Index   Back Top Print

[ IT ]

  DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII
AI FEDELI GIUNTI A ROMA PER LA
BEATIFICAZIONE DI ALBERICO CRESCITELLI*

Lunedì, 19 febbraio 1951

 

Or sono poco più di quattro anni, Noi celebravamo la glorificazione dei ventinove martiri della grande persecuzione, che insanguinò la Cina al principio di questo secolo. Ed oggi eccone uno nuovo, in attesa che ben altri ancora, se così piacerà al Signore, siano elevati agli onori degli altari.

Ammirabile nella celeste processione, la falange dei martiri dalle vesti purificate nel sangue dell'Agnello e risplendenti di luce, si avanza cantando le lodi di Dio. Te Martyrum candidatus laudat exercitus. I metalli infinitamente vari delle loro migliaia di voci si armonizzano in un coro incomparabile. Poiché tutti quelli, che portano nelle loro mani la palma dei vincitori, se differiscono tra di loro, come una stella del firmamento si distingue dalle altre in chiarezza, hanno nondimeno comune la straordinaria generosità nel corrispondere alla grazia eccezionalmente insigne di Cristo, crocifisso e vittorioso con la sua morte.

Avviene talvolta — la storia della Chiesa ne presenta ben rari esempi — che questa grazia e questa generosità si rivelino tutt'a un tratto, in una conversione improvvisa, che ha del miracolo e sconcerta le corte vedute umane. Ma nella maggior parte dei casi il martirio non è che il coronamento di una intiera vita di eroismo quotidiano e di continua conformità al divino volere. Spesso la biografia dei martiri, che precede e prepara il glorioso epilogo, colpisce di ammirazione coloro, che ne furono i testimoni o ne sono i lettori. Altre volte invece la grandezza e la santità di tutta una vita non si palesano che all'osservatore attento ; esse non offrono alla curiosità tratti impressionanti, ma non sono per ciò meno fulgide nella loro modesta e discreta semplicità. Tale Ci sembra essere il caso di Alberico Crescitelli.

Egli si è dato a Dio e alle anime, e si è dato interamente, per sempre, senza esitazione, come senza riserva. Ecco il segreto del suo eroico allenamento alla vittoria suprema. Per darsi completamente, ha rinunziato a tutto.

Non parliamo della rinunzia al benessere materiale, agli agi della vita, alle pretese dell'amor proprio. Anche un'anima grande può sentire naturale inclinazione a simili allettamenti, ma essa li disprezza, e la vita del missionario è tutta intessuta di privazioni, insopportabili per i mediocri. Alcune infermità rendono al novello Beato particolarmente faticosi e dolorosi i viaggi a cavallo, soprattutto per strade impraticabili, interrotte da torrenti, affossate dalle piogge, nel rigore dell'inverno o nel calore torrido dell'estate. Sfinito al termine della lunga via, si stima anche troppo felice di trovare un tugurio miserabile, ripugnante d'immondizia, insalubre, senza un cantuccio tranquillo ove dormire in pace. « Il missionario, egli afferma, deve essere pronto a tutto, pur di ottenere il suo scopo, la conversione degl'infedeli. Coraggio dunque e all'opera, senza punto badare alle comodità personali ».

Egli rinunzia anche alle soddisfazioni e alle consolazioni del cuore, a tutto ciò che vi è di puramente naturale nelle sante affezioni della famiglia. Quale generosità, ma al tempo stesso di quale tatto e di quale delicatezza egli dà prova! Spesso scrive a coloro che ha lasciati in patria; in tutta la sua corrispondenza egli mostra un ottimismo, una tranquillità inalterabile, anche nelle ore in cui la croce di tutti i giorni si fa più pesante, la fame più attanagliante, il pericolo più grave, senza tuttavia far sorgere o alimentare nei suoi cari una illusione che diminuirebbe il loro merito nel sacrificio. « State di buon animo, egli ripete loro, non siate in pensiero per me. Io sono nelle mani di Dio e mi trovo contento ». Nulla di duro, nulla di stoico nelle sue maniere; egli sente vivamente e profondamente, ma è magnanimo e vuole comunicare la sua generosità a coloro che ama, elevandoli alla sua altezza.

Più che ai suoi sensi e al suo corpo, più che alla sua vita, più che al suo stesso cuore, l'uomo è ordinariamente attaccato al proprio giudizio, alla propria volontà. Anche a questa però il novello Beato rinunzia, a tal punto che in tutte le cose egli si rimette al volere del suo Vescovo e dei suoi Superiori. In ogni congiuntura li interroga per conformarsi in tutto al loro avviso e alle loro intenzioni, tanto che a prima vista potrebbe sembrare che egli manchi di idee e di propositi personali. Potrebbe sembrare; ma in realtà come s'ingannerebbe chi lo giudicasse così! Dal principio della sua vita sacerdotale sino alla fine, sino all'ora del martirio, egli sa dare prove di una risoluzione pronta, senza esitanza, ferma, senza secondi fini, nè rammarico, nè debolezze. Allorchè viene a far visita a sua madre come sacerdote novello e a congedarsi da lei come missionario, mentre è sul punto di lasciare per sempre il luogo nativo, scoppia improvviso il colera. Senza riposo nè tregua, noncurante del grave pericolo di contagio, egli si dedica tutto al servizio dei colerosi. Ma, appena cessata la epidemia, nulla può più trattenerlo.

Missionario, egli rivendica con indomabile energia ai cristiani il diritto di ricevere, come i pagani, una parte eguale nella distribuzione del riso, in tempo di carestia. Poco a lui importano le inimicizie, che si attira con la sua fermezza. No; Alberico Crescitelli non è un debole, un irresoluto, un passivo; egli è obbediente, e solo i forti sono capaci di essere tali con fedeltà e a costo di qualsiasi sofferenza.

Sarebbe però follia di rinunciare a tutto e a sè stesso, per lasciare poi come deserto ciò che si abbandona; non si fa, non si ha il diritto di farlo, che per un più grande e più santo amore. Voi ben lo sapete, diletti figli dell'Istituto delle Missioni estere. Per amore di Dio, per amore delle anime, il vostro Confratello si è staccato da tutto e da sè stesso. Questo distacco e questo motivo sono evidentemente comuni a tutti i veri apostoli; ma questo amore ha vari gradi secondo il temperamento e il carattere, secondo i doni naturali e soprannaturali di ciascuno. Quello, che anima il vostro Beato verso Dio, è calmo e forte; una espressione, a lui familiare, e che egli ripete in varie forme, lo rivela : « Chi si espone a certi pericoli, sa quel che fa; egli mette la sua vita nelle mani di Dio, Signore della vita e della morte ». Nelle mani di Dio! È il suo grande pensiero, il pensiero permanente e dominante, che trasparisce così spesso nelle sue parole e nei suoi scritti.

Quanto al suo amore per le anime, per tutte le anime, ma particolarmente per quelle che l'obbedienza ha affidate alle sue cure personali, tutta la sua attività di missionario ne porta l'impronta: fare e rinnovare ogni giorno il dono della propria vita per esse; affrontare tutte le fatiche, tutte le pene, tutte le sofferenze, tutti i pericoli, senza risparmiarsi; farsi tutto a tutti: ecco il suo programma, la sua storia. Un tratto lo dipinge esatta mente, come uomo e come missionario: l'interesse che egli prova e manifesta per tutto ciò che riguarda i suoi cinesi del Shensi. Egli ha avuto dalla natura un dono singolare di osservazione; avverte tutto, il paese, gli usi, i costumi, il carattere, e ha l'arte di comunicare agli altri le sue note e i suoi studi di ordine scientifico, artistico, pratico. Le sue lettere alla madre contengono talvolta minuti particolari della economia domestica.

In uno spirito così ben dotato l'osservazione desta l'interesse, che è un aspetto dell'amore, e l'interesse alla sua volta stimola l'osservazione. Questa poi lo aiuta anche nel suo ministero apostolico; gli serve a procurare il bene materiale, e indirettamente anche quello spirituale dei suoi cari cinesi. Egli stesso esprime questo pensiero al principio di un suo studio sulla coltivazione del riso. « Non sembri strano, egli scrive, che un missionario si occupi di agricoltura. Certo non si dirà che sia contrario all'apostolico ministero conoscere l'indole del popolo, cui si deve annunziare la buona novella. Cercare di conoscere e far vedere d'interessarsi di ciò che più interessa, sembrami anzi uno dei modi di farsi tutto a tutti ».

Egli è passato così, amando e facendo il bene; meritava quindi di ricevere la grande ricompensa di coloro che hanno donato la loro vita per amore: il martirio che consuma e corona questo dono.

Il suo fu, umanamente parlando, orribile, uno forse dei più atroci che la storia ricordi. Nulla è mancato, nè la crudeltà dei tormenti, nè la loro durata, nè le umiliazioni più barbare, nè le sofferenze del cuore, nè i tradimenti ipocriti di falsi amici, nè i clamori ostili e minacciosi dei sicari, nè l'oscurità dell'abbandono!

Un mezzo secolo è trascorso. Da allora il martire gode la sua ricompensa presso Dio, nella beatitudine e nella gloria; ma come questo stesso mezzo secolo è stato terribile per quel caro popolo, già in tante maniere provato!

Nel cielo, intorno al trono dell'Agnello immolato, la voce del nostro Beato, congiunta a quella di tanti altri martiri sacrificati nella medesima persecuzione, sale supplichevole verso il Giudice sovrano: — Domine, ne statuas illis hoc peccatum! (Act. 7, 59). Noi abbiamo dato ( essi esclamano) volentieri per loro la nostra vita fino alla morte, in segno del nostro grande amore. Il nostro sangue, dopo i nostri sudori e le nostre lacrime, è scorso su quella terra; che esso non la lasci sterile, ma copiosamente la fecondi! Sanguis martyrum semen! —.

La Nostra voce e le vostre, diletti figli, si uniscano alle loro per attirare su quella Nazione, per la intercessione della Regina dei martiri, doni di luce e di grazia. E che su tutti gli apostoli della Cina, sul vostro Istituto in particolare, scendano abbondanti i favori celesti, in pegno dei quali Noi impartiamo di cuore a voi, a tutti i vostri confratelli, a tutti coloro per cui voi pregate, lavorate e soffrite, la Nostra Apostolica Benedizione.


*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XII,
 Dodicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1950 - 1° marzo 1951, pp. 431 - 433
 Tipografia Poliglotta Vaticana

 



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana