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  DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI PARROCI E AI QUARESIMALISTI DI ROMA*

Giovedì, 2 marzo 1950

 

Siate i benvenuti diletti figli, che sotto la invisibile ma valida guida del vostro e Nostro carissimo Cardinale Vicario — vi siete qui adunati per chiedere e ricevere la Benedizione del Vescovo di Roma e Successore di Pietro a conforto e a sprone del vostro apostolato nel tempo quaresimale.

Ai parroci, zelanti collaboratori nella vigna romana del Signore, e ai sacri oratori della Quaresima, sono dovuti speciali riguardi. Gli straordinari doveri e uffici dell'Anno Santo Ci costringono — pur Nostro malgrado —, debitori come siamo a tutti per amore di Cristo, a un « razionamento » dei Nostri discorsi. Tuttavia fra questi deve trovar posto una breve ma pur fervida parola a voi e alle anime affidate alle vostre cure.

L'Urbe e il mondo stanno sotto il segno del Gran Giubileo. Questo Giubileo significa forza e grazia per i singoli, per la Chiesa e per la umanità. Anno di intimo raccoglimento alla Luce delle eterne verità. Anno, per molti, di riconquistata pace fra cielo e terra, fra Dio e l'uomo. Anno di approfondimento religioso per tutti coloro, a cui le esigenze e gli allettamenti del mondo hanno turbato o annebbiato lo sguardo verso l'unum necessarium.

Anno di vivificante manifestazione della Communio Sanctorum, della comunanza di grazie e di amore, fondata in Cristo, fra la Chiesa militante, purgante e trionfante, formando il tesoro inesauribile della Chiesa che si offre largamente a quanti ad esso si approssimano con fame e sete di giustizia.

Anno di rafforzamento e d'incremento della unità cattolica grazie al contatto personale, sensibile e tangibile del Capo visibile della Chiesa coi fedeli, i quali da ogni parte — per numero e per distanze geografiche incomparabilmente più che in passato — accorrono a Roma, alla Sede di Pietro.

In un tale Anno poter salire sui pulpiti della Eterna Città, affine di rendere le anime, mediante il rigore della penitenza quaresimale, mature per il giubilante Alleluia di Pasqua e la effusione di grazie della Pentecoste, è una missione che deve riempire ogni cuore apostolico di indicibile gioia, di fervoroso zelo, di ardente amore, pronto ad ogni sacrificio.

DI INDICIBILE GIOIA :

Se per un peccatore convertito, secondo la divina parola del Redentore, si fa più festa in cielo che per novantanove giusti che di penitenza non hanno bisogno (cfr. Luc. 15, 7), come potrebbe il vostro cuore non fremere di riconoscenza e di beatitudine al pensiero che la vostra parola, illuminata dallo spirito di Dio e fecondata dalla grazia del Signore, potrà divenire per molti vostri fratelli e sorelle impulso verso quel ritorno, che è uno dei grandi scopi dell'Anno Santo?

La Roma di oggi non e più quella di un tempo, la Roma dei nostri padri e dei nostri nonni, la quale, senza pregiudizio della sua posizione e della sua missione centrale religiosa e spirituale, aveva un raccoglimento e una pace, che la distinguevano e la distanziavano da altre metropoli.

Alla Roma di oggi, con quasi due milioni di abitanti, dei quali non pochi, massime nei sobborghi, vivono in miserevoli condizioni, è rimasto ben poco di quel raccoglimento e di quella pace. Seminare il buon seme di Cristo fra raffiche di vento, in mezzo alle agitazioni e alla dissipazione delle folle, in un terreno disseccato da tante cure puramente temporali, ingombrato dalle spire delle passioni, delle cupidigie e delle rivalità, è ben duro lavoro, che, pur senza essere sterile di consolazioni e di gioie, riserva anche all'industrioso seminatore delusioni e amarezze.

Per uscire da questo stato di fatto, dalle esigenze che esso pone, dalle miserie che esso produce, vi è una sola via, il rifugiarsi in quella letizia della propria vocazione, che scaturisce da fede profonda e di essa incessantemente si alimenta, e che giorno per giorno, ora per ora, fa conoscere e sperimentare al sacerdote la grandezza e la felicità della sua missione, specialmente quando la mole dei suoi doveri cominciasse a sgomentarlo; ond'egli può dire con l'Apostolo delle Genti : «Quasi tristes, semper autem gaudentes; sicut egentes; multos autem locupletantes» (2 Cor. 6, 10). Semper autem gaudentes: con queste parole di S. Paolo sulle vostre labbra e nei vostri cuori salite sui pulpiti della Città Eterna nel gaudio dell'Anno Santo. E questa letizia nutrita da motivi soprannaturali e il lavoro apostolico da essa ispirato e infiammato riporterà sul suolo romano e nei cuori romani vittorie, di cui voi e Noi dinanzi a Dio e agli occhi della Cristianità potremo andare santamente alteri.

DI FERVOROSO ZELO :

Essere nella cura delle anime e sui pulpiti delle grandi città significa — oggi più che mai — trovarsi all'avanguardia nella milizia di Cristo. Significa essere fra quelli, sui quali, più che su altri, grava il pondus diei et aestus; fra quelli, al cui spirito soprannaturale, alla cui provata esperienza, alla cui incondizionata fedeltà e dedizione è più che ad altri, affidata la sorte della Chiesa e del gregge di Cristo. E quando al vostro zelo, alla vostra vigilanza, alla vostra predicazione è affidato il patrimonio spirituale di una Città, che si chiama Roma, allora voi sapete che cosa indica anche per voi e per i vostri ascoltatori l'ammonimento profetico del primo Vescovo dell'Urbe « Fuerunt . . . pseudoprophetae in populo, sicut et in vobis erunt, magistri mendaces, qui introducunt sectas perditionis » (2 Petr. 2, 1).

Sul suolo romano si compie dinanzi allo sguardo del mondo intiero un formidabile incontro fra gli assertori e i negatori della fede cristiana. Questo suolo, che vide già la lotta fra il vecchio Cesarismo e il giovane Cristianesimo, è oggi di nuovo divenuto arena spirituale, ove sono in contesa non solo i più alti beni della vita cristiana, ma anche i presupposti fondamentali della stessa dignità umana.

Quando dunque voi vi trovate sul pulpito dinanzi ai vostri ascoltatori romani, parlate loro nello spirito del primo Papa, empitevi e penetratevi dell'inestinguibile zelo per il bene delle anime, che rese vittoriosa la missione di lui, contro tutte le umane previsioni. Fate che coloro, i quali vi ascoltano, sentano e sperimentino che questo spirito e questo zelo di Pietro ha anche oggi fra i ministri del santuario e gli annunziatori del Vangelo una folta schiera di seguaci a tutto pronti ; e siate persuasi che il popolo della Nostra diocesi romana vi corrisponderà con la stessa fedeltà e che anche molti di coloro, i quali erano già caduti vittime delle seduzioni dei falsi profeti, troveranno la via del ritorno.

DI ARDENTE E GENEROSO AMORE:

Il mondo di oggi, disavvezzato dal genuino amore, fattosi servo dell'odio e delle discordie, è una terribile prova della verità del detto ciceroniano: « Ut magnas utilitates adipiscimur conspiratione hominum atque consensu, sic nulla tam detestabili pestis est, quae non homini ab homine nascatur » (Cicer. De officiis I. 2 n. 5). Nessun terremoto, nessuna carestia, nessuna epidemia, nessuna calamità originata dalle forze della natura, può paragonarsi all'inimmaginabile cumulo di sofferenze, che l'uomo, chiuso all'amore, dominato dall'odio, apporta ai suoi simili.

Colui, che come apostolo del Vangelo, come annunziatore delle verità eterne e della buona novella, si trova di fronte al mondo, non può e non deve operare che in nome dell'amore. Il paolino « aes sonans aut cymbalum tinniens » (1 Cor. 13, 1), per nessun altro vale più inesorabilmente, quanto per il predicatore, alla cui parola fa difetto l'unzione della carità. Vi possono essere predicatori, a cui manca il dono della facondia. Un apostolato senza facondia è possibile. Un apostolato senza amore è una contraddizione in termini. Abbiate perciò sempre dinanzi ai vostri occhi la sentenza di un grande Romano e di un grande Papa: « Qui charitatem erga alterum non habet, praedicationis officium suscipere nullatenus debet » (S. Gregorii M. Honzil. 17 in Evang. n. i - Migne PL, t. 76 col. 1139).

Diletti figli! È stata per Noi una intima gioia il poter iniziare la splendida serie delle beatificazioni e canonizzazioni di questo grande Anno giubilare con la glorificazione di una di quelle eroiche figure sacerdotali, che la Provvidenza suole di tempo in tempo inviare e donare al centro della Cristianità. Il giorno della sua beatificazione e durante il susseguente triduo la Roma cattolica ha mostrato che cosa sono per lei coloro, i quali in difficili e torbidi momenti sanno farsi suoi animatori, consiglieri e guide. L'umile, semplice Vincenzo Pallotti, tutto dedito alla causa dei poveri, il cui apostolato di verità e di amore in Roma era potuto sembrare caduto in una passeggiera dimenticanza, ha ora riportato nella sua Città natale e fra i suoi concittadini un trionfo di riconoscenza, che onora non meno il cuore dei romani che Colui al quale questa gratitudine era rivolta. Il giorno in cui i suoi resti mortali furono portati attraverso le vie dell'Urbe, che furono già testimoni del suo zelo, Roma ha tributato al suo semplice ma grande figlio una dimostrazione di riverente ammirazione, che lascia nell'ombra tutte le onoranze terrene.

Possa l'esempio di questo Apostolo di Roma, la cui predicazione era sempre diretta all'unum necessarium, e il cui frutto era il suo confessionale bramosamente ricercato e circondato da straordinari effetti di grazia, essere a voi lume e conforto nell'esercizio del vostro ministero. Possa lo spirito di Vincenzo Pallotti rinnovarsi in ognuno di voi e dare al vostro apostolato quaresimale, con la grazia divina, quell'irresistibile fluido di amore, di cui la umanità dubbiosa, incerta, errante e sofferente di oggi ha tanto bisogno. In questa fiduciosa attesa invochiamo su voi tutti la luce e la potente assistenza di Dio, mentre, in pegno dei più eletti favori celesti, v'impartiamo di cuore la Nostra paterna Apostolica Benedizione.


*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XII,
 Dodicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1950 - 1° marzo 1951, pp. 5 - 9
 Tipografia Poliglotta Vaticana

 A.A.S., vol. XXXXII (1950), n. 5 - 6, pp. 302 - 306.

 



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