Index   Back Top Print

[ EN  - ES  - FR  - IT  - PT ]

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO PROMOSSO PER COMMEMORARE
IL 50° DELLA SCOMPARSA DEL CARD. AGOSTINO BEA

Sala del Concistoro
Giovedì, 28 febbraio 2019

[Multimedia]


 

Cari fratelli e sorelle,

vi do il benvenuto, lieto di accogliervi. Ringrazio il Cardinale Koch per le parole con cui ha introdotto questo incontro.

Il vostro Centro, in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, il Pontificio Istituto Biblico e il Center for the Study of Christianity dell’Università Ebraica di Gerusalemme, sta celebrando, con una serie di conferenze di alto livello, la memoria del Cardinale Augustin Bea nel 50° anniversario della morte. Avete così modo di rivisitare questa insigne figura e il suo influsso decisivo su alcuni importanti documenti del Concilio Vaticano II. I rapporti con l’Ebraismo, l’unità dei cristiani, la libertà di coscienza e di religione sono alcuni dei temi principali, che risuonano ancora oggi estremamente attuali.

Il Cardinale Bea non è però solo da ricordare per quello che ha fatto, ma anche per il modo in cui l’ha fatto. In questo senso rimane un modello cui ispirarsi per il dialogo ecumenico e interreligioso, e in modo eminente per il dialogo «intra-familiare» con l’ebraismo (cfr Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo, Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili, 20). Nahum Goldmann, Presidente del World Jewish Congress, descrisse Bea con tre espressioni: «comprensivo, pieno di bontà umana e coraggioso» (Staatsmann ohne Staat. Autobiographie, 1970, 378). Sono tre aspetti essenziali per chi si adopera nella riconciliazione tra gli uomini.

Anzitutto la comprensione verso gli altri. Il Card. Bea era convinto che l’amore e il rispetto sono i principi primi del dialogo. Diceva che il «rispetto ci insegnerà anche la giusta maniera di proporre la verità» (A. Bea, L’unione dei cristiani, 1962, 72). È vero: non c’è verità al di fuori dell’amore, e l’amore si declina in primo luogo come capacità di accogliere, abbracciare, prendere con sé: “com-prendersi”. Il secondo aspetto: la bontà e l’umanità, il saper creare, cioè, vincoli di amicizia, legami fondati sulla fraternità che ci accomuna, in quanto creature di Dio che è Padre e ci desidera fratelli. Comprensione che accetta l’altro, bontà che scopre e crea legami di unità; tutto questo in lui era sostenuto – terzo aspetto – da un temperamento coraggioso, che Padre Congar definiva «pazienza ostinata» (S. Schmidt, Augustin Bea, The Cardinal of Unity, 1992, 538). Il Cardinale Bea si è trovato ad affrontare non poche resistenze nel suo lavoro per il dialogo. Pur accusato e calunniato, andò avanti, con la perseveranza di chi non rinuncia ad amare. Quando gli veniva detto che i tempi non erano maturi per ciò che proponeva l’allora Segretariato per l’Unione dei Cristiani, rispondeva con spirito: “Allora bisogna farli maturare!” (cfr A. Bea, L’ecumenismo nel Concilio, 1968, 36). Né ottimista né pessimista, era realista sul futuro dell’unità: da una parte cosciente delle difficoltà, dall’altra convinto della necessità di rispondere all’accorato desiderio del Signore che i suoi siano «una sola cosa» (Gv 17,21).

Il Cardinale Bea diceva: «Il Concilio non potrà essere un punto di arrivo, bensì un punto di partenza» (L’unione dei cristiani, 22). Con voi allora vorrei sottolineare il fruttuoso cammino compiuto nel dialogo tra ebrei e cattolici dopo Bea e alla sua scuola. Di questo percorso il vostro Centro è una tappa fondamentale: quando la Santa Sede chiese all’Università Gregoriana di istituirlo, gli affidò il mandato di diventare «il progetto più importante di studi giudaici della Chiesa Cattolica» (Dichiarazione congiunta sugli studi giudaici, 14 novembre 2002). Mentre ribadisco questo auspicio, mi congratulo con gli studenti che hanno intrapreso la via non facile dello studio dell’ebraico e della frequentazione di un mondo religioso e culturale tanto ricco e complesso. Vi incoraggio ad andare avanti. Ringrazio anche i docenti, che con generosa dedizione mettono a disposizione tempo e competenza. In modo speciale desidero rivolgermi ai docenti ebrei, a quelli dell’Università Ebraica di Gerusalemme e agli altri coinvolti nel Centro. Voi insegnate in un ambiente dove la vostra presenza rappresenta una novità ed è già di per sé un messaggio. Come, infatti, introdurre a un dialogo autentico senza una conoscenza dal di dentro? Il dialogo va portato avanti a due voci, e la testimonianza di docenti ebrei e cattolici che insegnano insieme vale più di tanti discorsi.

Come proseguire il cammino? Finora il dialogo ebraico-cristiano si è spesso svolto in un ambito riservato piuttosto agli specialisti. L’approfondimento e la conoscenza specifici sono essenziali, ma non bastano. Accanto a questo sentiero occorre imboccarne un altro, più ampio, quello della diffusione dei frutti, perché il dialogo non rimanga appannaggio di pochi, ma diventi opportunità feconda per molti. L’amicizia e il dialogo fra ebrei e cristiani sono infatti chiamati a oltrepassare le frontiere della comunità scientifica. Sarebbe bello, ad esempio, che nella stessa città rabbini e parroci lavorassero insieme, con le rispettive comunità, al servizio dell’umanità sofferente e promuovendo vie di pace e di dialogo con tutti. Spero che il vostro impegno, la vostra ricerca e i legami personali fra cristiani ed ebrei producano il terreno fecondo per mettere radici di ulteriore comunione.

Cari amici, che il ricordo della figura e dell’opera del Cardinale Bea sia di stimolo a rinvigorire il nostro impegno irreversibile nella ricerca dell’unità tra i cristiani e nella promozione concreta di una rinnovata amicizia con i nostri fratelli ebrei. Con questi auspici invoco dall’Altissimo ogni benedizione sul vostro cammino. Grazie.



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana