusto ed incontestabile diritto, confermato dal continuato possesso di tanti secoli e riconosciuto e difeso dal comune consenso dei popoli e dei Principi, anche acattolici, quale sacro e inviolabile patrimonio del Beato Pietro. I nemici della Chiesa Romana, qualora questa fosse spogliata del suo patrimonio, potrebbero deprimere ed abbattere la dignità e la maestà della Sede Apostolica e del Romano Pontefice, e più liberamente arrecare grandissimo danno e muovere asperrima guerra alla santissima Religione, e abbattere dalle fondamenta questa stessa Religione, se fosse possibile. A tale scopo, in verità, mirarono sempre e tuttora mirano le inique macchinazioni e frodi di quegli uomini che cercano di abbattere il dominio temporale della Chiesa Romana, come una lunga e tristissima esperienza dimostra a tutti chiaramente e apertamente.
Per la qual cosa, essendo Noi obbligati per l’impegno del Nostro ministero, a provvedere con somma vigilanza all’incolumità della Religione e a difendere i diritti e i possedimenti della Chiesa Romana nella loro totale integrità e inviolabilità, nonché a sostenere e a rivendicare la libertà di questa Santa Sede, libertà che senza alcun dubbio è connessa con l’utilità di tutta la Chiesa Cattolica; essendo dunque Noi tenuti a difendere il Principato che la Divina Provvidenza donò ai Romani Pontefici affinché essi esercitassero liberamente su tutta la terra l’amministrazione delle cose sante, e dovendo Noi trasmetterlo intero ed inviolato ai Nostri Successori, a questo scopo Noi non possiamo non condannare energicamente e detestare gli empii e nefandi tentativi e assalti di sudditi ribelli, e resistere loro fortemente.
Pertanto, dopo che con la protesta del Nostro Cardinale Segretario di Stato, mandata a tutti gli Ambasciatori, Ministri e Incaricati d’affari delle nazioni estere presso Noi e questa Santa Sede, Noi abbiamo riprovato e detestato gl’infami tentativi di tali ribelli; ora in questo vostro amplissimo Consesso, Venerabili Fratelli, elevando la Nostra voce, col maggior sforzo possibile del Nostro animo protestiamo contro tutto ciò che gli anzidetti ribelli hanno osato fare nei luoghi citati, e con la Nostra Suprema autorità condanniamo, riproviamo, stracciamo e annulliamo tutti e singoli gli atti compiuti a Bologna, a Ravenna, a Perugia e in qualunque altro luogo, e in qualunque modo chiamati dai ribelli contro il sacro e legittimo Principato Nostro e di questa Santa Sede, e dichiariamo e decretiamo che i predetti atti sono assolutamente nulli, illegittimi e sacrileghi.
Anzi, ricordiamo a tutti che si incorre, senz’altra dichiarazione, da parte di coloro che in qualsiasi modo osano scuotere il potere temporale del Romano Pontefice, nella scomunica maggiore e nelle altre pene e censure ecclesiastiche comminate dai Sacri Canoni, dalle Costituzioni apostoliche e dai decreti dei Concilii Generali, specialmente del Tridentino [sess. 22, cap. 11, De Reform.], e quindi dichiariamo che in esse sono già miseramente incorsi tutti coloro che a Bologna, Ravenna, Perugia e altrove hanno osato con l’opera, con il consiglio, con l’assenso o in qualunque altro modo, violare, turbare ed usurpare la civile potestà e giurisdizione Nostra e di questa Santa Sede, e il patrimonio di San Pietro.
Intanto, mentre spinti dal dovere del Nostro ufficio siamo costretti, non senza grave dolore dell’animo, a dichiarare e promulgare tali cose, commiserando la lacrimevole cecità di tanti figli, Noi non desistiamo dal chiedere umilmente e con ogni sforzo al clementissimo Padre di misericordia che con la sua onnipotente virtù affretti quel giorno, tanto desiderato, nel quale possiamo nuovamente accogliere con gioia fra le paterne braccia questi Nostri figli ravveduti e ritornati al loro dovere; e vedere reintegrati, in tutti i Nostri Stati Pontifici l’ordine e la tranquillità, e allontanata ogni perturbazione. Sostenuti da tale fiducia in Dio, siamo altresì confortati dalla speranza che i Principi d’Europa, come in passato, così anche ora si adoperino con comune accordo e sollecitudine per difendere e conservare intero questo Principato temporale Nostro e della Santa Sede, dato che interessa sommamente a ciascuno di loro che il Romano Pontefice goda di pienissima libertà, affinché si possa debitamente soddisfare alla tranquillità di coscienza dei cattolici che risiedono nei loro Stati. Tale speranza, invero, viene accresciuta anche dal fatto che gli eserciti francesi esistenti ora in Italia, secondo quanto il Nostro carissimo figlio in Cristo l’Imperatore dei Francesi ha dichiarato, non solo non faranno cosa alcuna contro il potere temporale Nostro e di questa Santa Sede, ma anzi si adopreranno per difenderlo e conservarlo.
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