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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Due uscite per il cristiano

Sabato, 11 maggio 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 108, Dom. 12/05/2013)

 

Le piaghe di Gesù sono ancora presenti sulla terra. Per riconoscerle è necessario uscire da noi stessi e andare incontro ai fratelli bisognosi, ai malati, agli ignoranti, ai poveri, agli sfruttati. È l’«esodo» che Papa Francesco ha indicato ai cristiani nell’omelia della messa celebrata sabato mattina, 11 maggio, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.

Si tratta — ha spiegato il Pontefice — di «un uscire da noi stessi» reso possibile dalla preghiera «verso il Padre in nome di Gesù». La preghiera che «ci annoia», invece, è «sempre dentro noi stessi, come un pensiero che va e viene. Ma la vera preghiera è uscire da noi stessi verso il Padre in nome di Gesù, è un esodo da noi stessi» che si compie «con l’intercessione proprio di Gesù, che davanti al Padre gli fa vedere le sue piaghe».

Ma come riconoscere queste piaghe di Gesù? Come è possibile avere fiducia in queste piaghe se non le si conosce? E qual è «la scuola dove si impara a conoscere le piaghe di Gesù, queste piaghe sacerdotali, di intercessione?». La risposta del Papa è stata esplicita: «Se noi non riusciamo a fare questa uscita da noi stessi verso quelle piaghe, non impareremo mai la libertà che ci porta nell’altra uscita da noi stessi, verso le piaghe di Gesù».

Da qui l’immagine delle due «uscite da noi stessi» indicate dal Santo Padre: la prima è «verso le piaghe di Gesù, l’altra verso le piaghe dei nostri fratelli e sorelle. E questa è la strada che Gesù vuole nella nostra preghiera». Parole che trovano conferma nel Vangelo di Giovanni (16, 23-28) della liturgia del giorno. Un brano nel quale Gesù è di una chiarezza disarmante: «In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualcosa al Padre nel mio nome, Egli ve la darà». In queste parole — ha notato il Pontefice — c’è una novità nella preghiera: «Nel mio nome». Il Padre dunque «ci darà tutto, ma sempre nel nome di Gesù».

Cosa significa questo chiedere nel nome di Gesù? È una novità che Gesù rivela proprio «nel momento in cui lascia la terra e torna al Padre». Nella solennità dell’Ascensione celebrata giovedì scorso — ha ricordato il Papa — è stato letto un brano della Lettera agli Ebrei, dove si dice tra l’altro: «Poiché abbiamo la libertà di andare al Padre». Si tratta di «una nuova libertà. Le porte sono aperte: Gesù, andando dal Padre, ha lasciato la porta aperta». Non perché «si sia dimenticato di chiuderla», ma perché «lui stesso è la porta». È lui «il nostro intercessore, e per questo dice: “Nel mio nome”». Nella nostra preghiera, caratterizzata da «quel coraggio che ci dà Gesù stesso», chiediamo allora al Padre nel nome di Gesù: «Guarda tuo Figlio e fammi questo!».

Il Santo Padre ha poi richiamato l’immagine di Gesù che «entra nel santuario del Cielo, come un sacerdote. E Gesù, fino alla fine del mondo, è come sacerdote, fa l’intercessione per noi: lui intercede per noi». E quando noi «chiediamo al Padre dicendo “Gesù”, segnaliamo, diciamo, facciamo un riferimento all’intercessore. Lui prega per noi davanti al Padre».

Riferendosi quindi alle piaghe di Gesù, il Pontefice ha notato che Cristo «nella sua risurrezione, ha avuto un corpo bellissimo: le piaghe della flagellazione, delle spine, sono sparite, tutte. I lividi dei colpi sono spariti». Ma egli, ha aggiunto, «ha voluto avere sempre le piaghe, e le piaghe sono precisamente la sua preghiera di intercessione al Padre». Questa è «la novità che Gesù ci dice», invitandoci ad «avere fiducia nella sua passione, avere fiducia nella sua vittoria sulla morte, avere fiducia nelle sue piaghe». È lui, infatti, il «sacerdote e questo è il sacrificio: le sue piaghe». Tutto ciò ci «dà fiducia, ci dà il coraggio di pregare», perché, come scriveva l’apostolo Pietro, «dalle sue piaghe siete stati guariti».

In conclusione il Santo Padre ha ricordato un altro passo del Vangelo di Giovanni: «Finora non avete chiesto nulla nel mio nome: chiedete ed otterrete, perché la vostra gioia sia piena». Il riferimento — ha spiegato — è alla «gioia di Gesù», alla «gioia che viene». Questo è «il nuovo modo di pregare: con la fiducia», con quel «coraggio che ci fa sapere che Gesù è davanti al Padre» e gli mostra le sue piaghe; ma anche con l’umiltà per riconoscere e trovare le piaghe di Gesù nei suoi fratelli bisognosi. È questa la nostra preghiera nella carità.

«Che il Signore — ha auspicato il Pontefice — ci dia questa libertà di entrare in quel santuario dove Lui è sacerdote e intercede per noi e qualsiasi cosa che chiederemo al Padre nel suo nome, ce la darà. Ma anche ci dia il coraggio di andare in quell’altro “santuario” che sono le piaghe dei nostri fratelli e sorelle bisognosi, che soffrono, che portano ancora la Croce e ancora non hanno vinto, come ha vinto Gesù».

Alla messa hanno partecipato, fra gli altri, Juan Pablo Cafiero, ambasciatore di Argentina presso la Santa Sede, e 23 giornalisti di lingua spagnola, fra i quali don Antonio Pelayo, che ha concelebrato. Era inoltre presente un gruppo di una quarantina di appartenenti al Corpo della Gendarmeria Vaticana.

 



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