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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Identità ed eredità

Martedì, 23 ottobre 2018

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVIII, n.242, 24/10/2018)

L’identità e l’eredità del cristiano sono fatte di speranza, forse «la virtù teologale più dimenticata» e «più difficile da capire». Lo ha sottolineato Papa Francesco nella messa celebrata a Santa Marta martedì mattina, 23 ottobre.

Prendendo spunto come di consueto dalle letture (tratte dalla lettera di san Paolo agli Efesini 2, 12-22 e dal vangelo di Luca 12, 35-38), all’omelia il Pontefice ha subito individuato «due parole con le quali possiamo descrivere il messaggio liturgico di questa giornata: cittadinanza ed eredità».

Soffermandosi sulla prima ha quindi spiegato che nella lettura l’apostolo «ci parla di questo». Si tratta, ha chiarito di «un regalo che Dio ci ha fatto, a tutti noi: ci ha fatti cittadini, cioè ci ha dato identità. Ci ha dato la carta d’identità». Del resto il Signore «in Gesù ha abolito la Legge per ricreare in se stesso tutto, per riconciliare tutti, anche noi, tutti... eliminando l’inimicizia che noi avevamo con Lui. È venuto ad annunciare “pace a voi”, a tutti. E adesso, “possiamo presentarci gli uni e gli altri al Padre in un solo Spirito”; ci ha fatto “uno”». Insomma «questa è la nostra cittadinanza: “Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi” in Gesù e in Lui, anche voi “edificati insieme” per diventare abitazione dello Spirito Santo». Dunque per Francesco «la nostra identità è proprio questo essere guariti dal Signore, essere costruiti in comunità e avere lo Spirito Santo dentro. Un cristiano è quello. E la forza è lo Spirito che ha dentro». Di conseguenza «camminiamo, con questa forza, con questa sicurezza, con questa fermezza: siamo concittadini e Dio è con noi. Anzi, Lui ci porta avanti, ci fa camminare».

Verso dove? Verso «l’altra parola» che il Pontefice ha voluto proporre: ovvero «l’eredità. Identità ed eredità. E l’eredità è quello che Gesù nel Vangelo ci dice: l’eredità è quello che noi cerchiamo nel nostro cammino, quello che noi riceveremo alla fine; ma dobbiamo cercarlo ogni giorno, andare verso questa eredità». E tutto ciò è riassunto, ha detto ancora il Papa, nella «grande virtù della speranza, la virtù teologale forse più dimenticata, forse più difficile da capire», ma «quella che ci porta avanti nel cammino della nostra identità verso l’eredità». In effetti i cristiani sanno «cos’è la fede: è facile capirla e anche non è difficile praticarla. Tutte e tre — fede, carità e speranza — sono un dono. La fede, la capiamo bene. La carità è più facile ancora da capire: è fare del bene, con Dio e con gli altri. Ma la speranza, cosa è?», si è chiesto Francesco. E la risposta è stata che «la nostra eredità è un po’ difficile da capire». Quindi immaginando una sorta di dialogo ha chiarito: «“Sì, sì, è sperare: ma sperare, attendere... cosa è? Cosa speri, tu?” — “Io, sì, io spero il Cielo!” — “Ma cosa è il Cielo, per te?” — “Sì, è la luce, sì, è incontrare tutti i Santi, è una felicità eterna...” ma no è facile da capire, cosa è la speranza. Vivere in speranza è camminare, sì, verso un premio, verso la felicità che non abbiamo qui ma l’avremo là... è una virtù difficile da capire».

Ma al di là delle difficoltà, la speranza ha anche altre caratteristiche, che il Papa ha elencato: per esempio «è una virtù umile, molto umile»; e soprattutto «è una virtù che non delude mai: se tu speri, mai sarai deluso. Mai, mai». Inoltre «è anche una virtù concreta». Ma, potrebbe essere l’obiezione, «come può essere concreta, se io non conosco il Cielo o quello che mi aspetta?». E ancora una volta la risposta non lascia spazio a dubbi: la speranza è l’eredità del cristiano, dunque speranza «verso qualcosa», non verso «un’idea» o verso «un posto bello» Di più: essa «è un incontro». Al punto che «Gesù — ha fatto notare il Papa — sempre sottolinea questa parte della speranza, questo essere in attesa». Come nel Vangelo odierno, in cui essa è raffigurata nell’incontro «del padrone, quando torna da una festa». O come quando Gesù «parla, nella parabola, delle ragazze stolte e delle ragazze sagge»: anche in quel caso infatti è «un incontro con il Signore che viene dalle nozze, con lo sposo». Perché «sempre è un incontro, un incontro con il Signore. È concreto».

Purtroppo però, ha osservato Francesco, «tante volte, noi non sappiamo questo... o ci facciamo della speranza un’idea strana... “sì, saremo nel Cielo, lì... lì c’è la musica, ci sono i canti, una bella festa...” — “Ma sarà noiosa?!” — “No, no, no, ma sarà bella...”: no. È incontrare il Signore. È un incontro». E offrendo una confidenza personale il Papa ha spiegato che quando lui pensa alla speranza, gli viene in mente in particolare un’immagine: «La donna gravida, la donna che aspetta un bambino. Va dal medico, gli fa vedere l’ecografia — “ah, sì, il bambino... va bene”... No!». Al contrario «è gioiosa! E tutti i giorni si tocca la pancia per accarezzare quel bambino, è in aspettativa del bambino, vive aspettando quel figlio». E «questa immagine ci può far capire che cosa sia la speranza: vivere per quell’incontro. Quella donna immagina come saranno gli occhi del figlio, come sarà il sorriso, come sarà, biondo o moro... ma immagina l’incontro con il figlio. Immagina l’incontro con il figlio». Dunque, ha ribadito il Pontefice, «questa immagine, questa figura ci può aiutare tanto a capire che cosa è la speranza» e a «domandarci: “Io spero così, concretamente, o spero un po’ diffuso, un po’ gnosticamente?”. La speranza è concreta, è di tutti i giorni perché è un incontro. E ogni volta che incontriamo Gesù nell’Eucaristia, nella preghiera, nel Vangelo, nei poveri, nella vita comunitaria, ogni volta diamo un passo in più verso questo incontro definitivo». Da qui l’auspicio che i cristiani abbiano «la saggezza di saper gioire dei piccoli incontri della vita con Gesù, preparando quell’incontro definitivo».

Un auspicio riproposto nelle considerazioni conclusive in cui, ricapitolando, Francesco ha spiegato come l’identità sia il «grande regalo di Dio che ci ha fatti una comunità, ci ha fatti eredi di questo»; e come l’eredità sia «quella forza con cui lo Spirito Santo ci porta avanti con la speranza». Con l’esortazione finale a pensare «oggi a queste due parole: la mia carta d’identità, qual è? Come sono cristiano? E poi: com’è la mia speranza? Cosa aspetto in eredità?».



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