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DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AL SACRO COLLEGIO DEI CARDINALI

Martedì, 23 giugno 1970

 

Dopo il recente incontro del Concistoro, in cui avete voluto dimostrati il vostro affetto nel 50° anniversario del Nostro sacerdozio, abbiamo nuovamente la gioia di ritrovarci insieme con voi, venerabili Fratelli Nostri, membri del Sacro Collegio. Vi ringraziamo della vostra presenza, e ringraziamo il vostro eletto interprete, il Card. Eugenio Tisserant, per gli auguri tanto delicati di cui si è fatto portavoce, come per le preghiere che egli ci ha promesso a nome di tutti. E sempre per Noi motivo di serenità e di consolazione soffermarci tra di voi; e, mentre ricambiamo auguri e preghiere, affidandone l’esaudimento alla potente intercessione del Precursore di Cristo, desideriamo cogliere l’occasione, al di là del motivo personale e pur tanto gradito che qui vi ha chiamati, per invitarvi a rivolgere, insieme con Noi, lo sguardo verso l’avvenire. Non è questa anche, del resto, la Nostra vocazione, come quella del Precursore, di preparare le vie del Signore? E la missione della Chiesa non è di annunciare il messaggio della salvezza a tutte le generazioni e, secondo l’espressione del Nostro Predecessore Giovanni XXIII, nella Bolla di indizione del Concilio Ecumenico, «di mettere a contatto con le energie vivificatrici e perenni dell’Evangelo il mondo moderno: ut virtutem perennem,vitalem, divinam Evangelii in venas iniciat . . .humanae communitatis» ? (Humanae salutis, 25 dic. 1961; A.A.S. 54 (1962), p. 6.)

LA CHIESA È PRESENTE NEL MONDO

Tale volontà della Chiesa, di essere presente nel mondo in trasformazione, si è manifestata splendidamente in tutta l’opera del Concilio Vaticano II, i cui orientamenti sono stati provvidenziali per il nostro tempo. All’uomo di oggi, così com’è, la Chiesa apporta l’acqua viva, sempre zampillante, della parola di vita, il lieto annuncio della salvezza, sorgente di speranza e di certezza per le generazioni che salgono, frementi di ardore e piene di sogni per l’avvenire, per costruire il mondo di domani. Come dicemmo durante l’apertura della seconda Sessione del Concilio, si deve gettare un ponte sul mondo per apportare ad esso il fermento evangelico e per rigenerarlo in profondità, rivelandogli tutta la grandezza del suo destino, e aiutandolo a realizzarlo, col portare a compimento il disegno dell’amore creatore e redentore.
Un evento di tale ampiezza e di così grande portata richiede da parte di tutti i figli della Chiesa un impegno totale per essere messo efficacemente in opera. Una simile effusione di grazie esige anime recettive, volontà generose, affinché la vita della Chiesa si dilati largamente nella realtà della vita del mondo e la trasformi per mezzo dell’energia che la anima all’interno. Chi non vedrebbe, pertanto, che, per adempiere questo compito così importante, vi sono rotture talora dolorose da fare, revisioni spesso laceranti da operare, innesti sempre delicati da realizzare, perché l’albero della fede prenda radici profonde nel terreno del nostro tempo, e vi dispieghi riccamente tutti i suoi rami? (Cfr. Marc. 4, 30-32)

LA VOCE DELLE CONFERENZE EPISCOPALI

Tutti i figli della Chiesa, ciascuno al suo posto, e seguendo la propria vocazione, sono responsabili di questa grande opera. Questo, per il Papa, è il pensiero dominante di tutto il suo pontificato, fin dal primo istante, negli innumerevoli settori ai quali si estende la vita della Chiesa. Per meglio assicurare il rinnovamento voluto dal Concilio, Noi abbiamo voluto adattare gli organi della Santa Sede, cominciando dalla S. Congregazione per la Dottrina della Fede, presso la quale abbiamo istituito una Commissione teologica. Da quest’ultima Noi molto ci attendiamo, considerando quanto già siano promettenti i suoi primi lavori. Nel campo sterminato della riflessione teologica si pongono tali e tanti problemi, che è necessario darvi quelle risposte, in cui il cristiano di oggi trovi le certezze delle quali ha bisogno.

Il cristiano pensa, il cristiano prega. E anche alla sua preghiera il Concilio ha portato un rinnovamento appropriato. Molto è già stato fatto in questo campo, secondo le direttive della Costituzione liturgica. Il Consilium, a tale scopo istituito, ha compiuto un’opera importante e delicata, mentre, dal canto loro, le Conferenze episcopali compiono l’opera di adattamento, di cui hanno la competenza e il mandato. Del resto, proprio questa collaborazione sempre più sviluppata tra la Santa Sede e le Conferenze episcopali - che sono come gli organi coordinatori e promotori delle Chiese locali in comunione con la Chiesa di Roma - è stato uno dei risultati più ricchi del periodo postconciliare. Uno scambio vitale sempre più intenso distingue tali legami fraterni, che il Sinodo dei Vescovi consolida sia con le sue riunioni periodiche, sia anche per mezzo del suo Segretariato, formato da rappresentanti scelti dalle Conferenze episcopali e da Noi stessi. La sua prima riunione offre grandi speranze, perché esso veramente è l’organismo che assicura ormai al Sinodo la sua continuità.

E mentre d’altronde i Vescovi offrono ai Dicasteri della Curia Romana una collaborazione feconda, partecipando alle riunioni annuali di orientamento e di decisione, relative alle attività dei rispettivi organismi, questi si preoccupano di lavorare in collegamento sempre più stretto con tutte le Conferenze episcopali. È quanto è stato fatto recentemente per la preparazione della Ratio Fundamentalis institutionis sacerdotalis, come per la elaborazione delle norme relative ai matrimoni misti. Nell’un caso e nell’altro, la principale preoccupazione della Congregazione e della Commissione, impegnate in tale lavoro, è stata quella di stabilire un testo che fosse veramente proprio di tutti, e ciò per mezzo di molteplici scambi di corrispondenza, i quali hanno permesso agli uni e agli altri di esprimere il proprio pensiero. In ciascun caso ne sono risultate delle norme generali, che si possono considerare come una legge-quadro, nella quale sono precisati gli orientamenti essenziali. Tocca ora alle Conferenze episcopali di applicarle secondo le diverse necessità pastorali. Lo stesso procedimento è già in atto per la revisione del diritto canonico, il cui maggiore obiettivo è quello di aggiornare l’indispensabile legislazione della Chiesa secondo le linee maestre del Concilio.

LA REVISIONE DEL DIRITTO CANONICO

La Commissione per la revisione del diritto canonico continua con alacrità il suo studio per la preparazione di schemi di canoni. È un lavoro attento, paziente di esame, di ricerca, di consultazione, di approfondimento, sotto ogni aspetto, dei problemi che la nuova codificazione deve affrontare, nel contesto della ecclesiologia del Vaticano II, dei riflessi pastorali che essa ha nel mondo di oggi, dello sviluppo e del progresso delle scienze giuridiche. Dopo l’approvazione dei principi direttivi della nuova legislazione e del suo ordine sistematico, alcuni schemi sono già nella fase terminale, sicché fra non molto avrà inizio l’esame da parte innanzitutto dell’episcopato.
Infatti la nuova legge del Popolo di Dio pur dovendo essere promulgata dal Papa, è sommamente conveniente che abbia l’apporto preziosissimo dei Pastori della Chiesa, i quali a loro volta saranno interpreti del sentimento del Popolo di Dio. Il lavoro di consultazione e di riesame richiederà senza dubbio non poco tempo ancora: ma è un tempo preziosamente speso, non solo perché mediante la consultazione la legge diventerà potenzialmente più efficace, ma anche perché si potranno così maturare i tempi per l’accoglimento più fruttuoso della nuova legislazione, che dovrà essere per chi crede ed ama Cristo e la Chiesa lex vitae et disciplinae (Eccli. 45, 6), senza la quale lo stesso Spirito può venir estinto (Cfr. 1 Thess. 5, 19).

I RAPPORTI CON I NON CATTOLICI

Allo stesso tempo si sono sviluppati i rapporti fraterni con i nostri fratelli separati, e Noi stessi abbiamo avuto di recente la gioia di accogliere il Catholicos Vasken I degli Armeni, mentre altri incontri sono avvenuti fra vescovi cattolici e non-cattolici, e tra le comunità ecclesiali. L’ecumenismo, pur sviluppandosi a livello di importanti commissioni di lavoro fra teologi, trova così la sua dimensione pastorale; e Noi ci rallegriamo altresì della realizzazione ormai in via di compimento dell’Istituto ecumenico di Gerusalemme per la storia della salvezza (Tantur).
Mentre si fanno sempre più frequenti i contatti con i rappresentanti delle religioni non cristiane, e soprattutto con i musulmani, gli ebrei e i buddisti, un dialogo difficile, complesso e delicato si sta snodando con diversi rappresentanti dell’umanesimo odierno, secondo il desiderio da Noi manifestato fin dalla prima Encilica Ecclesiam suam; tale dialogo si realizza, giorno per giorno, nella carità, nella pazienza e nella speranza, attraverso il canale dei nuovi Segretariati istituiti a questo scopo, e anche per il tramite dei diversi organismi voluti dagli episcopati.
Così la Chiesa si sforza di recare al mondo, che si sta faticosamente formando, una presenza adatta e diversificata. Testimone della cattolicità della Chiesa, e garante della sua unità, il Papa per sua parte, e con l’aiuto diligente della Curia romana, vuole favorire con tutte le sue forze questo lavoro così fecondo, che si compie giorno per giorno su scala continentale, sotto l’impulso dello Spirito. Sono numerosi gli echi che ci pervengono, e per Noi è una gioia sempre viva e incessantemente rinnovata, quella di poterci intrattenere insieme con i Nostri fratelli nell’episcopato, durante le loro visite, sempre più frequenti, ad limina apostolorum, circa tutte queste realizzazioni e speranze, come circa tutte queste pene e preoccupazioni di tutte le Chiese. Ma, come i nostri fratelli vengono a noi, così noi desideriamo andare a loro.

VIAGGIO DEL PAPA IN ASIA ED IN OCEANIA

Già avemmo la gioia indimenticabile di aprire, a Bogotà, l’assemblea dei nostri fratelli dell’America Latina, e di concludere a Kampala il primo Simposio dei Vescovi africani. Nel novembre prossimo, a Dio piacendo, prenderemo contatto diretto con i nostri fratelli dell’Asia e dell’Oceania, ma diverso questo e più approfondito che non i precedenti, perché si tratterà di studiare con essi, fra di essi, i problemi che si pongono, e le prospettive che si aprono alla Chiesa, in quei due continenti, anche se ciò richiederà di prolungare alquanto la Nostra assenza da Roma. A tempi nuovi, stile nuovo, nell’unica preoccupazione di essere fedele alla Nostra missione pastorale, che, per divina disposizione, si esercita come servizio (Matth. 20, 28; Marc. 10, 43-44). Per poter meglio servire, il Papa cerca di meglio conoscere le situazioni, di immedesimarsi in esse, di ascoltare e prendere qualche diretto contatto personale con la realtà storica della Chiesa. Sarà la Nostra maniera di venire incontro ai desideri della recente sessione del Sinodo, nella fedeltà alla Nostra vocazione di Vicario di Cristo Signore.

Come vorremmo che, con questa visita fraterna, tutta la Chiesa si riscoprisse, secondo la fervida espressione del Concilio, veramente missionaria, in tutti i suoi membri! Quale appello partirà, noi speriamo, da questi immensi continenti, che riguardano più della metà dell’intera umanità! Questi sono i problemi più assillanti della Chiesa di oggi, all’indomani del Concilio: come annunciare Gesù Cristo, come testimoniare il suo Vangelo, come impiantare il dialogo fra la Chiesa con quelle moltitudini. Tutta la Chiesa, oggi, per mezzo dei suoi Vescovi, dei suoi preti, dei suoi laici più generosi e sensibili, deve vivere in stato di missione. Il nostro ministero è orientato fermamente anche in questa linea missionaria, che già annunziammo nel Nostro primo Radiomessaggio al mondo, sette anni fa e abbiamo in questi giorni riconfermata nel messaggio per la Giornata Missionaria del prossimo ottobre. Per questo chiediamo sempre la vostra collaborazione, venerabili Fratelli nostri, insieme con quella di tutta la Chiesa. Nel far questo, noi faremo bene attenzione a non dimenticare l’apporto specifico, che i cristiani debbono portare ad un mondo preso dai gravi problemi dello sviluppo e della pace, ispirandosi alle prospettive aperte dalla Costituzione conciliare Gaudiumet spes, sviluppate nella Nostra Enciclica Populorum progressio, e recentemente precisate nel citato messaggio missionario.

VOCAZIONE MISSIONARIA DELLA CHIESA

Se l’evangelizzazione deve sempre mantenere la sua priorità fondamentale e intenzionale, lo sviluppo resta una esigenza essenziale di giustizia e di amore fraterno. Riconosciamolo: nonostante gli sforzi generosi, compiuti da ogni parte per risolvere le più urgenti e talora drammatiche implicanze della intera questione, che coinvolge tutto il mondo, dobbiamo dire che le ineguaglianze fra Paesi ricchi e Paesi in via di sviluppo non sono risolte e sotto certi aspetti aumentano purtroppo continuamente. Sale dal Terzo Mondo una richiesta di aiuto, che da fiduciosa attesa si sta facendo terribile denuncia, la quale potrebbe esplodere in collera irrefrenabile, le cui conseguenze potrebbero essere funeste per la pace e per il vero progresso; non entriamo ora in un giudizio di merito, perché il dovere evangelico di sincerità verso tutti gli uomini non ci esime dal riconoscere che questa minacciosa richiesta non può essere sempre immune da riserve. Rimane il fatto che lo squilibrio da Noi a suo tempo denunciato sembra crescere in proporzione inversa, a profitto di chi possiede e a danno di chi non riesce a colmare col provento del suo lavoro la propria inopia (Populorum progressio, 54-57; A.A.S. 59 (1967), pp. 283-285).

Se la indiscutibile buona volontà e gli sforzi compiuti da tante benemerite istituzioni internazionali non hanno impedito che si giungesse a questi penosi dislivelli, è segno che il sistema adottato non è stato convenientemente applicato, e che qualcosa non funziona. Desideriamo perciò richiamare l’attenzione degli organismi responsabili, e anzitutto dei nostri, a riflettere, a fare una pausa. Quello finora seguito da tutti è stato il tentativo giusto, il metodo adatto per risolvere il problema della sperequazione fra Popoli ridondanti di benessere e Popoli impediti di giungere ad un sufficiente benessere? Se il problema non si risolve equamente e se le ineguaglianze in atto non saranno progressivamente raccorciate e colmate, allora non avremo l’equilibrio della giustizia e la pace, suprema aspirazione degli uomini, e segno visibile dell’armonia dei popoli fratelli, sarà in crescente pericolo.

La pace: ed è questo un altro urgente problema che deve occupare l’azione della Chiesa nei suoi rapporti col mondo. In varie parti del mondo la pace è tuttora minacciata, la pace è infranta, la pace è soffocata. Popolazioni innocenti sono travolte da eventi più grandi di esse, pedine ignare di un gioco prepotente e crudele, che miete le sue vittime non solo tra la valida forza degli uomini, strappati al loro pacifico lavoro, ma anche e soprattutto fra i bambini, le madri, i sofferenti, gli anziani, gli inermi. A causa della guerra ogni giorno si muore nel mondo, per la violenza al tempo stesso cieca ed astuta e insidiosa, per la rappresaglia vendicativa ed iniqua, per la successiva mancanza atroce di sicurezza e di cibo. I giovani, nel mondo, non credono più nelle belle parole; essi vedono, con il loro intuito della realtà e con il loro istinto del fondo morale delle situazioni, che, nonostante tanti discorsi - perché tutti sono d’accordo nel parlare di pace - gli episodi di guerra aumentano paurosamente, come una inesorabile macchia d’olio vicina al fuoco: Vicino e Medio Oriente ed Estremo Oriente sono i luoghi che più tengono occupata l’opinione pubblica internazionale, senza parlare delle cicatrici che ancora sanguinano altrove.

I GRAVISSIMI PROBLEMI INTERNAZIONALI

Anche su questo argomento è necessario fare una pausa. Occorre riflettere, e seriamente riflettere, per vedere se quello che si fa nel mondo, pur con buona volontà, sia sufficientemente efficace, o se piuttosto occorra maggiore coraggio nella promozione effettiva della pace. Per questo rivolgiamo a tutti, in particolar modo alle Nazioni che per il loro prestigio internazionale e le loro reali possibilità sono veramente in grado di contribuire a liberare il mondo dal flagello della guerra, e alle Organizzazioni internazionali che hanno la responsabilità della difesa della pace nel mondo, un appello accorato e vibrante affinché i principi morali di umanità e di fratellanza sovrastino su ogni altro criterio e ogni altro interesse per una più valida, concreta e conclusiva opera di pace. Vi è impegnata la credibilità delle parole e delle azioni, rivolte a tale scopo supremo.
Tali sono alcuni dei gravissimi problemi, che oggi tengono occupata la coscienza della Chiesa e del mondo; come abbiamo detto nell’Enciclica Ecclesiam suam, la Chiesa non è separata dal mondo, «ma vive in esso. Perciò i suoi membri ne subiscono l’influsso, ne respirano la cultura, ne accettano le leggi, ne assorbono i costumi», ma solo allo scopo di avvicinare queste forme di pensiero e di vita, «di purificarle, di nobilitarle, di vivificarle, di santificarle» (Ecclesiam suam; A.A.S. 56 (1964), pp. 627-628).

Tutto lo sforzo di aggiornamento conciliare, con tutta la rinnovazione interiore della Chiesa sarebbe vano, se non le consentisse di partire con fresco vigore e con rinnovata giovinezza sulle vie del mondo, per annunciarvi la buona novella, di cui essa è messaggera. Saremo capaci, sì, saremo davvero capaci di portare la fede agli uomini del mondo odierno, nella ampiezza smisurata delle sue dimensioni geografiche, come nel turbinio delle sue correnti di pensiero? Sapremo far loro scoprire il volto sempre giovane e attraente di Cristo Salvatore? Sapremo noi assumere «con una candida fiducia» le formidabili dimensioni d’una tale missione davanti alla sbalorditiva novità del tempo moderno? (Ibid. p. 649.) Sapremo risvegliare i laici al senso delle loro responsabilità? Sapremo suscitare nei giovani il desiderio di seguire Cristo, di consacrarsi al suo servizio? Nella già lunga storia della salvezza, tocca a noi, con l’aiuto di Dio, scrivere una pagina nuova, riconducendo alle loro vere sorgenti e dando il loro pieno compimento a tutti i valori che animano e plasmano il mondo, nel suo presente sforzo gigantesco di gestazione spirituale.

DIALOGO DI SALVEZZA

Lungi dal fermare i nostri passi, le difficoltà di questa impresa ci stimolano ad affrontarla con maggior ardore e generosità. Il dialogo della salvezza, che si deve effettuare su scala mondiale, ci obbliga a seguire l’esempio trascinatore del grande Apostolo viaggiatore: «Io mi sono fatto tutto a tutti, per salvarne in ogni modo alcuni» (1 Cor. 9, 22). Ferma nella fede, incrollabile nella speranza, e mossa da un illimitato amore, la Chiesa si fa incontro alle religioni più antiche come alle ideologie più recenti e ai problemi umani più ardui, per apportare loro il suo segreto e il suo tesoro, che non sono quelli di una organizzazione perfezionata o di una tecnica sperimentata, bensì «un seme, un fermento, sale e luce» (Ecclesiam suam; cfr. A.A.S. 56 (1964), p. 649), con parole molto semplici, che ciascuno comprende come una promessa e una liberazione: essa «parla di verità, di giustizia, di libertà, di progresso, di concordia, di pace, di civiltà» (Ibid.). All’uomo nuovo, che sta nascendo, in questi ultimi decenni del secolo xx, dalle regioni della vecchia Europa ai confini dell’Asia immensa, la Chiesa reca la luce di Cristo Salvatore, la forza della sua presenza, la fiamma del suo amore, la certezza della sua parola. Ai popoli angosciati dalla ricerca della pace, e alle prese con i formidabili problemi dello sviluppo, essa offre il suo messaggio di fraternità universale «facendo loro scoprire, al di là di tutte le frontiere, volti di fratelli, volti di amici» (Populorum progressio, 75; A.A.S. 59 (1967), p. 295).

Questo è l’avvenire della Chiesa nel mondo di domani, questo l’umile apporto che, con immensa speranza, Noi vogliamo portare, modestamente e fermamente, per il suo avveramento. Vi ringraziamo di gran cuore per tutti gli sforzi che fate per aiutarci a compierlo, ciascuno al posto ove la divina Provvidenza vi ha chiamati a lavorare. Oltre le vostre persone, il Nostro pensiero va ai Fratelli nell’Episcopato e alla loro feconda fatica collegiale, ai sacerdoti, nostri collaboratori nell’ordine sacro, ai religiosi e alle religiose, la cui vita consacrata è un appello e una promessa, ai focolari cristiani, che vivono nel loro amore coniugale il mistero di unione di Cristo e della Chiesa, agli apostoli laici, che danno instancabile testimonianza della buona novella, ai giovani, che mettono il loro entusiasmo al servizio del Vangelo, ai sofferenti, che adempiono la funzione preziosissima di compiere ciò che manca alla Passione di Cristo per il bene della Chiesa (Cfr. Col. 1. 24), agli anziani, che maturano pensieri di Cielo nella loro sperimentata saggezza. A tutti diciamo la Nostra gioia della comunanza di fede che ci unisce, della speranza che ci spinge, dell’amore di Cristo che ci anima; e a tutti gli uomini rivolgiamo il Nostro saluto fraterno: che Dio, nostro Padre, e Gesù Cristo Signor nostro vi diano la grazia e la pace. È il Nostro augurio, con la Nostra Apostolica Benedizione.

                            



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